Attraversare le corrispondenze: Walking Memories di Elisa Pol
Intervista di Claudia Caleca
E’ tornata ad Armunia Elisa Pol con Walking Memories, una performance di gesti e parole sulla montagna e sul mondo dei ricordi e della dimenticanza. Dopo il debutto del primo Studio al Festival Inequilibrio nel settembre 2020, Elisa è salita sul palco del Teatro Nardini di Rosignano Marittimo, con un spettacolo suggestivo che riflette sulle corrispondenze tra paesaggio montano e intimo paesaggio interiore. Il lavoro si nutre della collaborazione con Raffaella Giordano, un’icona della danza contemporanea. La danzatrice e corografa ha sostenuto l’attrice soprattutto nella creazione di uno specifico linguaggio corporeo. La produzione è di Nerval Teatro, con il contributo di Emilia Romagna Teatro Fondazione e il supporto di Sosta Palmizi, Armunia, Olinda, E Production.
Ci siamo incontrate nel settembre 2020 quando hai presentato a Inequilibrio il tuo primo Studio. Durante la nostra chiacchierata mi hai detto: “Non sei più un essere umano staccato dal luogo ma ne sei parte. E cosa significa essere parte di un paesaggio?”. Sei riuscita a rispondere completamente a questo interrogativo?
La relazione tra individuo e paesaggio è l’asse portante del lavoro e di questo ne sono sempre più consapevole: il paesaggio diventa specchio di un’interiorità. Sono altresì convinta che in questa epoca abbiamo dimenticato il nostro esser costituiti dall’esperienza corporea di essere-nel-mondo tramite gli spazi, le trame, gli odori, i suoni, come qualcosa che viene data per scontato, una contingenza che non ci cambia. Con Walking Memories vorrei far luce sul fatto che l’essere-nel-mondo è una condizione aperta, porosa, disponibile ad accogliere ciò che arriva dal di fuori. Tutto ciò di fatto riverbera dentro di noi e parla ai nostri spazi interiori, ci costituisce e forma quello che siamo e la nostra memoria. Sono convinta che la corrispondenza tra interno ed esterno, in questo specifico il paesaggio montano, sia intrecciata profondamente, qualcosa di fondante dell’esperienza di stare al mondo.
Sempre a settembre parlavi di “due narrazioni differenti: parola e gestica”. Come ha proceduto la tua ricerca, se si è modificata nel focus e quali elementi l’hanno alimentata in più?
Il rapporto parola-gesto è il motore della ricerca. Questa tende a indagare un linguaggio sulla scena che permette di ancorare la parola-narrazione al corpo-movimento, un lavoro specifico e non descrittivo o di supporto alla parola, bensì organico e autonomo. Il rapporto tra parola e corpo è radicato nella presenza, nella messa a fuoco di energie che si stagliano ed esplodono: una vera e propria reazione dello spazio. I nuclei attorno cui gravita la ricerca sono quindi la presenza, la relazione del corpo nello spazio e la messa a fuoco di energie in cui il corpo viene trascinato e calato attraverso le suggestioni della parola.
Parlando del codice gestuale, quali sono gli elementi di cui ti sei servita per indagare questo linguaggio?
La ricerca gestuale ha un retroterra eterogeneo e si nutre di dinamiche quotidiane, dimensioni sospese, rarefatte, lente, sottili, miste a un lavoro prettamente ginnico che si ispira alle forme dell’arrampicata, del corpo in marcia, affaticato, che sale e spinge fino alla riflessione del corpo che si fa spazio intorno a sé e si relaziona con lo spazio. Quest’ultimo elemento crea suggestioni e la possibilità di poter rendere visibili le direzioni, le altezze e le vicinanze.
Ricordo il suggestivo Studio che presentasti a settembre, nella salita di Rosignano Marittimo che conduce al retro del Castello. Che tipo di spettacolo sarà Walking Memories rispetto a quello Studio dal punto di vista scenografico?
Il primo episodio è legato allo Studio presentato a Inequilibrio nel 2020, quando avevo dato forma ai primi 20 minuti dello spettacolo, in cui permangono i temi indagati. La dimensione evocativa data dalla salita nella piazza ha fatto sì che inizialmente mi chiedessi di ricrearla dal punto di vista scenografico ma mi sono resa conto che le dimensioni della montagna appaiono in modo tangibile attraverso il racconto, le visioni e le suggestioni del corpo. Walking Memories è un lavoro evocativo proprio perché cerca di ricreare i paesaggi della montagna all’interno di un contesto teatrale che, attraverso il racconto, trasmette e accompagna il cammino della figura.
In che tipo di relazione convivono le due tappe dell’ascensione all’interno dello spettacolo?
Le tappe dell’ascensione appartengono a un rito interiore della figura e sono composte dalla salita e dall’arrivo in vetta, il punto terminale cui dovrebbe seguire il rientro alla vita di tutti i giorni. Penso che chi rientra dalla montagna non sia più lo stesso di prima, proprio come lo stesso detto che dice “chi ha raggiunto una vetta in realtà non scende più”. Il lavoro si pone questo interrogativo, sul cosa significhi non tornare più.
Puoi parlarmi del contributo di Raffaella Giordano al lavoro?
L’ho coinvolta inizialmente per affondare maggiormente il lavoro sul corpo e sul movimento, avendo io una formazione attoriale. Ho sentito naturale affidarmi a lei, a questa figura importante, cui già in passato mi ero avvicinata, partecipando al biennio di formazione che dirigeva: Le scritture per la danza contemporanea. Sono contenta che abbia accettato di seguirmi perché ha un ruolo fondamentale per il lavoro rispetto alla presenza, al movimento e allo spazio nel rapporto con la parola. E’ inoltre una collaborazione a 360 gradi perché i testi nascono da improvvisazioni sulla scena, frutto di un confronto diretto in cui siamo entrambe coinvolte. Raffaella è una figura maieutica che mi ha aiutata a tirare le fila del lavoro, a definire il linguaggio drammaturgico e registico.
Quando raggiungo il rifugio, che mi ospiterà per tre mesi, per la guida alpina che asciuga la sua attrezzatura al sole sono una giovane donna, bianca, vestita in malo modo, ma in quel momento io ho già dimenticato di essere una donna, a quel punto non me ne frega niente.