OBLOMOV SHOW degli Oyes: una poetica sull’immobilismo. Storia di un uomo che sceglie di non vivere
Intervista di Claudia Caleca
“Era questi un uomo di trentadue-trentatré anni, di media statura, di aspetto piacevole, con occhi grigio-scuri, ma nei tratti del volto privo di qualsiasi idea determinata, di qualsiasi concentrazione. Il pensiero passeggiava come un libero uccello sul suo viso, svolazzava negli occhi, si posava sulle labbra semiaperte, si nascondeva nelle rughe della fronte, poi scompariva, e allora su tutto il volto si accendeva l’uniforme colore dell’indifferenza. Dal volto l’indifferenza passava alle pose di tutto il corpo, perfino alle pieghe della veste da camera.”
E’ proprio dall’incipit di Oblomov, opera del letterato russo Ivan Aleksandrovic Goncarov, che la compagnia milanese Òyes pone il punto di partenza della ricerca artistica con una drammaturgia originale. La compagnia in Residenza presso il Castello di Rosignano Marittimo, ad Armunia, indaga attraverso il loro OBLOMOV SHOW, una condizione più che mai attuale: la fissità, l’apatia, l’immobilismo. Ed è attorno all’antieroe per antonomasia Oblomov, un regista sui quarant’anni che vive isolato sul suo divano, che orbitano gli altri personaggi che cercano di smuoverlo dal suo torpore. Esiste una cura all’oblomovismo, all’indolenza, all’apatia?
Diretto da Stefano Cordella, che ne è anche il regista, OBLOMOV SHOW prende forma grazie al contributo di Dario Merlini, Martina De Santis, Francesca Gemma, Francesco Meola e Umberto Terruso, con le scene i costumi di Stefano Zullo, il disegno luci di Giuliano Almerighi, il sound design di Gianluca Agostini e l’assistenza alla regia di Noemi Radice. L’organizzazione è di Carolina Pedrizzetti con Irene Romagnoli e la produzione di Oyes – La Corte Ospitale con il sostegno di Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro).
Oyes: perché la compagnia ha questo nome e qual è la vostra poetica?
Stefano: Oyes nasce nel 2011 grazie ad un gruppo di attori diplomati all’Accademia dei Filodrammatici di Milano. Data l’ambivalenza della parola, che in spagnolo significa sentire, ascoltare e in inglese è un’esclamazione di positività, per noi è centrale il bisogno di ascolto reciproco. Questa necessità nutre la creazione di ogni nostro progetto, in quanto senza ascolto emerge lo scontro, ed è fondamentale soprattutto in scena dove si genera la relazione tra i personaggi. Anche le nostre drammaturgie nascono da un lavoro collettivo dove è centrale la condivisione di tutti i nostri orizzonti. Rispetto alla nostra poetica, il punto di partenza è sempre stato la psicologia sociale, come l’esperimento carcerario di Stanford in Effetto Lucifero o le sette religiose e il loro meccanismo in Luminescienz fino ai classici. Da Čechov e la riscrittura di Zio Vanja in Vania, e Il gabbiano in Io non sono un gabbiano, siamo arrivati Goncarov, uno dei più importanti romanzieri russi di fine Ottocento.
Perché vi siete accostati proprio alla letteratura russa?
Stefano: Ci piace analizzare gli aspetti esistenziali e le condizioni dell’essere umano: i russi sono molto bravi in questo! In questo caso Oblomov è un romanzo del 1859 che ci ha fatto indagare la condizione del fallimento, della disillusione e del passaggio degli anni che apporta cambiamenti in noi e nelle nostre relazioni. Oblomov è infatti un uomo che, a partire da una forte delusione, rinuncia a vivere. A noi interessa esplorare cosa può accadere a un uomo quando smette di confrontarsi con le passioni e col rischio del mettersi in gioco sia dal punto di vista professionale e sia da quello relazionale.
Parlando di “rinuncia alla vita” è inevitabile non pensare al periodo storico che stiamo vivendo. La vostra ricerca quanto e come è cambiata a causa, o grazie, alla pandemia in corso?
Dario: OBLOMOV SHOW ha preso corpo due anni fa ma la pandemia ha interrotto le prove. Nel 2020 è nato però un altro spettacolo su “tematiche oblomoviane” ossia Vivere è un’altra cosa in cui facciamo i conti con quello che sta accadendo agli individui e ai lavoratori dello spettacolo durante la pandemia. E’ inevitabile cogliere il legame tra le tematiche di Goncarov e quelle attuali: un uomo non esce di casa e non ha contatti col mondo così come tutti noi durante il lockdown. Ci sembrava impossibile non tenerne conto e continuare il lavoro senza variare niente! Abbiamo quindi deciso di sfruttare quest’assonanza, cambiando in parte il progetto e legarvi la nostra biografia in un processo che definiamo di autofinzione: partire da noi stessi per raccontare le storie dei personaggi. Vivere è un’altra cosa sta riconfluendo in OBLOMOV SHOW e viceversa.
Stefano: Gli spettacoli si sono nutriti vicendevolmente. E’ interessante ritornare adesso su OBLOMOV SHOW, quando solo un anno fa era strano parlare di uomo distante dalla vita, e sentir risuonare questa condizione in modo potente e familiare. Nello spettacolo c’è quello che stiamo vivendo senza bisogno di esplicitarlo, quella che abbiamo definito la condizione dell’oblomovismo. Se un anno fa era una condizione obbligata ad oggi è un vero e proprio way of life.
L’oblomovismo si nutre del nostro presente proprio come il nostro presente rispecchia la condizione del protagonista…
Stefano: Assolutamente. Quando Dario-Oblomov esplora la condizione di un uomo che non vuole uscire di casa e rifiuta il proprio passato, non può non venire alla mente il periodo attuale. Molti di noi stanno riflettendo sul cosa facevano prima, se possono rifarlo, sul come ricostruirsi un futuro, se si potrà. E’ triste ma alcuni lavoratori dello spettacolo hanno cambiato lavoro.
Dario: OBLOMOV SHOW è un testo sulla paura di uscire e di affrontare la vita, sulla paura di confrontarsi con l’esterno. Sembra proprio che parli di questa condizione senza parlarne direttamente: è prepotentemente attuale! Nonostante il tema profondo, c’è anche un lato ironico che cerchiamo di sfruttare, caratteristica già presente nel romanzo.
Possiamo dire che OBLOMOV SHOW è quasi un pretesto per attuare una ricerca antropologica del nostro presente?
Dario: Naturalmente. Ci sono rimandi alla vita di oggi in cui possiamo specchiarci. Nella nostra riscrittura accostiamo il personaggio al mondo dell’arte e dei lavoratori dello spettacolo perché Oblomov è un regista che ha abbandonato la professione. Nello spettacolo presentiamo diversi tipi umani, ceti sociali e situazioni diverse in cui tutti si confrontano col tema.
Stefano: Anche se Oblomov è legato al mondo del teatro, i personaggi che gli gravitano attorno, permettono allo spettatore di identificarsi al di là del mondo dell’arte. E’ interessante anche il fatto che, alcuni di loro, verranno risucchiati dalla medesima condizione di standby.
Dalle vostre parole mi sembra di capire che la posizione da voi assunta sia quella egualitaria, come se non esistessero né gerarchie sociali né anticorpi all’oblomovismo…
Stefano: Esattamente. La famiglia di Oblomov è ricca e sia lui che il fratello, universitario procrastinatore che rappresenta una variazione della medesima condizione esistenziale, stanno dilaniando il patrimonio familiare. Seguiranno altri personaggi di provenienza da ceti sociali più bassi.
Vorrei approfondire la vostra metodologia di lavoro al fine della creazione di una drammaturgia originale. Potete parlarmi della ricerca collettiva dal romanzo al testo scenico?
Stefano: Il primo step comprende la lettura del testo e la libera condivisione di suggestioni e improvvisazioni con gli attori, cercando connessioni tra i personaggi e le biografie personali. Segue poi un tempo di sedimentazione in cui preparo un soggetto, la struttura ispirata al romanzo con i vari conflitti narratologici e lo sviluppo dei personaggi. Il secondo step si attua tornando in sala prove e improvvisando, quindi creando materiale drammaturgico grezzo dalle parole degli attori. Da qui scriviamo il testo. In questo caso Dario si è occupato di una prima bozza, prima del lockdown, da cui siamo ripartiti durante la Residenza.
Dario: La nostra ricerca verso una drammaturgia originale presenta elementi costanti. Ci basiamo fortemente sul lavoro attoriale e sull’improvvisazione in scena perché è lì che capiamo il ritmo delle scene e le dinamiche interne. La bozza su cui stiamo lavorando adesso è suscettibile di modifiche proprio perché è in fase di verifica sul palco.
Stefano: Gli attori hanno così una direzione chiara ed è più facile registicamente capire se lo spettacolo funziona. Io sono l’occhio d’insieme che supervisiona l’effetto dei cambiamenti in scena.
A che punto della ricerca fisica-attoriale vi trovate?
Francesca: Stiamo riportando in vita le suggestioni nate durante le prime improvvisazioni, ossia la fisicità e le relazioni tra i personaggi. Grazie al testo stiamo cercando il nostro modo di stare in scena approfondendo maggiormente le situazioni. Adesso siamo più consapevoli.
Stefano: I personaggi sono il primo elemento a prender vita. Da qui segue il testo che lega l’attore al personaggio.
Anche la scelta attore-personaggio segue una logica collettiva?
Stefano: Di solito assegno i ruoli ma, dove scorgo più possibilità, rifletto con l’attore che lavora su più ruoli.
Dario: Il lavoro collettivo e iniziale è proprio senza ruoli: tutti interpretano tutti, improvvisando sia per le parti femminili che per quelle maschili.
Francesca: I contributi collettivi sono fondamentali perché ognuno di noi apporta proposte rispetto a un bisogno o a un desiderio del personaggio.
Martina: E’ interessante che molte suggestioni iniziali si siano sedimentate e siano presenti tutt’ora.
Essendo una drammaturgia originale tratta da un romanzo, quali punti specifici avete prediletto?
Francesco: OBLOMOV SHOW è il frutto di scelte specifiche. Non potendo descrivere ogni personaggio abbiamo deciso di restituire una specifica atmosfera: l’immobilismo. Puntiamo infatti all’evocazione di una particolare sensazione di inattività.
Martina: Nonostante il tema lo spettacolo non è statico ma vi è una dinamicità molto forte. Esiste infatti un polo magnetico attorno al quale ruotano i personaggi, dove il cuore delle dinamiche relazionali è mantenuto ed esplorato secondo la nostra sensibilità. I movimenti sono più emotivi-psicologici che fisici.
“La sfida è quella di trattare un tema così delicato attraverso una chiave ironica e tragicomica che permetta di far emergere i cortocircuiti più oscuri e inquietanti della mente umana e delle relazioni interpersonali.”
Oyes su OBLOMOV SHOW