Diario di #Inequilibrio2020: cos’è un festival?
di Elena Pancioli
Cos’è un festival?
Potremmo dire genericamente che un festival è una manifestazione artistica che si tiene periodicamente sempre nella stessa località per presentare al pubblico opere musicali, teatrali o di danza e che per la sua realizzazione lavora una un’equipe specializzata composta da direttori, organizzatori, tecnici e artisti.
Tutto è iniziato con queste due parole: «Che disastro!» pronunciate da Chicca, protagonista di Svergognata di Antonella Questa che ha inaugurato l’anteprima del Festival Inequilibrio 2020, all’anfiteatro di Castello Pasquini, a Castiglioncello (LI). Un’affermazione forte che poteva preannunciare una via d’uscita oppure no; questo spettacolo ha affrontato temi quali l’accettazione, la rinascita, la fiducia e l’equilibrio, con non poche difficoltà, perché nella vita come in teatro funziona così. Anche Armunia, come Chicca, dopo lo smarrimento ha resistito alla possibilità di bloccare tutto, e con forza è ripartita proprio da lì, dal disastro.
La riscoperta di sé, in questo festival, è passata anche attraverso l’incontro con i classici raccontati in modo ironico. Così, nella seconda serata, ci siamo riscoperti studenti nel divertente spettacolo Dialoghi degli dei della compagnia I Sacchi di Sabbia, con la regia di Massimiliano Civica, andato in scena in prima nazionale proprio durante il Festival Inequilibrio 2016, per i vent’anni di Armunia e riproposto in una versione leggermente aggiornata. L’ironia è stato quindi il filo conduttore delle prime due sere di festival che, come ha detto la Questa, serve a sollevare il giudizio su noi stessi e sugli altri, per farci capire a che punto siamo della nostra vita e darci la possibilità di cambiare, di indossare un nuovo paio di scarpe. E anche I Sacchi di Sabbia non sono stati da meno, ci hanno fatto riflettere, attraverso la comicità, sulla nostra società, sui nostri valori.
Per noi il festival è iniziato durante il soggiorno al Castello di Rosignano Marittimo dove ogni artista di passaggio è stato depositario della propria arte, conoscenza e progetto. In questa situazione di emergenza sanitaria, la distanza ci ha fatto e ci fa stare, spesso, soli con noi stessi, ci permette di ascoltarci, ma allo stesso modo, gli incontri tempestivi, fugaci ci hanno donato sempre qualcosa.
La cucina, l’odore di bucato pulito, gli abitanti del borgo hanno reso le nostre giornate intime e familiari e soltanto quando arrivava l’ora dello spettacolo, l’entrata del pubblico nell’anfiteatro del Castello Pasquini, con la loro voglia di uscire e tornare a condividere le emozioni che solo la presenza dell’artista può dare, ci riportava con i piedi per terra, nel qui e ora del teatro e del Festival. Il discorso di Fabio e Angela, (i due condirettori), prima degli spettacoli ci ha ricordato che alla paura che avevamo vissuto in questi mesi, dovevamo sostituire la voglia di cominciare, di vivere questa nuova esperienza, di emozionarsi nel vedere gli artisti tornare in scena dopo tanto tempo, condividere con loro questa emozione. Con sguardo curioso gli spettatori di questa particolare edizione del festival ci hanno dimostrato quanto tengano allo spettacolo dal vivo, presentandosi numerosi e regalandoci quasi ogni sera un sold out.
Nella terza serata ci siamo affacciati al mondo della performance e della danza. In Space Oddity Sara Sguotti ha invitato il pubblico a partecipare attivamente all’evento, a incidere in modo sincero alla creazione di relazioni. Giuseppe Muscarello con la presentazione dello studio di Quattro Canti ha stuzzicato l’immaginazione del pubblico, trasportandolo in una visione surreale della famosa piazza di Palermo, dove il danzatore ha immaginato che, nel silenzio assordante della pandemia, le quattro statue che da sempre immobili osservano i quattro canti della piazza, potessero prendere vita e danzare.
Altro pilastro artistico insieme al teatro e alla danza è stata la musica. Con la musica in questi giorni abbiamo viaggiato lontano nello spazio e nel tempo. Siamo andati in Cile e tornati in un’Italia antica, che si sta ancora evolvendo, mescolandosi con tante culture diverse: fra le tante quella Africana, Albanese, Indiana.
Come in ogni percorso artistico e musicale la ricerca è alla base; ciò che accomuna gli artisti che hanno presenziato al festival è l’osservazione delle radici del proprio popolo, che sono state ereditate e rielaborate con materiali nuovi, generi musicali diversi che li distinguano dagli altri.
La Violeta Parra che raccontano il Duo Lopez – Arevalos nel Tributo a Violeta Parra parte dal Cile e si mette in viaggio con loro, accanto a loro, nelle loro vite di figli dell’America Latina e italiani. È significativa la canzone Gracias a la vida che il duo ha riproposto in due versioni: una più personale, quasi ballata, e una più fedele a quella di Violeta.
Con l’arrivo de Il loop della Murgia di Pino Basile ci siamo immersi nelle storie della tradizione contadina e pastorale italiana del Mediterraneo, negli strumenti effimeri della tradizione: costruiti per gioco o per un evento particolare, composti con ogni materiale trovato in natura (legno, pelle, canna, foglia, ecc) e per questo non durevoli. Ci tiene Pino a ricordarci che anche se i suoni e la lingua, oggi, sono un po’ cambiati, la sofferenza e il duro lavoro rimane lo stesso, tra i raccoglitori di pomodori, tra i contadini, tra i pastori. A guidarci in questo viaggio la Cupa Cupe, i tamburelli, i Bubbù del territorio della Murgia.
È impossibile forse non sentirsi partecipi di uno scambio, un baratto, sensazione confermata anche nell’ultima sera del festival, durante BLIND DATE 2.0 di Giselda Ranieri e Pino Basile. Un appuntamento al buio tra due artisti che mai prima si erano incontrati e che hanno messo in scena un’improvvisazione di danza, musica e luce, a cui il pubblico ha partecipato con entusiasmo, contribuendo con la sua presenza a creare questo fugace incontro.
L’ultimo spettacolo è stato quello di Piergiorgio Milano che con Denti ha dato modo al pubblico di provare emozioni sottili, spesso nascoste infine esorcizzate attraverso il gesto, il movimento, la musica e la canzone di Gian Maria Testa carica di parole profonde e importanti.
Tornando alla domanda iniziale, dopo averne ripercorso le tappe, potremmo concludere che un festival, o almeno questo festival, seppur un’anteprima di quello che sarà a settembre, è ricerca, empatia, collaborazione, distanza, spaesamento, crescita, riscoperta, incontri. Serve a ricomporre una comunità, a riflettere su noi stessi e sulla nostra società, a confermare dei legami, a stuzzicare la mente, a scoprire passioni, a metterci in discussione. Questa prima parte del festival non è stata la stessa degli altri anni, ma non è stata poi tanto diversa, grazie alla presenza viva e al calore delle persone, nonché alla professionalità di tutti quanti i lavoratori.