Denti, o della sensibilità della pietra di Piergiorgio Milano
Piergiorgio Milano, danzatore e coreografo, porta in scena nella prima parte del Festival Inequilibrio 2020, uno spettacolo dal titolo Denti, nato dalla suggestione di un sogno, metafora della lotta tra l’impossibilità di partire e il desiderio di dimenticare.
Da cosa nasce la volontà di lavorare su una parte del corpo così “desueta” come i denti?
L’idea di lavorare sui denti nasce dalla suggestione di un antico detto popolare secondo cui sognare la perdita dei denti equivale all’imminente perdita di una persona cara. Oltretutto, questa superstizione, tramandata dalle nonne della famiglia mi ha sempre accompagnato. In più, il sognare questo accadimento, in qualche modo, ha inciso nella mia vita perché ha coinciso realmente con un’esperienza di perdita, e da qui è nata la volontà di lavorare sulla parola denti.
Cosa rappresentano i denti? Quale sono state le ispirazioni o il processo che ti ha portato a questa teoria?
Per me i denti rappresentano la parte più dura, inamovibile, rocciosa e allo stesso tempo sensibile del corpo. L’immagine alla base era quella di una “pietra sensibile”, questa metafora è stata una dei motori della ricerca fisica che ha portato alla creazione del materiale coreografico di cui è composto il solo.
Come si esprimeranno nella partitura coreografica l’impossibilità di partire e il desiderio di dimenticare? Che studio sul movimento hai compiuto?
Il materiale coreografico è sviluppato intorno all’immagine della “pietra sensibile”. Ho cercato di rivelare una fisicità molto dirompente, forte e muscolare, incentrata su una gestualità che, al contrario, è molto sottile, intima e delicata. All’interno della partitura l’impossibilità di dimenticare e di tornare indietro sono legate molto all’utilizzo dello spazio, in alcuni casi, anche nell’utilizzo della luce che crea delle sezioni di spazio al cui interno la figura è costretta a muoversi senza poterne uscire; le due dinamiche interiori si legano anche all’utilizzo di movimenti che sono costruiti sulla contraddizione fisica (verso una direzione e il suo opposto). La costruzione dei loop coreografici (forme di movimento che si ripetono) portano il danzatore a ritornare sempre sullo stesso punto nonostante l’ampia porzione di spazio.
(domanda di rito) Il tempo di sospensione dovuto alla pandemia, per tuo conto, cosa lascia al mondo della danza e nel tuo lavoro di artista/danzatore?
Durante questo periodo di pandemia ero molto concentrato sull’istante presente, sull’ascolto, sull’approfittare di un silenzio forzato fino a essere obbligato ad ascoltare di più me stesso. L’impossibilità di programmare ha lasciato al mio lavoro di danzatore e artista una riflessione sull’importanza di ciò che sto facendo, dell’impegno che richiede, riaffermando in me la decisione di fare questo mestiere. Un lavoro che può svanire e scomparire dalle scene velocemente, come questa quarantena ci ha dimostrato. Ho acquisito maggior consapevolezza e coraggio nell’accettare la sfida di essere danzatore, coreografo e creatore di spettacoli dal vivo.
Rispetto al mondo della danza la mia idea è cambiata: ad oggi, oltre alla speranza, c’è un grande dubbio sul ruolo che nella cultura il danzatore/coreografo ricopre. Vedo un grande silenzio, una grande distanza, una grande mancanza di rispetto da parte delle istituzioni verso il mondo dello spettacolo dal vivo. Inizialmente questa pandemia mi aveva fatto accettare di mettere il mio lavoro in secondo piano, vista la problematicità sanitaria, ma nel momento di ripresa ho visto uno squilibrio netto, una pessima gestione delle esigenze della popolazione che rilega in un angolo la cultura, rispetto al peso che questa ha in una nazione democratica e intelligente. Non viene né garantita né discussa.
Per questo motivo una grandissima stima e un grandissimo appoggio va a tutte le realtà come Armunia e il Festival Inequilibrio che stanno lottando, provando a resistere, contro questo essere messi in un angolo. Ci aspettavamo (forse utopicamente) di ripartire da un mondo più equo, ma per adesso non è così, anzi c’è molta più indifferenza.