28 Ottobre 2020

Perdersi e ritrovarsi ne “Il mondo altrove” di Nicola Galli

Intervista di Elena Pancioli

Nicola Galli - Armunia - Foto di Daniele LaorenzaImmaginiamoci delle figure indigene che danzano con maschere e costumi variopinti, che evocano uno spazio indefinito, sconosciuto e diverso dal nostro.
Dobbiamo esplorarlo, osservarlo e trovare delle tracce.

Questo è Il mondo altrove, nuovo lavoro del danzatore e coreografo Nicola Galli, incontrato in residenza ad Armunia durante la fase di studio dell’opera.

Nicola Galli - Armunia - Foto di Daniele Laorenza Per questo progetto ti ispiri a Gilles Clément e Claude Lévi-Strauss, cosa ti ha interessato di loro e quali connessioni hai ritrovato tra i due e le tue idee artistiche?

Mi sono avvicinato di più a Clément poiché lavora sul rapporto uomo-natura da botanico e filosofo, oltre ad essere uno scrittore, lavora su tutto ciò che comprende la natura. Lui con la definizione di Terzo paesaggio descrive la capacità di riappropriazione, da parte della natura, di spazi che l’uomo ha costruito e successivamente abbandonato, quindi vede le piante come dei veri e propri esseri pensanti. Poi, recentemente, mi sono appassionato a Lévi-Strauss, ai suoi viaggi fatti nel corso della sua vita, soprattutto agli incontri con le tribù indigene del Brasile. Dunque si può ritrovare anche in questo caso, la voglia, la tendenza di scoprire mondi altri in un mondo così inesplorato come era quello in cui viveva, pieno di insidie e di incertezze. C’è una prosecuzione di una mia passione, cioè l’importanza quasi vitale che io do al rapporto uomo e natura e in questo caso il titolo della mia opera è significativo, perché dà l’idea di ricerca, l’idea di voler esplorare qualcosa che è indefinito, è “altrove”, ancora da conoscere.

INicola Galli - Armunia - Foto di Daniele Laorenza n questo mondo altro e diverso, in cui l’uomo si addentra, cosa ricerca, perde e deve ritrovare?

In generale quando noi ci approcciamo a qualcosa che non conosciamo scatta subito un confronto con il nostro vissuto sia personale che di categoria: di genere, di provenienza, di sesso; tutto ciò che conosciamo viene usato come chiave di lettura e paragone con ciò che non comprendiamo, già qui avviene qualcosa di incidentale, poiché usiamo qualcosa che è talvolta incompatibile con lo sconosciuto e straniero. Ho lavorato, in questa creazione, sull’idea di perdita e dimenticanza delle proprie radici per poter entrare in contatto con radici altre. Nell’incontrare uno sconosciuto ho sempre l’idea che ci possa essere grande scambio e conoscenza reciproca. Quello che vorrei fare io come autore è far emergere questa “chiave di lettura” e far sentire e partecipare lo spettatore come un vero e proprio straniero che si trova davanti a qualcosa di sconosciuto, a una realtà che non ha mai toccato con mano o con la mente.

Nicola Galli - Armunia - Foto di Daniele Laorenza In un altro tuo lavoro JUPITER AND BEYOND, facente parte della tua ricerca su mondi altri, portato ad Armunia nel 2014, a proposito del ruolo dello spettatore, affermavi di voler tenere una certa distanza, mentre in quest’opera cerchi di includerlo: «non dovrà più essere solo spettatore, ma dovrà a tutti gli effetti essere partecipe della cerimonia e della ritualità». Cos’è cambiato?

Per quell’opera lavorammo su Giove, un pianeta estremamente lontano, dunque erano fondamentali le idee della lontananza e della distanza per riuscire ad approcciarsi a mondi altri. Questa traccia, questa linea è rimasta sempre sotterranea, ma si è evoluta. I mondi non sono più lontani e non esistano le canoniche coordinate spaziali del teatro (non c’è la zona oscura tra lo spettatore terrestre e il paesaggio di Giove, paesaggio extraterrestre al di fuori della terra) ma, ne IL MONDO ALTROVE lo spettatore, non più definito nella concezione canonica, si presenta come testimone attivo. La distanza però non sparisce perché non assisteremo a un coinvolgimento attivo nello spazio: delineiamo una sorta di confine tra il nostro mondo e quello dei nostri partecipanti. Infatti vogliamo mostrare questi rituali e pratiche sconosciute. È nell’idea di presentarle, esporle, osservarle (come facciamo già nel nostro mondo) lo spettatore diventa un testimone, così come lo fu Lévi-Strauss con le tribù indigene. Vorrei infatti chiedere allo spettatore di fare l’antropologo, per studiare e capire questo mondo altro come verosimile realtà. È la richiesta di attivarsi per ricercare delle tracce, come fanno i veri e propri antropologi.

Nicola Galli - Armunia - Foto di Daniele Laorenza Cosa hai ripreso dai rituali e dalle cerimonie riportate negli studi di Lévi-Strauss? A cosa ti sta ispirando nella costruzione delle maschere e dei costumi?

Ci sono diverse matrici che abbiamo utilizzato. Per quanto riguarda la maschera abbiamo deciso di studiare le modalità con le quali la maschera nel corso dei secoli è stata utilizzata. In quest’opera vediamo la maschera che cela il viso dell’interprete e, nello stesso tempo, ne ricalca i tratti e la fisionomia. Stiamo lavorando anche sul materiale: piccoli oggetti di stoffa e ottone. Le maschere sono composte da un reticolato di metallo su cui gli oggetti vengono direttamente cuciti. Questa base di reticolato lascia vedere agli interpreti le loro azioni, quindi ha una sua funzionalità, ma d’altra parte cela i danzatori. Dunque la costruzione di queste maschere è soprattutto un processo che io ho attivato insieme al gruppo di lavoro, ho proposto i materiali e le forme. La stessa cosa vale anche per i costumi. Non svolgono semplicemente la funzione di vestire, o di mostrare solo parti del corpo, ma anche qua lavoriamo sulla funzione simbolica. La partitura coreografica e la parte di tecnica-gestuale è costruita insieme ai costumi e alle maschere, sono la base per creare nuove forme del corpo e influire sul movimento. È proprio una sinergia: l’idea di funzionalità si integra con la simbologia dei colori, dei materiali, delle forme, delle pratiche del decoro e culto del corpo.

A cura di:
Elena Pancioli

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