28 Ottobre 2019

Claudio Morganti: ipotesi di un processo a partire dal caso Woyzeck

Intervista di Benedetta Pratelli

Claudio Morganti - foto di Antonio FicaiIn residenza ad Armunia incontriamo Claudio Morganti, alle prese con Il caso W., nuova drammaturgia di Rita Frongia. Ispirato a Woyzeck di Büchner, opera intorno alla quale i due artisti gravitano ormai da molti anni, il nuovo lavoro è in realtà il risultato di una serie di letture e approfondimenti non soltanto relativi al caso giudiziario di Johann Christian Woyzeck ma anche ad altri fatti emblematici della storia passata e presente.

Inizio col chiedere a Claudio Morganti perché ancora una volta abbiano deciso di affacciarsi a questo testo e in che modo i precedenti lavori confluiscano in questa nuova opera.
Io frequento WoyzecK da quando ho cominciato a fare teatro, in questo caso siamo arrivati qui con un testo di Rita Frongia quasi finito e stiamo cominciando a verificarlo, a fare le prime prove con gli attori. Lo spettacolo è slegato dal punto di vista formale dall’opera di Büchner: trae spunto da WoyzecK ma si sviluppa in maniera autonoma. Si tratta dell’ipotesi di un processo a WoyzecK, come in realtà è accaduto nella storia.

Büchner per scrivere questo testo si ispirò a tre fatti di cronaca del suo tempo, uno dei quali poi si risolse comunque con la condanna a morte e con l’esecuzione dell’imputato, ma per il quale ci fu un tentativo di dibattere in aula: per la prima volta nella storia venne istituito un nuovo processo per riflettere sulla questione della capacità di intendere e di volere. Ecco, noi ci stiamo divertendo a immaginare quella situazione: naturalmente non si tratterà di cronaca, ma sempre di un lavoro di fantasia, di teatro.
Possiamo  definirlo uno spettacolo ibrido con una grande predominanza di commedia.

Claudio Morganti - foto di Antonio FicaiNella vostra presentazione leggiamo riferimento anche ad altri processi, da quello a Pierre Rivière ad altri più contemporanei come quello a Pacciani o Parolisi. In che modo questi casi entrano nel vostro lavoro? 
Come ispirazione… non è facile scrivere in maniera teatralmente credibile una situazione di tipo giudiziario senza documentarsi. La frequentazione dei processi ai quali noi abbiamo accesso come cittadini, tramite internet, ti cattura e ti permette di individuare diverse linee. Sicuramente in questo caso c’è stata prima di tutto la lettura del memoriale di Pierre Rivière,  un caso francese analogo a quello di WoyzecK e a lui contemporaneo. Poi abbiamo visto film, documentari di processi, più che altro in vista del tratteggio di alcuni personaggi: i due avvocati, la difesa, il giudice, i testimoni… Tutti sono in qualche modo ripresi da WoyzecK ma sono naturalmente molto trasformati, riscritti e rielaborati: si tratta di un lavoro di creazione.

Quanto degli studi precedenti e dei lavori precedenti su WoyzecK ritroveremo nel nuovo spettacolo, in che misura hanno influito?
Parto dal presupposto che io non concepisco il prodotto: quando si parla di processo creativo si tende a pensare che il processo sia il periodo di tempo e di prove che consente di arrivare a un risultato finale, ma secondo me non dobbiamo parlare di prodotto perché per quanto mi riguarda il processo è il prodotto. Questo per dire che non c’è mai un atto finale: c’è un lavoro di costante e sottile improvvisazione, di ricerca tra gli attori. In questo senso ogni replica è uno studio.

Quindi possiamo dire che questo nuovo lavoro sarà la prosecuzione di un processo iniziato negli anni scorsi relativo al testo di Büchner…

Esatto! Sta proseguendo e proseguirà anche durante le repliche spero, perché quando un processo si ferma muore la materia. C’è invece bisogno di cose vive, di dubbi, di ricerche di inciampi di sbagli. Il fotografo Miroslav Tichy diceva “che gusto c’è se in una foto non c’è neanche un errore?”: questa è un’estremizzazione ovviamente, ma in in un certo senso mi  auguro di mantenere la possibilità dell’errore, perché è ciò che ti garantisce la nascita di qualcosa. Può rivelarsi un errore oppure una creazione straordinaria, ma in ogni caso si tratta di qualcosa che accade in quel momento e che possiamo vivere soltanto quella sera… Altrimenti che senso ha lo spettacolo dal vivo, cosa vuole dire? Dal vivo non significa che ci sono delle persone che si muovono: dal vivo vuol dire che viviamo una situazione.

Claudio Morganti - foto di Antonio FicaiPartendo dunque dal concetto di un processo, lungo anni e in continua evoluzione, come si riprende in mano un progetto a distanza di molto tempo e con attori anche nuovi?

Ci si fida di un proprio sentire. Io non ho mai lavorato con Paola Tintinelli, ma la conosco molto bene: so come lavora e lei sa come lavoro io. Con Gaetano Colella abbiamo lavorato insieme nel Riccardo III. E poi ancora ci sono Luca Serrani, Isadora Angelini, due colonne del Libero gruppo di studio che porto avanti da una decina d’anni. Ci conosciamo tutti umanamente e io credo che questa sia la base, perché il teatro è un arte dell’umano. Io non credo a quelle questioni sul physique du rôle, sull’essere portati o meno per una parte: come faccio io a sapere com’è un attore con cui non ho mai lavorato? Secondo me è giusto invece passare dieci giorni insieme all’attore e vedere come si sta con quella persona. Se con un attore stai bene fuori dalla scena allora ci starai bene anche in scena e viceversa: certo, non sempre funziona, ma la maggior parte delle volte si!

Claudio Morganti - foto di Antonio FicaiIn questo senso secondo me le prove non servono per definire ma soltanto per stabilire alcune regole. Non dobbiamo provare troppo: bisogna provare poco e bene. E se proprio non possiamo provare bene, almeno proviamo poco: è importante tenere aperte le possibilità anche del fallimento.  È difficile, perché gli esseri umani, ma soprattutto gli attori, tendono a non voler rischiare, a costruirsi un terreno solido su cui poggiare i piedi, un passo dopo l’altro. Proprio per questo secondo me con gli attori bisogna costruire un terreno solido a cena e in scena liquefarlo, renderlo liquido, spaccato, pieno di fessure, di possibilità, così da permettere di vedere qualcosa ma anche di caderci dentro.

Il caso W., coprodotto da Teatro Metastasio di Prato, TPE, Armunia e Esecutivi dello spettacolo, debutterà al Teatro Fabbricone di Prato il prossimo 7 novembre.

A cura di:
​Benedetta Pratelli

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