L’esigenza della creazione: Love – Paradisi Artificiali di Davide Valrosso
Intervista di Claudia Caleca
“Faccio fatica ad esprimermi. Il linguaggio cui faccio riferimento non è quello delle parole. Danzando insieme potremmo capire molte più cose”.
Ecco come Davide Valrosso, danzatore e coreografo, mi sorprende durante l’intervista tenutasi presso l’Auditorium Danesin ad Armunia. Un linguaggio, quello del corpo, che non rappresenta solo passione e dedizione, ma è uno stile di vita, un codice di riferimento. Incontro Davide durante le prove pomeridiane insieme alle tre danzatrici, Chiara Ameglio, Giulia Porcu e Olimpia Fortuni, e ne approfitto per parlare del nuovo progetto artistico: Love – Paradisi Artificiali.
Cosa rappresenta per te la Residenza Artistica? Qual è la tua giornata tipo?
Davide: E’ un’occasione. Essendo un freelance non ho una struttura fissa dove creare: Armunia mi ospita e così supporta la produzione, grazie a questo spazio raccolgo elementi. Per me è importante lavorare con ciò che accade all’istante pur partendo da un progetto cerco di evolverlo proprio rispetto a quello che accade. Ad esempio, nel solo Biografia di un corpo l’elemento di un vetro bianco da dove filtrava luce nella sala mi ha dato un suggerimento. Qui ad Armunia c’è una energia particolare e sono sicuro che questo influenzerà l’aspetto creativo. La Residenza è un’occasione per mille aspetti, è un ciclo continuo di idee.
Qual è il tuo metodo quando vuoi approcciarti ad un nuovo lavoro?
Davide: Non parlerei di metodo, perché esso impone la standardizzazione dei processi, preferisco parlare di ascolto. Con Love l’esperienza è stata lunga: ho iniziato ad immaginare il lavoro nel settembre 2018 e per un anno intero ho cercato risorse, pensato agli elementi estetici, mi sono chiarito i contenuti che volevo emergessero, ho indagato materiale musicale e figurativo. La ricerca normalmente ha tempo lunghi ed è stratificata, serve lentezza e sedimentazione per comprendere al meglio dove andare, soprattutto perché in Love siamo in bilico tra inconscio e razionale. Quando ho incontrato le danzatrici ho mostrato loro il materiale e raccontato le mie esperienze, aprendo il mio cuore con grande sincerità. E’ importante avere performers partecipi al processo, e che si sentano parte del lavoro. Love non sarebbe Love senza le tre danzatrici, che mi hanno dato cose cui non avrei pensato.
Cosa nutre la tua danza? A cosa guardi quando vuoi creare?
Davide: Ho una lunga carriera come danzatore, meno lunga come coreografo. Siamo così pieni di formule preconfezionate da perdere il contatto con la nostra scintilla personale. Personalmente tendo a staccarmi dalle norme per entrare in contatto con ciò che sento: la mia danza è nutrita da un’urgenza. Parto dalla ricerca di elementi soggettivi, che però appartengono a tutti, rendendomi conto che se non ricevo rimandi da una tematica non ho la forza di farla emergere quindi resto nella verità convinto che: nell’universalità cerco me stesso. Ecco che Love ha una relazione con me.
Parlami della scelta di dirigere Love al posto di prenderne parte…
Davide: Non danzo perché la priorità non sono io ma il lavoro e stando fuori ho unO sguardo più lucido. Sono come un medium, un mezzo tra gli elementi universali, concentrati in un impulso personale, che entra in relazione con altri oggetti artistici, danzatrici comprese che sono materia viva e mutevole. Sono il collante tra loro e quella materia invisibile che unisce tutto. Ho poi pensato perché scegliere proprio tre donne, e sono arrivato alla conclusione di volermi allontanarmi dall’idea di coppia. Love – Paradisi Artificiali è possibilità di rappresentare solo l’amore e il desiderio. Il corpo femminile ha una carica energetica e una sottigliezza sessuale più interessante per questo tipo di lavoro.
Paradisi artificiali mi fa indubbiamente pensare a Baudelaire…
Davide: E’ corretto. La dimensione iniziale in cui mi sono mosso è per l’appunto il rapporto. Paradisi artificiali parla proprio del rapporto del poeta maledetto con le sostanze stupefacenti. Dal punto di vista dell’amore sorge il rapporto tra Eros e Thanatos, elementi in profonda relazione. Infatti la prima immagine che ho avuto era di una coppia impossibilitata ad unirsi a causa di un “paradiso artificiale”. Paradisi artificiali ha a che fare simbolicamente, con una dimensione stupefacente, immateriale.
Qual è il focus del lavoro?
Davide: E’ l’incapacità di poter amare davvero o lasciarsi amare. Soprattutto oggigiorno, in cui i rapporti affettivi sono visti come rapporti di consumo, ho riflettuto su come questa modalità di vivere l’altro ci impedisca la materializzazione del sentimento amoroso-relazionale. Siamo figli di un tempo vittima di perdita di poesia e tendenza al cambiamento costante dove si consuma tutto, anche le persone. Il mio lavoro è caratterizzato dalla capacità di generare cose che si dissolvono, creare continuamente, cambiare, far ritornare elementi.
In che rapporto sono i performer col pubblico? Cosa vuoi scuotere, sensibilità, empatia?
Davide: Spero che il mio lavoro entri in risonanza con chi guarda come in un sogno: chi guarda, spero trovi delle connessioni personali. E’ importante che il lavoro sia proiettato verso una direzione ma nello stesso tempo che abbia grandi possibilità di interpretazione e apertura. Ci sono inoltre segni chiari ed evidenti, altri enigmatici e nascosti, dettagli simbolici che non verranno mai rivelati. Lo faccio perché è divertente: tutti nascondiamo qualcosa.