27 Aprile 2021

Pezzo a pezzo di Carmen Giordano. Un laboratorio della memoria, un luogo dal quale non siamo mai tornati.

Intervista di Elena Pancioli

Carmen Giordano - Pezzo a pezzo - foto di Antonio Ficai Lunedì 26 aprile alle ore 18, al Teatro Nardini di Rosignano M.mo, Carmen Giordano, regista e drammaturga in residenza ad Armunia, ha presentato la prova aperta del suo ultimo lavoro: Pezzo a pezzo, scritto in collaborazione con la drammaturga Elena Cattaneo, che vedrà in scena Silvia Bertini e Francesca Zenobi. L’abbiamo incontrata per farci raccontare le stato del lavoro. In questa intervista, seppur brevemente, vorrei toccare i punti fondamentali della tua poetica registica e drammaturgica, in relazione a Pezzo a pezzo, opera su cui stai lavorando ad Armunia.

Carmen Giordano - Pezzo a pezzo - foto di Antonio Ficai Ti chiedo in primis per te cos’è il teatro e cos’è la regia? Quali sono stati e quali sono i tuoi maestri?

Idealmente, il teatro per me è un luogo in cui “qualcosa” accade, dove si può creare lo spazio, il presupposto, per la nascita di un accadimento, qualcosa di complesso che può essere creato secondo dei criteri, per esempio quelli di sottrazione-accumulazione, e che può essere più o meno “denso” in relazione al fatto che una componente dell’esistenza è “non detta”, ma comunque viva.
Ho sempre molto pudore nel parlare di “maestri” perché nel nominarli in relazione a un artista, in qualche modo ti poni in un nesso con loro, e questo mi mette in difficoltà, innanzitutto per una questione di “pudore”, perché ritengo di essere a un punto della mia ricerca, del mio percorso che non mi rende associabile a qualche maestro. Poi, certamente, ho avuto la possibilità di lavorare con delle personalità come Tonino Conte, al Teatro della Tosse di Genova, e gli devo molte cose, ma non mi sento ancora di dire “è il mio maestro”, da ciascuno di queste figure un artista comunque prende degli stimoli.

Com’è nata la collaborazione con Elena Cattaneo per la stesura di questo testo? Da dove siete partite? Cosa significa nel concreto condividere una drammaturgia? E come rapporti il testo (la ricerca linguistica) alla messinscena nel processo di costruzione dell’opera?

Per Pezzo a pezzo sono partita da un’immagine di queste due sorelle in una vecchia casa che mi era balenata alla mente, ispirata sicuramente da film come quelli di Ernst Ingmar Bergman e da tanta letteratura contemporanea al femminile come Lorrie Moore o Lydia Davis. Ho sempre scritto per Macelleria Ettore, che è stata la mia compagnia fino al 2015, e lì mi ispiravo sempre a qualcosa di già dato, qui, sono dovuta partire da zero, avevo questa urgenza di scrivere e ho chiamato Elena Cattaneo. Mi ha aiutata nella riflessione, nelle ispirazioni, facendomi delle domande molto precise, aiutandomi a circoscrivere il campo di idee. Per me contano molto le suggestioni visive (come dipinti, film, disegni) e successivamente le improvvisazioni e il lavoro con gli attori. Le parole sono uno dei tanti codici del teatro, quindi, quando ti rapporti all’attore/attrice ti rendi conto dell’importanza di far diventale le parole corpo, spazio, tempo. In questa fase del lavoro chiedo alle attrici di aggredire il testo, di sporcarlo, di farlo loro. Per me infatti i movimenti degli attori in scena sono eco e riflessione di movimenti interiori ed emotivi.
La drammaturgia (e non il testo) è fatta di immagini, di parole, di suggestioni, di vuoti, di pieni, di musica, di luce, per quest’ultima componente abbiamo coinvolto Alica Colla (light designer).

In quest’opera vengono sezionate le esistenze di due sorelle che si ritrovano, dopo anni, in un confronto forzato perchè devono vendere la casa d’infanzia. È un’opera che s’interroga, ci interroga e ci porta a farci altre domande. Ma il tema fondante è quella della memoria…

Sì, il lavoro che sto cercando di fare, partendo dalla suggestione delle immagini, è un lavoro sulla memoria, sul tempo della memoria. Una memoria che non si governa, che fa resistenza. La memoria di un tempo interno che in un momento può stravolgere il tempo oggettivo e di conseguenza le coordinate spazio-tempo. Il tornare nella casa d’infanzia fa si che il presente venga inglobato e sospeso nel passato. Queste donne iniziano a fare i conti con i fantasmi dell’infanzia della nonna, della madre e del padre, che condizionano il presente. Quindi una memoria che accende emotivamente e che nei due personaggi delle sorelle cerca di definirne l’identità per comprendere il presente delle loro vite, per ridefinire sé stesse. Loro adesso sono in una sorta di “Museo dell’infanzia” e “Teatro della loro ultima messinscena”. Tolta la casa sparirà tutto? Se ne andranno mai da lì?

Carmen Giordano - Pezzo a pezzo - foto di Antonio Ficai Pezzo a pezzo come ci hai raccontato è “un laboratorio della memoria contro l’oblio”, ma le sorelle sono anch’esse presenze fantasmatiche che dibattono sui fondamenti esistenziali della vita umana? Quanto la loro personalità è definita?

Direi entrambe. Hanno una personalità definita e diversa, ma allo stesso tempo sono appunto presenze fantasmatiche, in primis l’una per l’atra e poi vedremo come impersonifichino le personalità della madre e della nonna defunte. Vedremo anche un altro aspetto che le rende indefinite, quello delle aspettative che incombono dall’infanzia e che quindi non hanno permesso loro di diventare realmente sé stesse.
In questi giorni stiamo paragonando la memoria a qualcosa che si accende e all’improvviso diventa Altrove, luogo in cui siamo sempre stati, dal quale non ci siamo mai mossi.

Carmen Giordano - Pezzo a pezzo - foto di Antonio Ficai Abbiamo da poco avuto la notizia della riapertura dei teatri dal 26 aprile, contemporaneamente alle mobilitazioni da parte dei lavoratori dello spettacolo per la tutela del lavoro. Cosa ne pensi? Perché è importante che il teatro non si fermi? Qual è l’apporto che dà alla comunità?

Mi viene in mente una frase di Nietzsche: <Abbiamo l’arte per non morire di verità>. In questo periodo, e parlo da spettatrice, mi manca il teatro da questo punto di vista. Il teatro e l’arte sono imprescindibili per guardare la realtà in un’altra maniera, per restituirci delle immagini e delle riflessioni della nostra umanità (a volte anche più devastanti) che hanno il potere di smuoverci dentro, e si sa che quando questo avviene è più semplice muoverci anche fuori, concretamente. L’essere umano vive sensibilmente non solo di stimoli organici, ma anche di relazioni, sentimenti, emozioni, si mette in discussione, ricerca nell’immaginazione. L’arte ti mette di fronte a una visione, una possibilità di immaginare, di scegliere intimamente. Tutte le grandi civiltà hanno coltivato questa idea! Sicuramente la situazione del teatro oggi è l’estremizzazione di una problematica che ci portavamo sulle spalle già da tempo.

A cura di:
Elena Pancioli

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