La Compagnia Oyès prepara il suo “Schianto” per il Festival Inequilibrio
Intervista di Daniele Laorenza
A Castiglioncello, come ospiti nel loro periodo di residenza, la Compagnia Oyès ha lavorato al suo prossimo lavoro, Schianto, che avrà il suo debutto proprio durante le tre settimane del Festival Inequilibrio.
Presenti in questi giorni di maggio il regista Stefano Cordella, con Francesca Gemma, Dario Merlini, Umberto Terruso, Fabio Zulli, Maria Paola Di Francesco (scene e costumi), Gianluca Agostini (sound designer), Stefano Capra (disegno luci) e infine Noemi Radice, assistente alla regia. Si sono concessi un po’ di tempo dal lavoro per una chiacchierata e ci siamo trovati a parlare soprattutto di “Schianto” (in precedenza “Libidless”) senza però tralasciare un po’ di storia della Compagnia e qualche parola sull’esperienza di residenza in quel del Castello. Infine, sollecitati, hanno provato a farsi una piccola promo in previsione della Prima Nazionale dello spettacolo.
INTERVISTA
Il vostro lavoro parte del testo “Nella solitudine dei campi di cotone” di Bernard Marie Koltès. Come vi siete avvicinati a questo scritto?
Stefano Cordella – Nel testo di Koltès abbiamo un venditore e un cliente all’interno di una situazione metaforica. Uno dei temi principali del testo è il desiderio e siamo partiti da quest’ argomento perché ci toccava molto, soprattutto data la perdita di desiderio che riscontriamo in noi e nella società contemporanea. E’ un testo molto filosofico, molto bello da leggere ma difficile immaginarlo in scena perché è costituito da dialoghi con lunghi monologhi in cui sono spesso ripresi concetti detti molto tempo prima. E’ una struttura tanto interessante quanto complessa e a noi interessava soprattutto come materiale da cui ricavare fantasie e suggestioni più vicine al nostro vissuto di “clienti” e di “commercianti” di desideri. Un vero punto di partenza per attivare un percorso creativo di drammaturgia e di scrittura scenica. Abbiamo deciso di cambiare il titolo allo spettacolo, prima si chiamava“Libidless” e ora “Schianto”. Il nuovo titolo è l’inizio stesso della rappresentazione perché sarà proprio uno schianto reale il punto iniziale: uno scontro automobilistico porterà quattro personaggi a ricostruire, partendo dalla perdita della memoria, le loro identità e soprattutto il loro rapporto con il desiderio e le sue varie forme.
Come cambia la visione del desiderio dal testo di Koltès, che appartiene agli anni 80 del secolo scorso, a quella che abbiamo ai giorni d’oggi?
Stefano Cordella – “Nella Solitudine dei campi di cotone” il desiderio è a più livelli, ma c’è una forte relazione con il corpo, il contatto fisico, il tocco. Nei giorni d’oggi che differenze notiamo? La perdita del contatto fisico e del rapporto con il corpo e questo può attivare altri tipi di desiderio e delle deformazioni dello stesso nella sua forma più primitiva. La nostra ricerca parte da questo; in questo viaggio che abbiamo definito a ritroso nell’inconscio sia dei personaggi sia della generazione che ci riguarda, cerchiamo il momento in cui ci sono stati quegli incidenti, quegli schianti che hanno interrotto il nostro rapporto con le varie forme del desiderio. I personaggi sono due uomini coetanei, un ragazzo molto giovane che porta un punto di vista un po’ meno disilluso rispetto alla generazione precedente che ha ancora una speranza nell’affrontare temi importanti, e infine c’è la presenza di una donna che entra a un certo punto della storia e farà scattare dei meccanismi di desiderio riferiti alla relazione con l’altro. Quest’ultimo aspetto lo stiamo scoprendo in questi giorni di residenza a Castiglioncello. Siamo arrivati qua dopo un periodo di condivisione di temi e ora abbiano iniziato a lavorare in improvvisazione, a scrivere delle scene.
Come mai avete cambiato il titolo da “Libidless” a “Schianto” e con “libido”, facevate riferimento all’uso freudiano del termine (legato alla sfera sessuale) o al concetto di Jung (che usa questa parola per intendere una “spinta vitale” che va oltre l’ambito sessuale)?
Stefano Cordella – E’ sicuramente più legato a una spinta vitale generale. Siamo passati da un titolo con un termine psicoanalitico, che raccontava genericamente la ricerca di questa energia vitale perduta, a un nome “impattante” che fa scattare dei meccanismi che fanno fare i conti con la mancanza, la presenza, l’eccesso, lo smarrimento della pulsione vitale. Sono quindi concetti molto collegati: è necessario scontrarsi con qualcosa per fare i conti con l’energia vitale o la sua mancanza, per questo “Schianto” ci sembra il termine più forte per raccontare il punto di partenza di questa riflessione nell’inconscio dei personaggi.
Avete affermato che saranno fondamentali le collaborazioni con il sound designer e il light designer, come mai?
Fabio Zulli – Quelle che abbiamo in mente sono atmosfere e avranno una rilevanza importante all’interno dell’opera. Non potevamo quindi prescindere da queste figure perché se ciò che deve arrivare allo spettatore è soprattutto uno stato che può essere dell’inconscio, dell’anima oppure un’atmosfera, questo viene sicuramente potenziato dal lavoro di queste figure. Ovviamente non è un lavoro che va in assistenza agli attori che sono i portatori del messaggio, ma deve essere un lavoro che va ad aggiungere e a completare un significato totale. Per questo motivo il lavoro è congiunto già adesso, in questo momento di scambio d’ idee, in modo che anche il lavoro di ognuno sia influenzato per poi portare in scena un lavoro totale.
Stefano Capra – E’ fondamentale il loro ruolo perché se, ad esempio, viene detta la frase “Io sto bene!” in un ambiente e un suono cupo, il significato può essere tutt’altro. Nel lavoro che stiamo pensando, è importante la parte del suono e delle luci perché si cerca un’interazione reciproca.
Stefano Cordella – Lo spettacolo inizierà con lo schianto quindi sarà molto probabile che la prima immagine comprenda i personaggi che si trovano in questo spazio scenico esploso e in questo andranno a scoprire delle cose. Come input per questo processo di scoperta, ci saranno probabilmente dei dispositivi che attiveranno il ricordo attraverso dei suoni, delle suggestioni di luci. E’ quindi importante lavorare in connessione con questi ambiti che non saranno solo decorativi (non dovrebbero mai esserlo), ma diventano proprio parte della drammaturgia. Saranno degli attori in scena, in questo caso.
Cambiando completamente discorso, da dove nasce la vostra Compagnia?
Umberto Terruso – La Compagnia Oyès nasce formalmente nel 2011 ed è composta da un gruppo di allievi dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano che si è incontrato inizialmente intorno al progetto “Effetto Lucifero” (che è stato poi il nostro primo spettacolo) e da qui è partito il percorso. All’interno di questo gruppo iniziale, sono entrati negli anni a far parte diversi attori, scenografi, light designers che hanno portato le loro competenze e i loro talenti arricchendo di volta in volta i vari lavori.
Fabio Zulli – Il nostro percorso è in continuo cambiamento. Quello che vogliamo dire differisce per ogni lavoro e con esso il modo in cui dirlo. Quest’ultimo spettacolo sta ancora cambiando le “carte in tavola” perché ora abbiamo una figura di dramaturg che raccoglierà le varie idee. E’ una Compagnia con molta voglia, tante cose da dire e con una forma che si evolve di progetto in progetto.
Stefano Cordella – Vorremmo evitare che l’identità e lo stile possa sovrastare l’argomento di cui vogliamo parlare, per questo cerchiamo sempre la modalità migliore per esprimere il tema invece che avere a priori uno stile perchè questo magari non racconterebbe al meglio il concetto. C’è, quindi, un continuo confrontarci e chiederci quale può essere il modo migliore per fare esplodere scenicamente la tematica affrontata. E’ lo stile che si adatta al tema e non il tema allo stile e questo ci può portare in strade che non abbiamo mai camminato, in terreni che non abbiamo mai abitato. Prendiamo spunto da altri percorsi teatrali e altre arti. Non vogliamo fossilizzarci su un modo unico di andare in scena: possiamo passare dal fare uno spettacolo con una struttura più “classica” per poi lavorare in un ambiente più performativo e installativo. Quello che però è sempre presente è un lavoro di gruppo molto forte: anche se ci sono dei ruoli all’interno della Compagnia, cerchiamo di contaminarci e di condividere il processo creativo tutt’insieme dall’inizio e questo avviene anche con la squadra tecnica.
Che frutti ha portato, invece, la vostra residenza qui ad Armunia?
Stefano Cordella – Armunia è il secondo anno che ci accoglie in residenza e quest’anno ci ha dato spazio anche al Festival Inequilibrio XXI che si terrà quest’estate. Si sono fidati di noi e ci hanno dato a disposizione uno spazio che permette molto la rielaborazione e lo sviscerare temi, perché il Castello di Castiglioncello è un ambiente molto protetto, in cui ti puoi staccare dalla realtà che vivi abitualmente permettendoti di prendere tempi diversi per la ricerca. Qui non sentiamo la pressione di puntare necessariamente al risultato finale, ma sentiamo la libertà di uno spazio che permette un’apertura massima. Siamo stati in tante residenze, ma appena abbiamo la possibilità torniamo ad Armunia. Poi passano tanti artisti da qua, molti dei quali stimiamo e dei quali ne seguiamo il percorso, quindi a volte riusciamo a confrontarci con loro e questa cosa è preziosa. Senza contare che si percepisce che quello del Castello è un luogo che “vive” ed è fucina di progetti e spettacoli. Infine siamo curiosi del Festival: l’abbiamo visto “da fuori” nelle altre edizioni, ma ora siamo dentro ed è molto emozionante tutto ciò.
A proposito del Festival Inequilibrio XXI; visto che sarete presenti con “Schianto”, fatevi una promo!
Stefano Cordella – Ecco! (ride). Ci hai messo in difficoltà! Dovremmo imparare a promuoverci. Dovremmo fare una residenza in cui “ricerchiamo come promuoverci”. Allora … Stiamo lavorando onestamente, questo è sicuro: non sappiamo ancora cosa verrà fuori, ma sicuramente sarà un lavoro onesto. Sarà la prima volta in cui presenteremo “Schianto” davanti a un pubblico e a degli operatori quindi per noi è molto importante avere un confronto. Vedrete qualcosa sicuramente di stimolante, siamo sicuri di questo, e speriamo stimoli cose positive e non odio nei nostri confronti (ride).
Fabio Zulli – Vi faremo vedere sia quello che desiderate, sia quello che non desiderate, ma desidererete!
Umberto Terruso – E’ anche un momento importante per la Compagnia: siamo reduci da un importante premio vinto, il premio Hystrio, e ci sono stati in precedenza altri premi o bandi come NEXT che ci hanno aiutato a circuitare molto, ad aprirci oltre che a Milano, per tutta Italia.
Siamo una Compagnia emergente in piena ricerca e abbiamo tanta voglia di dire e farlo in maniera onesta. Abbiamo voglia di comunicare, di confrontarci e abbiamo gli occhi puntati addosso, il che può far paura, ma può anche essere stimolante.