Marco Valerio Amico e l’Alphabet della danza. Intervista al coreografo del Gruppo Nanou
Intervista di Elena Pancioli
Marco Valerio Amico è coreografo, danzatore e cofondatore della compagnia Gruppo Nanou, luogo d’incontro di linguaggi e di diverse sensibilità che caratterizzano la ricerca artistica dei suoi componenti. La compagnia, di cui Amico è anche direttore artistico, è tra le più interessanti del panorama contemporaneo italiano. Con gli allievi post diploma del Corso Danzatore della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, Marco Valerio Amico ha tenuto ad Armunia, al Teatro Nardini di Rosignano Marittimo, un laboratorio di alta formazione, con l’obiettivo di trasmettere e verificare il metodo di scrittura coreografica Alphabet elaborato dal Gruppo Nanou, da lui fondato appunto, nel 2004 insieme a Rhuena Bracci e a Roberto Rettura.
Prima di addentrarci nella specificità del laboratorio ti chiedo cos’è, per il Gruppo Nanou, la danza. È definibile? È un linguaggio ibrido?
Per me la Danza è la riscrittura dello spazio e del tempo attraverso diversi strumenti. Il Corpo è uno degli strumenti che viene impiegato insieme al Suono, alla Luce, alla Scena. Tutti gli strumenti vengono impiegati per generare, agire e svelare Spazio. Il dialogo agerarchico fra i diversi mezzi a disposizione è il linguaggio di Nanou.
Lo definirei un confine, l’argine di un fiume, un territorio dove tutto si incontra.
Cos’è Alphabet ?
Alphabet è un metodo di trasmissione e un tempo dedicato alla ricerca.
Il progetto è nato nel 2017 con la necessità interna di fare chiarezza sui dispositivi coreografici, perché potessero avere un impatto percettivamente più leggibile.
Specifico che “leggibilità” non ha nulla a che vedere con “decriptazione” di un codice. Come spesso ripeto, sono meravigliato della composizione della volta celeste, pur non essendo un astrofisico e non conoscendone tutti i meccanismi. Mi meraviglio per l’esattezza che si pone innanzi. Alphabet ha l’ambizione di approfondire l’indagine coreografica attraverso lo studio spalmato nel tempo applicando meccanismi di dialogo e trasmissione per accelerare chiarezza per mezzo del confronto.
In Alphabet parlate di “piano di incontro” che si deve ridefinire tra lo spazio coreutico e lo scarto del corpo e della coreografia. Ti chiedo: quale rapporto esiste tra funzionalità e scarto all’interno di questo metodo?
Lo scarto dell’azione che è generato dallo spazio coreutico e che quindi inevitabilmente lo contempla, è la funzionalità.
Provocatoriamente, dico spesso che il corpo dev’essere sportivo, cioè che si compie per la necessità del raggiungimento di un obiettivo (spaziale) fuori da sé. La forma che ne risulta è lo scarto, un risultato inevitabile non determinato dal disegno a priori.
Mi spiego meglio: nello sport la forma del corpo, per un atleta, è il risultato per il raggiungimento dell’obiettivo. La forma in sé non è importante a priori. Ad esempio, la tecnica del salto in alto, passò al salto “di schiena” Fosbury, per migliorare il risultato.
La coreografia diventa lo strumento per generare e mettere in luce le necessità e i meccanismi di ciò che si svolge sulla scena.
Come si struttura la trasmissione di Alphabet nel laboratorio per gli studenti della Civica scuola Paolo Grassi?
Dopo mesi di chiusure, la solitudine e le piccole stanze come luoghi di allenamento, hanno mantenuto la parte atletica ma atrofizzato la percezione, l’uso dello spazio e della relazione. Con i ragazzi ho la fortuna di intraprendere un discorso continuativo nel tempo. Trenta giorni su tre mesi con undici studenti. Un lusso insperato di questi tempi.
Sono 11 Corpi tutti diversi con 11 cervelli tutti distinti. Lavorare perché le individualità coesistano e si organizzino, moltiplicando le occasioni compositive è l’obiettivo che sempre mi prefiggo. Le indicazioni sono sempre astratte perché ognuno possa trovare la sua identità da investire nel sistema.
Si esce dalle forme per diventare solidi ed evidenti nelle scelte, raggiungendo così una enorme concretezza nell’azione coreutica. In questo Alphabet è un metodo e non una tecnica. Si rafforza l’individuo che, in autonomia, può ricalcolare e spendere le sue potenzialità.