KanterStrasse e la residenza dal sapore nordcoreano
Intervista di Daniele Laorenza
La Stagione 2018 l’aveva già vista protagonista nel primo weekend di febbraio con lo spettacolo Amletino e la mostra dei disegni dell’illustratore Andrea Rauch, stavolta però la Compagnia KanterStrasse è in residenza tra le mura del Castello per una prima fase di studio del suo futuro spettacolo che probabilmente avrà come protagonista il dittatore nordcoreano Kim Jong-un e la sua dinastia.
Quello che la formazione composta da Alessio Martinoli, Francesco Manetti e Simone Martini sta cercando di sviscerare è un tema forse insolito ma attuale e che offre un’opportunità di capire meglio anche il nostro mondo occidentale, come da loro stessi affermato.
I protagonisti della residenza si sono fatti coinvolgere in una chiacchierata nella quale hanno parlato di questo prossimo spettacolo, del loro rapporto con l’illustrazione, da dove nasce la volontà di lavorare con e per i “piccoli uomini” e, infine, della residenza artistica.
INTERVISTA
Cosa ci fate in residenza?
Francesco Manetti – Siamo venuti in residenza per portare a termine lo studio che stiamo affrontando su Kim Jong-un e la dinastia Kim nordcoreana; quindi Kim Il-sung, Kim Jong-il e infine Kim Jong-un. Abbiamo trovato tanto materiale di partenza e sappiamo che è un tema difficile da affrontare a causa del suo essere da una parte tragico e dall’altro grottesco e comico. Dobbiamo trovare una chiave per lavorarci su anche perché Kim Jong-un è un personaggio d’attualità e il suo essere tragicomico rende subito questo personaggio teatrale. Siamo in residenza perché ci serve un tempo di libertà creativa per studiare e continuare a ricercare materiale per non creare né una biografia del personaggio né, tantomeno, un’opera di propaganda occidentale.
Come mai la scelta di questo tema?
Francesco Manetti – Siamo partiti senza sapere perché ci affascina questo argomento, lo stiamo capendo in questi giorni, però la figura di Kim Jong-un ci sembra un’occasione teatrale contando che, in questo periodo storico, si contrappone a lui Trump che è altrettanto teatrale come personaggio. Sicuramente un’operazione che non vorremmo fare è quella di creare un’opera di condanna, non ci interessa. Una cosa che ci sta affascinando sempre di più è che, attraverso l’analisi del dittatore nordcoreano e del suo Paese, possono venir fuori tante contraddizioni della civiltà occidentale: l’isolamento ha reso questa nazione “aliena” come nessuna prima di lei, sembra proprio un’astronave extraterrestre messa nel mezzo del nostro mondo e abbiamo cominciato a capire che ci può dare una visione esterna di noi.
Simone Martini – Cioè, guardandoci attraverso la loro visione e il loro punto di vista, iniziamo a vedere delle forti contraddizioni nella nostra cultura.
Francesco Manetti – Questo anche nelle piccole cose tipo gli oggetti quotidiani. Questo isolamento, che nell’ultimo decennio è aumentato invece che diminuito, l’ha reso un Paese “puro” in un certo senso (a livello di “esperimento antropologico e sociale”, naturalmente) e questo confronto con la nostra cultura non ci parla solamente di loro, ma anche tanto di noi e di come diamo per scontato tante cose della nostra vita quotidiana che invece, in un luogo come la Nord Corea, sono aliene. Questo ci sta piacendo.
Simone Martini – Stiamo analizzando anche il discorso che noi vediamo e analizziamo le cose con gli occhi influenzati dai pensieri di quelli che sono stati i nostri vincitori nel corso della Storia, ma se avesse vinto qualcun altro, un altro “mondo”, un’altra cultura, con quali occhi vedremmo?
Francesco Manetti – Ovviamente non abbiamo né i mezzi né i modi per leggere tutto ciò da un punto di vista politico, ma dal punto di vista estetico sono le domande che ci stiamo ponendo proprio in questi giorni. L’estetica che fa parte del mondo di Kim Jong-un ci sembra ridicola, puerile perché la guardiamo attraverso i nostri occhi; ad esempio abbiamo guardando un’opera teatrale scritta dallo stesso Kim Jong-il e ovviamente ci veniva da ridere però abbiamo riconosciuto una sua forza.
Riprendendo il vostro ragionamento sulla “chiusura aliena” della Corea del Nord, questo isolamento vi lasca più spazio all’immaginazione?
Francesco Manetti – Sì, ci lascia spazio all’immaginazione. Stiamo cercando di creare una struttura mitologica ed epica che arriva dal passato fino al presente, ma il nostro obiettivo, nonostante in questi giorni abbiamo lavorato a una sorta di prologo mitologico che ripercorre la storia della nascita del Paese fino all’arrivo dell’ultimo dittatore, è arrivare a lavorare sul privato di Kim Jong-un oppure a una sua giornata tipo. Divideremo sicuramente l’opera in due e la prima parte sarà il racconto epico del Leader Supremo della Repubblica Popolare Democratica di Corea e la sua storia. Per questa parte ci affideremo a testi ufficiali; esiste ad esempio la biografia di Kim Jong-il che ricalca molto la forma delle biografie occidentali.
Simone Martini – L’unica differenza con quelle occidentali è che nella Corea del Nord, non essendoci separazione tra Religione e Stato, è tutto ufficiale: anche la leggenda, il mito.
Francesco Manetti – Il nonno di Kim Jong-un, Kim Il-sung, è quasi una versione guerrigliera di San Giuseppe che, in mezzo alla battaglia, fa nascere il figlio e ne rendono omaggio i guerriglieri anziché i pastori. A tre settimane, il futuro successore alla carica politica già camminava e a sei sapeva parlare.
Alessio Martinoli – A tre anni, invece, vede una mappa del Giappone, ci butta dell’inchiostro sopra e avviene per questo una catastrofe in Giappone.
Francesco Manetti –Nella biografia ufficiale, Kim Jong-un non defeca, mai. E neanche dorme: il giorno lavora e la notte studia.
Simone Martini – Io a tutto questo ci credo e nessuno riuscirà a farmi cambiare idea (ride).
Francesco Manetti – Comunque tutti e tre i Kim sono descritti come uomini infinitamente umili che rifiutano tutti gli onori perché il popolo è ed è sempre stato il loro Dio, è uno dei motti.
Cambiando argomento, mi è piaciuto molto l’aspetto della vostra Compagnia di fare progetti che uniscono sia il teatro sia le arti visive. Da dove nasce la voglia di mescolare i due generi artistici?
Simone Martini –Durante il nostro percorso abbiamo capito di avere la necessità di trasmettere qualcosa alle nuove generazioni: per questo abbiamo deciso di portare i testi classici a tutti, ci sembrava una cosa interessante e un modo per poterlo fare, soprattutto agli inizi, era quello di legarci all’illustrazione. E’ nato tutto così, dall’incontro con l’artista Andrea Rauch e dalla nostra voglia di trattare i ragazzi da giovani adulti e non da bambini, non ce n’era bisogno. La nostra speranza è che questi ragazzi prendano poi in mano i testi classici di loro spontanea volontà.
Francesco Manetti – Io credo che l’illustrazione ti costringa a una sintesi, scegliendo i momenti salienti di una storia senza perderne la continuità. Questo credo sia un’operazione di pulizia enorme che aiuta parecchio poi nell’ambito teatrale. Inoltre, già guardando l’illustrazione, puoi capire la trama senza il bisogno di spiegazioni per cui, quando poi vedi lo spettacolo, non ti devi sforzare di comprendere perché è un’operazione che hai già compiuto, ma ti puoi dedicare alle immagini, alle emozioni e questo credo aiuti tanto soprattutto i “piccoli uomini”.
Simone Martini – La sintesi diventa un’auto-limite che t’imponi perché collaborando con un artista che ha la sua visione del racconto e lo inquadra in determinati momenti, sei destinato a mettere in scena quegli attimi e seguirli senza tradire la struttura originaria.
Avete unito il teatro e l’arte figurativa per portare i classici teatrali ai “piccoli uomini” e ne è nato così il progetto Habitat per una fiaba, di cui fa parte anche lo spettacolo Amletino che avete portato in scena anche qui ad Armunia lo scorso febbraio. Perché vi siete voluti confrontare con i più piccoli?
Simone Martini – Noi lavoriamo nel territorio di Valdarno, tra Firenze e Arezzo, e gestiamo un paio di teatri. Abbiamo un sacco di rapporto con il nostro territorio, con le scuole e abbiamo colto una necessità di chi ci circondava: iniziare a stupirsi. Allora ci siamo fatti carico, con molto piacere, di creare un qualcosa che permettesse un reale scambio sociale tra le persone, tra i grandi e i piccoli. Il progetto prevede una grande collaborazione con la scuola: per la maggior parte delle rappresentazioni del progetto c’è anche la mostra delle illustrazioni, l’incontro con l’artista che guida la visita dell’esposizione, c’è il dialogo tra noi della Compagnia e i ragazzi, le insegnanti lavorano sul tema affrontato sulla storia con i ragazzi già prima dello spettacolo. Un momento molto bello fu quando un ragazzino che probabilmente sarà il prossimo candidato premier (ride) a un certo punto ci ha chiesto: “In Amletino voi parlate di politica, ma i politici lo verranno a vedere questo spettacolo?”. Bene, questa è stata una cosa incredibile e ha mostrato la grande consapevolezza dei ragazzi che avevano capito l’operazione che stavamo facendo, forse anche meglio di noi. E’ questo che vorremmo creare: parlare di cose che riguardano tutti divertendosi e in teoria sarebbe proprio questa la finalità del teatro, dalle sue origini fino ad ora, quindi stiamo facendo essenzialmente il nostro lavoro. Tra l’altro, quando parlavamo di questo progetto e le sue finalità c’era anche da parte degli operatori del teatro (eccetto alcuni) la convinzione che per i bambini andassero fatte opere come Cappuccetto Rosso. Contando che per i ragazzi nell’età adolescenziale fino ad arrivare ai ventiquattro/venticinque anni generalmente non c’è nessun rapporto con il teatro, noi pensiamo che se non si faccia vedere i classici prima di questa fascia d’età questi non li vedranno mai. Noi invece pensiamo che determinate storie devono far parte del patrimonio collettivo.
Alessio Martinoli – Poi arricchiscono le conoscenze, aprono la mente e fanno vedere le cose in modo diverso. Ad esempio, se torniamo alla Corea del Nord, loro avevano proprio un’epica straordinaria invece nella nostra società disgregata, in cui tutto vale tutto e tutto e il contrario di tutto, si è persa la connessione con la cultura, come ad esempio il teatro, ed è per questo che vogliamo dare “queste basi” ai ragazzi.
Simone Martini – Noi crediamo in questa cosa e ci divertiamo a farla.
Ed invece, cos’è per voi la residenza artistica?
Simone Martini – La produzione teatrale può nascere in vari modi: può nascere da un testo già elaborato per il quale si chiamano gli attori e si mette in opera, poi c’è un altro modo di lavorare in cui viene fuori una necessità di affrontare determinate temi che necessitano veramente di un periodo di studio che deve essere totalmente libero perché non hai una struttura già fatta, non hai il materiale pronto e neanche l’idea. Noi siamo arrivati qua con un punto interrogativo e questo periodo di residenza ci serve per trasformare questo punto interrogativo in un qualcosa di concreto.
Francesco Manetti –Alcuni teatri danno scadenze troppo brevi alle Compagnie, li capisco: ci sono dinamiche economiche che impongono ciò. Se però la scadenza è stretta, non c’è neanche il tempo di avere anche un minimo rapporto umano, vai sul palco e fai ciò che ti spetta. Non puoi avere neanche un’idea diversa durante il lavoro perché non hai la possibilità di cambiare le carte in tavola. Credo che nell’Arte, teatrale e non, sia fondamentale l’errore così come nella vita: è quello che ti manda avanti. L’errore funzionale deve però essere ripetuto per farsi si che diventi giusto. Con scadenze troppe brevi si cerca immediatamente di mettere in scena le prime intuizioni andando veloci, senza pensare e analizzare gli sbagli. Tutto questo può avere degli effetti anche positivi, ma un momento come le residenze in cui puoi sbagliare direzione, scandagliare altre strade, altre possibilità, provare delle cose e poi buttarle via credo sia importantissimo. Io credo tantissimo nell’errore, ma nel teatro odierno, almeno in questo paese, questo non è previsto. Si afferma che non ci siano giovani registi, ad esempio; ovvio che non ci sono, non si permette loro di sbagliare. Un giovane regista deve aver la possibilità di sbagliare e nessuno si fa carico di affidargli anche un palco importante e in caso di errore, dargli un’altra opportunità. Almeno le residenze ce la lascino in pace, ci lascino la libertà di sbagliare.
Perché proprio Armunia? Siete venuti già venuti con Amletino e ora siete qui in residenza.
Simone Martini – Armunia è storicamente il baluardo della creatività: sono venuto qua sia da spettatore sia da attore. Vuoi mettere la possibilità di avere tempi dilatati per riflettere sulle progettualità in un ambiente come questo, molto tranquillo, in cui sei calmo, in cui ti puoi concentrare totalmente su quello che fai? Poi noi siamo una realtà piccola che però deve adempiere per la sua sopravvivenza a una mole di lavoro impressionante; se dovessi intraprendere la realizzazione di quest’opera in uno dei teatri da noi gestiti in cui accadono ogni giorno tantissime cose, avrei dovuto trovare o un orario notturno oppure avrei ricevuto troppe telefonate durante lavoro. Sia da spettatore sia da addetto ai lavori, tifo perché questo spazio resista e lo faccia per il bene di tutti noi e non è un discorso solo di qualità, è proprio un discorso di metodo. Faremo un lavoro bello? Brutto? Non lo so, però dateci la possibilità di starci dentro.
Francesco Manetti – Il nostro lavoro sta nascendo da un’intuizione: Simone mi ha chiesto se mi andava di fare una regia piccola con due persone, io che non ne avevo voglia perché non mi andava di pensare a un testo, studiare i personaggi, i dialoghi … insomma non mi andava! “E allora cosa vorresti fare?”, “Ma che ne so, m’incuriosisce Kim Il-sung!”, e allora Simone: “Perfetto, facciamo questo! Lavoriamo su questo! Capiamo cosa c’è davvero in Corea del Nord, capiamo perché Kim Jong-un si è fatto quei capelli!”. E’ nato tutto così e questo non può diventare una promozione immediata. Se devi parlare con un teatro per mettere in stagione direttamente un proprio lavoro, vai sul sicuro ovviamente perché, come dicevamo, hai le scadenze e non puoi sbagliare: ti scegli un testo che ti piace, che può funzionare. E allora come ti puoi permettere di lavorare sulla dinastia Kim se non con una residenza?
Simone Martini – Questo è l’inizio di un percorso che porterà la creazione di uno spettacolo tra un anno, non tra venti giorni: io devo ingrassare per diventare Kim Jong-un!