16 Gennaio 2021

Adriana Borriello vs. ricerca coreografica. In residenza con il progetto formativo DA:RE dance research

Intervista di Elena Pancioli

Adriana Borriello - Armunia - Foto di Daniele LaorenzaAdriana Borriello con il progetto formativo DA.RE dance research, in residenza ad Armunia, ha lavorato con un gruppo di studenti ai quali ha trasmesso il suo bagaglio di ricerca performativa sul corpo ontologico, musicale e antropologico, e in particolare sulla pratica del Thai Chi che negli anni la stessa artista ha approfondito. L’obiettivo è stato quello di creare nuove connessioni e conoscenze, peculiari legami fra il gruppo e l’ambiente naturale.

 

Cos’è DA.RE dance research e come è cambiato il progetto con il lockdown?

Il progetto DA.RE dance research ha un sottotitolo molto lungo ma anche molto descrittivo: Sistemi dinamici per la trasmissione e la ricerca nelle arti performative contemporanee ed è un progetto dedicato al perfezionamento performativo e alla ricerca rivolto ad adulti che hanno già una formazione di base. Veicola conoscenze e ricerche personali degli artisti ospiti dentro un programma formativo che pone l’arte coreutica al centro pur abbracciando i differenti linguaggi della scena. Il progetto è triennale e nel 2020 eravamo al terzo anno, con il lockdown si è scompaginato tutto. In più il progetto è particolare perché itinerante, non abbiamo una sede fissa. La collaborazione con Armunia è perciò per noi preziosissima nel quadro dell’itineranza, ma anche, e soprattutto, per il rapporto di stima reciproca e di affinità di vedute. Inoltre è un progetto che non si indirizza ad una sola figura professionale, ma nel corso del triennio si cerca di accompagnare gli studenti verso le proprie propensioni.
Questo si realizza attraverso delle esperienze di stage e tirocinio in luoghi, situazioni e realtà che danno la possibilità di approfondire il ramo dell’interpretazione, della didattica, soprattutto in ambito sociale, della coreografia e della creazione ibrida, poiché parliamo di arti performative contemporanee. Comunque ad un certo punto tutto quello che avevamo programmato è saltato, ci siamo fermati come tutti quanti e chiaramente la parte di stage e tirocini è stata quella più colpita.  Nei mesi del lockdown, abbiamo attivato altre attività online: alcune di tipo teorico, aperte a chiunque volesse partecipare, e sono andate molto bene. Altre lezioni, invece, di tipo pratico-teorico e creative, presupponevano dei focus di lavoro da sviluppare individualmente e poi da analizzare, sviscerare, discutere durante i confronti online. Quest’ultima esperienza è stata particolarmente interessante, devo dire che tutte mi hanno aperto orizzonti che adesso desidero esplorare.

In residenza ad Armunia su cosa avete lavorato e che cosa vi ha lasciato questa esperienza?

Quest’anno erano previsti tre moduli dal titolo Repertorio Borriello vs ricerca coreografica, in cui la didattica e la ricerca sono due facce della stessa medaglia. Nei Focus trasmetto pezzi tratti dal mio repertorio, partiture esatte, scritte, con l’obiettivo di riaprire i giochi verso nuove ricerche comuni. Guido i percorsi di ricerca condivisi che abbracciano sia la parte corporea, scenica, figurativa che quella teorica ed interpretativa. Ad Armunia ho fatto il secondo di questi Focus e devo dire che questo tipo di lavoro implica un’immersione totale per cui la condizione residenziale è ideale.
Voglio sottolineare quanto sia importante per me la collaborazione con Armunia, a partire dalla relazione di stima con Angela Fumarola e Fabio Masi, e anche per la possibilità di costruire insieme. DA.RE nella sua anima itinerante ha l’obiettivo di creare condivisione: lavorare sulle individualità a partire da proprie visioni, ma rimanendo comunicanti nei confronti di altre realtà e altri pensieri, poiché credo che oggi sia l’unica forma di relazione possibile per andare avanti. In questa residenza abbiamo sfruttato anche la condizione di bellezza e aria pura di questo luogo. Nel concreto, poi, spero proprio che si stiano creando dei linguaggi condivisi, perché lo scopo di questo lavoro è quello di poter offrire un’esperienza profonda che apra ad altro.

Ti volevo chiedere qualcosa riguardo le pratiche corporee specifiche del tuo lavoro sul corpo antropologico, musicale e sul Thai chi…

I pezzi che ho scelto per questa sezione del lavoro sono del 1997 e fanno parte del mio inizio di percorso e processo creativo legato a ricerche antropologiche sulle tradizioni popolari, in particolare del rito. L’intento, però, tra la trasmissione del repertorio e l’apertura a nuove ricerche, è proprio quello di far emergere dei nuovi stimoli per poter far nascere altre domande, altri cammini, altri oggetti artistici. Credo che ci siano già dei germi per possibili altri sviluppi, ma lo vedremo solo con il tempo. Il Focus di lavoro che ho scelto oltre al repertorio include anche il Tai chi che è un veicolo di grande e particolare raffinatezza rispetto alla capacità di unire la precisione formale con la presenza del qui e ora, ogni volta diversa. Il Tai chi è un’arte marziale per cui, o colpisco o paro o eseguo altre azioni concrete in assenza dell’avversario. Ciò significa che sono coinvolto con tutto il mio corpo e la mia psiche in un equilibrio costantemente mutevole che mette a fuoco e unifica il visibile e l’invisibile del movimento.
Nella pratica della danza significa esercitare la reale capacità di eseguire il movimento in sé secondo la funzione che avrebbe nell’atto concreto, ma senza la realtà della concretezza, nell’astrazione, dunque. Sono coinvolto in un fare che diventa un’azione concreta defunzionalizzata, perché non c’è l’avversario e questo per me è la quintessenza della danza e del lavoro sulla presenza. In questa dinamica subentrano anche gli aspetti del tempo e dello spazio e la loro consapevole identificazione durante l’azione di movimento. L’altro elemento che alimenta sia la dimensione musicale che antropologica del lavoro sul corpo che faccio, qui messo a fuoco in maniera molto precisa, è il lavoro sulla condivisione del gruppo, sia per pratiche corporee specifiche che per quelle di improvvisazione che, al tempo stesso, permettono di esprimere il più possibile le individualità. Quindi attraverso l’espressione di sé si crea questo uno-collettivo. Sembra una contraddizione, ma quello che si deve esprimere è il concetto secondo cui l’uno è necessario all’altro, un’espressione di presenza nel collettivo.
Io attribuisco grande valore alla possibilità di lasciar circolare e fuoriuscire tutto ciò che avviene, perché al di là di te, di quello che tu decidi o desideri far passare o trasmettere, ci sono cose che avvengono da sole, che non puoi controllare e credo dunque che siano quelle più importanti, quelle che ti oltrepassano.

A cura di:
Elena Pancioli

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