28 Aprile 2021

I progetti vincitori delle Residenze Digitali. La parola agli artisti

di Anna Maria Monteverdi

Un incontro via Zoom (eh già, ma speriamo ancora per poco) tra gli artisti vincitori, i partner che ospiteranno la residenza (Armunia, CapoTrave/Kilowatt, Amat, Anghiari Dance Hub, Atcl, L’Arboreto Teatro della Tosse e Zona K) e le tutor (la sottoscritta, Laura Gemini e Federica Patti) ha messo in luce le potenzialità dei progetti che in questi mesi “abiteranno” (virtualmente, dal vivo…vedremo…) i diversi luoghi tra la Toscana, l’Emilia Romagna e la Liguria.

In un momento di “incertezza creativa”, per dirla con il felice titolo del libro di Laura Gemini sulle performance tecnologiche, gli artisti stanno sperimentando nuovi modi e nuovi mondi di “connessioni” teatrali: l’estrema varietà di narrazioni, coreografie, creazioni “aumentate” accolte per la residenza digitale danno un’idea della dimensione potenzialmente infinita, delle pratiche transmediali in questa “virtualità reale” in cui ormai, abbiamo imparato tutti a convivere. Ma parlano anche di una generazione teatrale che non si è arresa, non si è fermata, pur nell’estrema fragilità del momento. Un orizzonte, quello del nuovo teatro digitale anni 20, tutto da scrivere, magari proprio nel solco dell’ “onlife” secondo il neologismo proposto da Luciano Floridi nel Manifesto omonimo, ovvero la nostra nuova esperienza di realtà iperconnessa in cui “non ha più alcun senso chiedere se siamo on line o off line”.

 1.Coreografare la Realtà Virtuale

Progetto: DEALING WITH ABSENCE di Margherita Landi e Agnese Lanza (Residenza: Anghiari Dance Hub)

Margherita Landi si interessa da qualche tempo di Realtà Virtuale, e con Agnese Lanza hanno trovato il modo di usare il dispositivo di Realtà Virtuale (Oculus) come parte integrante di una coreografia che sarà oggetto della loro ricerca per le Residenze Digitali. Il tema è quello di copiare il cinema: “Ci siamo appassionate al montaggio, ci interessa il tema cinestetico, le “atmosfere 360°”; l’idea in origine era quella di direzionare la percezione, mandare in giro i visori VR e le nostre coreografie; poi con la pandemia l’idea è diventata ancora più concreta. Abbiamo cercato nuovi contenuti e ci siamo “evolute” tecnologicamente, abbiamo voluto produrre contenuti immersivi, per esempio. Io (Margherita Landi, ndr) mi sono formata in Regia e Realtà Virtuale, e insieme con Agnese abbiamo elaborato una serie di strade possibili.  Abbiamo partecipato alla Biennale College VR ma il progetto era ancora uno stadio primordiale. La Biennale ci ha fornito la possibilità di lab per capire le diverse strade che la realtà virtuale offre. Lo sviluppo proposto era però, ancora poco artistico, noi volevamo valorizzare lo strumento e non il fine. Da qui la volontà di partecipare alla call per le residenze. L’idea è quella di mandare i visori insieme con i materiali coreografici ai danzatori, poi durante la residenza vengono fatte le prove: i danzatori interpretano in tempo reale la coreografia. Obiettivo della residenza sarà anche creare un meccanismo specifico per divulgare i contenuti video, farli circolare sulle piattaforme. Vogliamo ispirarci al cinema, penso al cinema di Jim Jarmush, ad Alberto Grifi e a un montaggio che serva per “perdersi” nella realtà.

  1. Still life (in a green screen)

Progetto: Whatever happens in a screen stays in a screen di Chiara Taviani (Residenza Zona Kappa, Kilowatt)

Teatro e green screen è un connubio non nuovo e riporta alla mente gli spettacoli dei newyorchesi Big Art Group in cui palcoscenico diventava nei primi anni Duemila, un set cinematografico per deformare la realtà sotto gli occhi del pubblico. Nell’arte elettronica impossibile non ricordare lo straordinario artista polacco Rybczynski e lo stratagemma da lui preferito per creare la sua videoarte: il chroma key. Nel progetto di Chiara Taviani il green screen è un modo per giocare sull’”inserimento di una figura viva all’interno di una rappresentazione visiva, non solida, della realtà”:

“Un anno fa esatto, durante il primo lock down, mi era stato commissionato un nuovo progetto coreografico che poi è diventato digitale; dovevamo lavorare con un green screen allestito in casa, quindi non professionale, però questo ha permesso di fare una ricerca che si è conclusa con la realizzazione di immagini per un mini film. Era solo l’inizio, è durato un mese, per cui non abbiamo fatto in tempo a trattare il tema della compresenza di una figura statica e di una viva in unno stesso spazio tramite green screen.  Non ci siamo addentrati a esplorare questo tema che è diventato però, l’oggetto della proposta per Residenze Digitali: esplorare varie modi di interagire con queste figure e far evolvere il lavoro con il green screen sappiamo essere un’operazione “vintage” ma ci interessa usarlo per l’autenticità dell’immagine che sa sprigionare. Siamo interessati a capire la dinamicità del corpo che è dentro il green screen e alla relazione degli sguardi che genera.

  1. Disegnando la realtà

Progetto: WOE – Wastage of Events. Collettivo ØNAR (Residenza Arboreto)

La correlazione transmediale di pratiche eterogenee è il cuore del progetto WOE: fumetto, videogiochi, live painting si intrecciano in un universo narrativo, molto immersivo che confluisce in una piattaforma come Twich ancora usata nel settore performativo. La scommessa è l’integrazione tra figure umane e ambiente digitale e l’esplorazione delle potenzialità performative del software per live painting.

Giacomo Lilliù: “Ero partito da The Cage, una graphic novel del 1975 di Martin Vaughn-James dove non ci sono figure umane; era un lavoro scritto come piattaforma- come base di partenza che poi passati vari anni, abbiamo deciso di tirare fuori per il bando Residenze Digitali. Come collettivo ONAR ci occupiamo di musica, danza, performance. Il progetto vuole elaborare un immaginario che tenga conto di The Cage, del suo paesaggio desertico e alieno, delle scorie e delle rovine, e queste scorie sono create in VR. L’ambiente dovrebbe essere una specie di “discarica digitale” che recuperi l’assenza di figure umane nell’ambiente digitale, in cui lo spettatore entra in prima persona e si sente più o meno perso, come spesso succede nell’ambito dei videogame: le modalità di fruizione non saranno con un casco per VR però, erché crediamo che sia più accessibile una fruizione normale, e inoltre non vogliamo avere persone che si guardano in giro come è tipico di chi indossa un casco: è dispersivo, vogliamo invece indirizzare lo sguardo con una vera regia”.

Lapis Niger (Matteo Palma) “L’integrazione tra figure umane e ambiente digitale non è facile da ottenere se parliamo di creazione di scenografie improvvisate, cioè create sul momento. Un canovaccio di scenografia verrà integrata da disegni fatti sul momento durante la performance. La realtà virtuale che noi vogliamo, permette la creazione di disegni in modo intuitivo e istantaneo. Noi usiamo TILTBRUSH un programma di disegno 3D, semplice, banale: con un uso continuativo con questo software si possono ottenere grandi risultato come live painting. Ci sarà una vera regia per focalizzare l’attenzione su quel dettaglio, o sulla discarica desertica; faremo noi la regia, che è poi lo sguardo di chi disegna. Ci sono molte possibilità di creare perché il programma è audio reattivo, c’è una parte performativa musicale o vocale, la voce può interagire con questi pennelli; l’interazione con sul gesto in VR va studiato durante la residenza. Il progetto è nato per un ambiente senza palco ma vogliamo capire tramite le residenze, se sul palco il gesto grafico può funzionare performativamente; vogliamo provare a creare una versione completamente digitale e dall’altra portare il set in una forma ibrida, con uno schermo che mostra i performer sul palco. 

  1. Meditare il vuoto

Progetto: Sàl della compagnia fuse* (Residenza: Armunia e Corte ospitale)

I live media performance (naturale “evoluzione” del live cinema) vengono regolarmente ospitati nei festival di arte elettronica, da “Transmediale” di Berlino a RomaEuropa nella sezione DigitalLife a Sonar a Ars Electronica di Linz mentre riviste e portali come Digicult promuovono il genere e lo “riabilitano” come forma d’arte performativa a tutti gli effetti, non solo “commerciale” o di intrattenimento.

Martina Reggiani: “Come studio di produzione abbiamo la nostra base in provincia di Modena: il progetto presentato si chiama SAL ed è l’ultima parte di una trilogia di spettacoli autoprodotti, in forma di Live media performance, con interazioni in real time con visual e nuovi sistemi come per esempio la motion tracking, l’uso di tute esoscheletriche, sensori biometrici sul corpo che accumulano informazioni e parametri fisici che influenzano in tempo reale la scenografia. Il primo step era stato prodotto nel 2017 e raccontava l’atto del venire alla luce, il secondo raccontava la difficoltà della vita- e ora Sal è la chiusura del cerchio, l’ambiente dell’invisibile, della vacuità. Al momento abbiamo immaginato il tema e ci siamo fermati, pensando allo sviluppo in 3 livelli con un due danzatore con sensori, una App per una audience experience e una performance e distanza.

  1. Cosa “frigge” in pentola: la memestetica (e la chirologia) in (tecno)scena

Progetto: I Am Dancing in a Room di Mara Oscar Cassiani (Residenza: Teatro della Tosse, Armunia, Amat e Zona K)

Nel 2001 Bill Viola propose un’installazione video che si chiamava Four hands, parte di un lavoro più complesso dedicato alle Passioni e ispirate alle pitture devozionali pre-rinascimentali. Le mani di tre generazioni illustrano gesti che accompagnano stati emozionali, sintesi di una specie di atlante iconografico che Viola traduce attraverso le tecnologie contemporanee tra passato e presente. Anche in questo progetto i gesti sono protagonisti ma sono quelli della rete –non solo quelli degli Youtubers-; Mara Oscar Cassiani che le ha “duchampianamente” prelevate dal contesto originario per farle “friggere” in una nuova coreografia, in una specie di frittura mista di pop culture visuali contemporanee.

 “Si tratta di un lavoro partito da lontano e segue lo sviluppo dei gesti coreografici della rete; io sto seguendo questi gesti su You tube, non solo coreografie ma semplici gesti fatti dagli utenti; le prime cose sono iniziate su una piattaforma di video molto arcaica. Il lavoro è stato portato a Transmediale a Berlino poi a Wrong digital Festival, poi a Rimini. Col covid poi, tutto si è posizionato sullo streaming e così ho unito la mia capacità di usare render e il green screen per creare qualcosa di nuovo; prima tutto questo (il video, ndr) era considerato qualcosa di separato rispetto alla performance, ma oggi con lo streaming si è unito ed è parte integrante della performance. Il titolo è ispirato alla fondamentale masterpiece sonora di Alvin Lucier I am sitting in a room, in cui l’autore osserva il decomporsi della traccia sonora man mano che essa viene ripetuta a loop in una stanza. Io osservo come si riverbera un gesto da una stanza all’altra, è un processo che avviene facilmente in rete perché il linguaggio coreografico è caricato tutto sulla webcam. I linguaggi della strada si sono trasformati, sono collassati (RIP..) e si sono concentrati nel finger tutting, io ho le mani snodate adatte per fare tutting che è nato molto tempo fa e sta dando il meglio oggi con tiktok che ha accelerato questa diffusione. Il gesto si è evoluto e diventato più semplice. Per le residenze faremo uno streaming grazie al software OBS che riesce a inglobare tutti i media on line e off line.  Un INTERNET PARTY come forma, molto fluido, molto dinamico: hai un intervento coreografico di 20 secondi al massimo per lo spettatore. I dati “si friggono insieme”, i render si uniscono; la frittura riguarda i dati, la memestetica, la performatività on line anche il videogaming. Friggere è un modo di dire della memestetica diffusa da Valentina Tanni nel suo libro. La chiusura sarà aggiungere un performer che parli il linguaggio dei segni, un performer LIS che contaminerà quello che è già consolidato, e rimetteremo anche i suoi gesti in rete.

  1. Raccontare storie per bambini con le mani, con il video e il 3D.

Progetto: Into The Wood. Lorenzo Montanini in collaborazione con Isabel Albertini Simona Di Maio (Residenza ATCL)

Il teatro di oggetti manipolati live insieme ai video raccontano le Fiabe di Calvino. “E’ la prima volta che lavoriamo insieme. Noi (Lorenzo Montanini e Isabel Albertini, ndr) siamo a Londra e abbiamo lavorato con quello che avevamo in casa, Simona ha una bimba piccola e così abbiamo discusso della possibilità di creare uno spettacolo per l’infanzia. I contenuti della tv generalista sono banali e i personaggi sono quelli di Peppa Pig. La domanda di partenza era: Come raccontare qualcosa a chi non ha più “l’incontro”? Abbiamo materiali vari in casa, volevamo mantenere l’idea dell’artigianalità del teatro, costruendo qualcosa con le imbottiture delle casse delle spedizioni: con questa lana abbiamo costruito delle storie, 10 storie fatte in casa per famiglie e bambini, costruendole con quello che abbiamo intorno. E abbiamo poi unito il digitale creando vari video, poi un video 360 gradi, una ricostruzione 3D e poi abbiamo cercato un’idea di spettatore della dimensione piccolissima, un po’ come in Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi. Riduciamo gli spettatori e raccontiamo la storia, però diamogli un minimo di libertà, di manipolazione a vista: il trucco è svelato. Chiunque voglia vedere questa storia si deve immergere, questo ambiente deve essere vivo, un piccolo mondo da girare e da vivere.

  1. Teatro-scienza

Progetto: The Critters Room #experience di Jan Voxel (Lorenzo Belardinelli, fisico e Cinzia Pietribiase, performer e regista). (Residenza Amat)

“La comunità scientifica è unanime nello stabilire che viviamo nell’Antropocene che porta i segni del Pianeta nelle sabbie bitumonose nel lago Alberta. La domanda di partenza è la responsabilità dell’arte e dell’artista. Anche loro concorrono a danneggiare il Pianeta? Il titolo lo abbiamo rubato da Hannah Haraway e al suo libro Stringle in the trouble critters per designare creature con cui dovremo entrare in simbiosi. I protagonisti  del progetto sono:
– le polveri sottili, PM10, fantasmi del Capitalocene, l’era fossile, misurate da centraline autocostruite e di libero accesso (open data);
– i vetrini da microscopio, esposti all’aria con pratica performativa, catalogati e micro-fotografati;
– le immagini e i suoni, che dai dati e dai vetrini prendono forma.

The Critters Room è una web-application interattiva grazie alla quale gli spettatori potranno “visualizzare l’aria”, ascoltare il suono dei critters ed osservare le creature allora-viventi-ed-ora-viventi che ci narrano la fine dell’epoca centrata ossessivamente (e tossicamente) sull’umano.

 
A cura di:
Anna Maria Monteverdi

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