16 Aprile 2021

Dagli Affari di famiglia all’impegno femminista. Antonella Questa si racconta

Intervista di Elisabetta Cosci

Antonella Questa - residenza Armunia - foto di Antonio Ficai Segno zodiacale Ariete: nasce a Rosignano Marittimo, Affari di famiglia. E’ martedì 12 aprile e piove. Antonella Questa mi aspetta nella sala Danesin, sparsi sul palcoscenico, tanti fogli con piccoli disegni dal tratto deciso, sono i movimenti di scena. Ha appena scritto la parola FINE al testo del suo ultimo spettacolo Affari di Famiglia che il 30 giugno debutterà al festival Inequilibrio, a Castello Pasquini, Castiglioncello. Lei sta scrivendo un post su instagram “Raggiungere un obbiettivo è un po’ come quando ti butti col deltaplano (l’ho fatto nel lontanissimo 1993 a Rio de Janeiro), sgambetti, corricchi, rallenti poi ad un certo punto prendi coraggio ti dai la spinta e puf voli! Ecco per me aver finito di scrivere il testo di Affari di famiglia, aver abbozzato i disegni sui movimenti di scena, è come essermi lanciata un’altra volta con il deltaplano. Ora lo vedo, vedo cosa sarà, certo devo ancora atterrare sulla spiaggia, ma insomma intanto mi godo il volo.” 

Antonella quindi in qualche modo ripartiamo da Infanzia felice (il suo precedente spettacolo), da un tipo diverso di educazione….

A. In parte sì, dal momento che ho iniziato a lavorare a Infanzia felice mi si è aperto un mondo e le persone le guardo secondo la cosiddetta “pedagogia nera”. La base è ancora la mancanza di relazioni e qui la relazione è tra una madre e una figlia, tra una vecchia generazione e una giovane, e anche tra una “vecchia vecchia” generazione e una nuova. L’idea me l’ha suggerita Maria Silvia Sacchi, giornalista e cara amica, ideatrice e direttrice del Festival Family Business (Festival delle aziende familiari), che mi chiese un intervento ad hoc per questo suo festival. M’incuriosì e cominciai a studiare cosa sono le aziende familiari, scoprendo che in Italia il 90% sono aziende familiari, dal meccanico sottocasa alla Barilla. Dalla piccola alla grande sono tutte aziende famigliari e hanno il problema comune del passaggio generazionale. Solo un 30% passa alla seconda generazione e un esiguo 18% arriva alla terza. Io sono partita da lì e mi sono chiesta perché.

Ho intervistato donne e uomini, dirigenti, le figlie o i figli che dovranno avere una collocazione futura in quell’azienda, dalle aziende più disparate: da quelle che fanno gli zoccoli, a quelle che lavorano il legno a quelle che creano il ripieno per i bignè e così via. Quello che è emerso eclatante in quasi tutte, è stata la mancanza di relazione, e qui appunto mi collego alla pedagogia nera, ovvero il problema è proprio la mancanza di relazione. Il vecchio imprenditore, il titolare ha difficoltà a lasciare alle proprie figlie o figli, per prima cosa perché lasciare è comunque un doversi confrontare con la propria morte, poi perché l’azienda è un altro figlio e spesso è anche un’altra moglie. L’azienda assorbe totalmente, inficiando i rapporti reali, si finisce per parlare solo di quello, sempre, anche a Natale e poi ci sono i conflitti spesso il padre in azienda non dà fiducia al figlio, neanche se ha studiato, si è specializzato con studi universitari anche all’estero, ha fatto esperienze estere in altre aziende. Il padre, anche se anziano, non cede le redini facilmente, continua ad andare in ufficio anche solo per leggere il giornale. In tutti i casi incontrati, i padri sono tutti figli della pedagogia nera, dello schiaffone,della disciplina, dello “zitto e ubbidisci”, del “ma come? Con tutto quello che abbiamo fatto per te non prendi l’azienda?” Insomma del ricatto affettivo

Questo è un lavoro che hai iniziato a fine 2018, come si è evoluto in questo lungo tempo di pandemia?

A. Ho cominciato a studiare, a intervistare e soprattutto ho sentito il bisogno di non andare in scena da sola, ho sentito il bisogno di confrontarmi con un’attrice, Francesca Innocenti che è giovane, interpreterà una trentenne ma è più giovane. Mi sono resa conto che anch’io faccio un passaggio generazionale in scena. La storia che io porto è la storia di una potenziale terza generazione che può prendere questa azienda, c’è una ragazza brava, in gamba che ha fatto esperienze importanti anche all’estero, ma che non è stata mai davvero ascoltata in famiglia e c’è una madre che è succube di un padre, Fabrizio junior e addirittura c’è anche il nonno della madre Fabrizio senior. Mi sono divertita anche con i nomi, c’è la Fabrizia Farmaceutica, che si arricchisce attraverso il castagnino, una polvere estratta dai castagni (che naturalmente mi sono inventata) che avrebbe proprietà dimagranti. Il nonno farmacista inventa queste pillole e avvia l’azienda. Ma c’è la concorrenza e l’azienda non si rinnova e se non si rinnova, se non cambia la gestione e si adatta ai tempi, cominciano i problemi e l’azienda rischia di morire. C’è questa madre poco più che 50 enne, lo spettacolo inizia il giorno del funerale del padre, Fabrizio Junior. Il nonno quindi è morto e questo non dispiace tantissimo alla giovane Fabrizia. Ci sono gli scontri generazionali, la madre che ricalca le orme del padre, lei è cresciuta così. C’è molto patriarcato nelle aziende classiche, alle donne viene dato un ruolo amministrativo anziché commerciale. Le azioni in genere vanno ai maschi alle femmine si danno soldi gioielli beni immobili, raramente le si coinvolge nella gestione dell’azienda. L’azienda classica è psicorigida.  Io apposta metto nello spettacolo una madre e una figlia, perché le capacità riconosciute di arrivare a un dialogo appartengono soprattutto alle donne. Partiamo da una situazione in cui c’è zero dialogo ma in realtà loro troveranno il modo per dialogare, per incontrarsi.

E’ la prima volta che lavori con un’attrice più giovane di te. E’ come se tu avessi sentito in qualche modo l’esigenza di passare in qualche modo il tuo sapere, le tue conoscenze. E Com’è stato fare la mamma?

A. E’ stato bellissimo. Il mio obiettivo è arrivare a 100 anni, ma non potrò continuare in eterno a girare per autogrill. Oggi faccio Stasera Ovulo al nord, domani Svergognata al centro e dopodomani Vecchia sarai tu al sud e così via. Ho sette spettacoli che girano, quindi ho pensato come posso lasciare tutto quello che so, che ho creato e che ho imparato in oltre trent’anni di attività, in fondo sono convinta che ci sia spazio per tutti. Mi è venuto molto naturale.

Come hai trovato e scelto Francesca?

A. In quel periodo ero a Milano, l’ho conosciuta in teatro dove lei faceva la maschera per mantenersi. Mi ricorda un po’ me, perché è una che ha “fame”, lei non ti chiede mai una pausa, quando lavora non mangia, non beve, va dritta come un fuso. Io avevo pensato ad un’altra attrice per questo ruolo, Francesca è molto giovane, molto più della mia protagonista, poi ci sono stati i problemi della pandemia e tutto si è fermato. Nel frattempo l’attrice che avevo pensato per quella parte, è stata scelta per un’altra produzione. Poi siamo in qualche modo ripartiti e ho iniziato a sentire altre attrici, le ho incontrate, le ho fatte leggere. Anche Francesca l’ho fatta leggere e all’inizio non ci credevo proprio, invece lei subito ha preso delle cose, mi ha fatto ridere immediatamente e ho capito che Fabrizia doveva essere lei. In questi mesi io le ho passato gli strumenti e lei li ha saputi usare e mettere in pratica.    

So che ami storpiare le parole, inventartele di nuove, penso per esempio ad una parola che usi spesso “biutezza”, per esempio. Voglio a questo proposito suggerirtene una che mi hai fatto venire in mente mentre mi raccontavi di queste due donne. Qualche giorno fa ascoltando in tv un’intervista ad una anziana femminista, lei parlava di una qualità che appartiene solo alle donne, e la definiva “donnità”, difficile da spiegare il significato, diceva lei, ma è un concetto vicino alla cura, la dote della cura che il maschio non ha.

A. Le donne hanno un’apertura diversa, si mettono costantemente in discussione, è una problematica ancestrale, secolare: il senso di colpa, la bassa autostima, e Annarita (la madre) racconterà degli episodi che spiegano perché non riesce a gestire i suoi rapporti. Nelle donne c’è una disponibilità all’ascolto, una facilità ad ascoltare, uno sguardo, una capacità di mettersi in discussione. Il patriarcato danneggia anche l’uomo perché lui non può avere un’emozione, perché si dice “piangere come una femminuccia”, perché il maschio non può dire sono stanco, ho bisogno di aiuto, di piangere.           

Il tuo impegno nell’attivismo femminista, in questo periodo di lockdown, ferma con le tournee, è cresciuto. Ti sei impegnata molto di più per esempio partecipando attivamente alle iniziative del movimento Il Giusto mezzo.    

A. Io sono sempre stata molto impegnata su questi temi, già nei miei spettacoli da Stasera ovulo a Svergognata, sono stata sempre molto attenta a queste tematiche, il periodo di forzata pausa è stato sicuramente per me, nonostante tutto, una bella occasione. In questo periodo storico in particolare, grazie ai social, molte voci stanno emergendo penso per esempio all’attenzione nei confronti delle tematiche della disabilità, del razzismo, io sto imparando da tutto questo e sto studiando, per esempio sui social ho scoperto cos’è la grassofobia, un tema che tratterò in un mio prossimo spettacolo. Dai social ho scoperto che c’era un flash-mob del Giusto mezzo, il movimento di donne impegnato su tematiche determinanti per il futuro del nostro Paese: una maggiore presenza delle donne nei gruppi decisionali, un’attenzione reale verso i bambini e le bambine, la necessità di riportare le competenze femminili nel mercato del lavoro sia attraverso politiche fiscale sia di servizi alla persona da zero anni alla terza età. Soprattutto attraverso il rafforzamento e la realizzazione delle necessarie infrastrutture sociali, per ridisegnare un Paese più giusto, più equo e più sano. Ho deciso che dovevo partecipare. Ricordiamoci che io avevo già fatto, nel 2015 Wonder woman, donne, denaro e superpotere e qui torniamo a Maria Silvia Sacchi e a Luisa Pronzato, due giornaliste che avevano affidato a Marta Cuscunà l’idea e lei aveva chiamato me e Giuliana Musso a darle una mano, con i dati relativi alla womenomics (n.d.r. il neologismo coniato da The Economist nel 2006 per definire la teoria economica secondo la quale il lavoro delle donne è oggi il più importante motore dello sviluppo mondiale), cioè se tu fai lavorare una donna, il posto di lavoro della donna ne crea tre.
Antonella Questa - residenza Armunia - foto di Antonio Ficai Il PIL del paese cresce ma siamo in una società in cui la pandemia ha distrutto il lavoro femminile, per non parlare dei giovani, la scuola, che solo a pensarci mi vengono i brividi. A dicembre sono usciti i dati del lavoro perso e su 110 mila, 99 mila sono donne, il 90 % e così è in tutto il mondo. Ho aderito subito a Il Giusto mezzo, un movimento di donne che continua a spingere e questa spinta sta portando risultati. Una delle iniziative è stata l’8 marzo, si chiamava “l’otto in comune” abbiamo spedito alle pec di tutti i comuni italiani le richieste del giusto mezzo per un ordine del giorno in cui si chiedeva la parità di genere per il lavoro, per avere un impiego senza discriminazioni, pari retribuzioni. So di altre iniziative simili, mi sembra che ci sia anche una proposta avanzata alla Camera, per presentare il curriculum anonimo, che già esiste per esempio in Francia. La Regione Piemonte all’unanimità l’ha votato, altri comuni come Avellino, Latina  si sono aggiunti e altri si stanno aggiungendo, impegnandosi per cambiare strutturalmente le cose e incentivare l’occupazione femminile. Per fare questo come Giusto mezzo chiediamo gli asili nido, in molti comuni del sud ce ne sono solo privati, il tempo pieno, che in alcune zone non è mai arrivato, il congedo di paternità ai padri (sono padri non mammi, mammo è un termine discriminatorio) se abbiamo 5 mesi di paternità diamo spazio ai padri, e uno che assume una persona è indifferente che sia maschio o femmina. Il Recovery Fund ci offre una straordinaria opportunità, eppure le prime analisi sull’impatto di genere ci suggeriscono di insistere affinché sia utilizzato per politiche integrate e investimenti moltiplicatori. Con questo in mente abbiamo deciso di scrivere una lettera al Presidente del Consiglio e al Governo per chiedere che la metà, da qui il nome Giusto mezzo, del recovery fund sia ugualmente ripartita. 

E’ vero che la nota azienda di giocattoli Lego, a Parigi, ti ha commissionato un seminario sull’empatia?

A. Si proprio come quello che era nato e avevo fatto ad Armunia, ma purtroppo la pandemia ha bloccato tutto e adesso è tutto rimandato a quando potremo farlo in presenza.

Sempre ad Armunia tu avevi tenuto un seminario per insegnanti dal titolo Raccontami una storia, in cui insegnavi loro come si racconta una storia. Se adesso dovessi raccontare a un bambino cosa sta accadendo in questo periodo, cos’è la pandemia, da che cosa partiresti, quale sarebbe l’incipit del tuo racconto?

A. Partirei da uno starnuto, racconterei una favola sulle goccioline, concentrandomi sull’immagine delle goccioline, quelle dello starnuto, del respiro ma anche quelle dei gel disinfettanti.

La questione del comico: il fatto che tu spesso sostieni che dobbiamo essere aperti, empatici che dobbiamo dire SI, porci positivamente. In che modo arrivi alla comicità partendo dall’empatia?

A. Ne parlavamo proprio ieri con Francesca perché avevamo difficoltà a fare un’azione. Le ho detto: smolla, vai, butta fuori, se resti in una situazione di apertura, se permetti alla tua testa di eliminare il giudizio, è così che trovi le situazioni comiche. Dire sì significa stare in ascolto, cogliere l’input è un’apertura mentale, significa abbandonare il giudizio.

Antonella Questa - residenza Armunia - foto di Antonio Ficai Prima di salutarci, come procede la coppia geneticamente modificata?

A. (Ride) Il mio meraviglioso coinqui (il coinquilino, come Antonella definisce il suo compagno, da qualche mese suo marito n.d.r) sta bene, finalmente la coppia “geneticamente modificata” il 6 agosto 2020 è riuscita a sposarsi, per la pandemia abbiamo dovuto rimandare il matrimonio che era previsto ad aprile del 2020, ma ci siamo riusciti. Io gli dico sempre che sono entrata nel Giusto mezzo anche per lui. Per veder riconosciuti anche i suoi diritti, basta con queste discriminazioni anche nei confronti dei maschi. Se lui è più bravo di me a fare la lavatrice, a caricare la lavastoviglie o a cucinare, perché non dovrebbe farlo? Mica mette in discussione la sua mascolinità.

A cura di:
Elisabetta Cosci

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