Residenze creative: il progetto per bambini “Ritorno all’utopia” di Luca Mori
Intervista di Elena Pancioli
Un esperimento mentale generatore di ipotesi. Una palestra per il pensiero
Questo è uno degli obiettivi del progetto del filosofo Luca Mori, ma non è l’unico come vedremo. Dal 2016 a oggi questo progetto ha fatto il giro dell’Italia e successivamente, dal collezionismo di testimonianze, Mori ne ha tratto nel 2017 un libro, edito ETS, dal titolo Utopie per bambini: il racconto di tutte le utopie incontrate conversando con loro. Un progetto nato proprio a Rosignano nel 2005. Con Ritorno all’utopia Luca Mori continua il suo cammino alla ricerca e scoperta di nuove utopie, nuove città e nuove comunità possibili.
Perché c’è il bisogno di ritornare sul concetto di utopia?
Ritorno fa riferimento ad un progetto di filosofia lanciato qua a Rosignano nelle scuole dell’infanzia, basato sull’esperimento mentale dell’utopia, passato poi anche nelle scuole primarie. Ritorno all’utopia è anche più in generale legato all’epoca che stiamo attraversando, perché siamo probabilmente alle soglie di catastrofi ambientali o comunque di crisi di vario tipo, e porsi il problema di immaginare sin da bambini, insieme, in una dimensione pubblica e potremmo dire politica, cos’è che vogliamo davvero nel mondo e quali potrebbero essere delle prospettive per migliorarlo è un esercizio utile.
Qual è stato il tuo percorso da filosofo che ha portato all’elaborazione di questo progetto?
Quando ho iniziato a fare filosofia con i bambini mi occupavo di questi temi e l’idea nasce dall’accoglienza che i bambini hanno dato al tentativo di immaginare con loro un luogo bello in cui vivere davvero bene. L’idea è nata dalla voglia di fare filosofia, di fare ragionamenti con i bambini partendo da problemi classici del pensiero. L’utopia attiva delle dinamiche forti e partecipate. La valenza è legata al pensare il mondo tenendo conto di quello che ha, nel mondo contemporaneo, una valenza aggiuntiva. Con i bambini più piccoli non l’affronti esplicitamente, ma andando su negli anni si, l’immaginazione dell’utopia può accostarsi anche a degli esercizi di analisi della cronaca e all’allenamento delle competenze di cittadinanza su temi più espliciti.
Quali sono stati i filosofi a quali ti sei ispirato per questo progetto?
Alle spalle c’è la lettura di un po’ tutti i classici dell’utopia, senz’altro i due termini di riferimento sono i due grandi classici dell’utopia per eccellenza: da una parte la Repubblica di Platone, da cui prendo proprio la prima domanda e ovviamente anche altre, e dall’altro Tommaso Moro (Thomas More) con il romanzo Utopia che introduce l’idea dell’isola come spazio separato che aiuta la finzione e l’elaborazione dell’esperimento mentale. L’esperimento mentale in entrambi i pensatori diventa un motore che aiuta i bambini a generare ipotesi. Un filosofo contemporaneo, Daniel Dennet, afferma che gli esperimenti mentali sono “pompe di intuizioni”. In un gruppo si generano intuizioni diverse tra loro che portano ad attivare un ragionamento di “secondo livello” facendone una vera e propria palestra di pensiero e del ragionamento.
Quali sono i comportamenti tipici dei bambini quando si trovano in relazione e si confrontano su temi e idee divergenti?
In tanti gruppi le variabili in gioco sono tantissime, è difficile dirlo con esattezza. Ci sono dei gruppi già avanzati e pronti all’ascolto e all’elaborazione di conflitti. Ci sono invece dei gruppi dove, all’emersione del conflitto, le prime dinamiche tendono a trasformarsi in competizione tra idee. Quindi più che comportamenti tipici parlerei di estremi tra chi sa ascoltare e chi non riesce a farlo. Anche in questo caso l’allenamento filosofico serve perché non si tratta di mettere in competizione ma mettere in relazione per gestire al meglio il conflitto.
Perché per questo progetto hai scelto proprio i bambini tra i cinque e i dieci anni? Perché chiedi a loro di «risolvere un problema da grandi»?
Le scuole primarie e dell’infanzia sono sempre state le più curiose di provare questo esperimento. Poi c’è la sorpresa di quello che può suscitare (grazie alla fantasia) il lavoro con i bambini di questa età. Se volgiamo c’è anche una questione simbolica, perché Platone nella Repubblica dice che se lui avesse dovuto realizzare la città più giusta fra tutte le altre avrebbe messo come abitanti soltanto bambini e bambine fino ai 10 anni di età. Pensava che gli adulti, con le loro vecchie abitudini, avrebbero trasformato la città nuova in una città vecchia. Però Platone non si era posto il problema su che tipo di immaginario utopico avessero i bambini di 10 anni e in realtà li avrebbe inseriti in un progetto da lui creato, e con lui come amministratore.
Ho notato, nel primo incontro al Castello di Rosignano Marittimo, che i bambini erano molto decisi a creare una comunità primitiva in cui per la tecnologia o non c’era posto oppure c’era, ma era minimo. È una situazione ricorrente?
Questa è una delle costanti che ho trovato in giro per l’Italia. C’è l’esigenza di un mondo più “leggero”. Spesso i bambini in maniera più generica non vogliono portare la tecnologia non rendendosi conto che questa in realtà, essendo noi animali tecnologici, viene utilizzata anche nelle piccole cose, come la fabbricazione dei vestiti. Poi però quando si precisano le questioni la preoccupazione per l’inquinamento e per la devastazione degli ambienti di vita li porta a un riavvicinamento. A volte i bambini si chiedono se gli adulti stessi sarebbero in grado di accettare o no questa semplificazione. Quindi il problema esiste e lo ritrovo in tutti i livelli, con complessità diverse.
Spesso sintetizzo questa problematica con l’idea del limite: i bambini hanno la sensazione che nel mondo in cui siamo si facciano troppe cose che complicano la vita e danneggiano l’ambiente. Quindi molto spesso nelle loro regole viene fuori un “non fare troppo” come il non inquinare troppo, il non produrre troppo, non tagliare troppi alberi, non pescare troppi pesci, con la sensazione che noi umani stiamo vivendo al di sopra del limite, e in effetti è il Problema.
Un altro macrotema che emerge è quello della diversità figurata nell’immagine della “casa di tutti”. Come si pongono i bambini al riguardo e come svilupperai questo tema nel corso degli incontri?
Ci sarà una domanda-sorpresa alla fine. Quando loro avranno immaginato la loro utopia dirò: «Facciamo finta che arrivi una nave di persone sconosciute (bambini, uomini e donne)». Ecco che lì si nota, anche nei bambini, tutta la complessità e l’ambiguità che gli adulti hanno nel gestire questa questione. Di conseguenza ci sono isole che improvvisamente si trasformano chiudendosi, alzando dei muri, armandosi e, al contrario, ci sono isole che invece elaborano delle strategie di accoglienza e di incontro molto sofisticate. Infine ci sono quelle isole che cercano di sparire, di mimetizzarsi senza arrivare allo scontro, quest’ultima idea porta ad avere una maggiore fantasia e alla creazione di cannoni di fumo teatrali o specchi che rispecchiano il mare…
Hai riscontrato qualche differenza nel porsi tra il genere femminile e quello maschile?
No, non ho abbastanza elementi per dirlo. Devo dire che una delle esperienze più curiose che ho fatto in questo senso è accaduta in una scuola secondaria di primo grado (media), dove nel lavorare sul concetto di pregiudizio, feci immaginare, a gruppi separati, l’utopia dei maschi ai maschi e l’utopia delle femmine alle femmine chiedendo poi ai due gruppi di immaginare come sarebbe stata l’utopia dell’altro gruppo. Mentre immaginavano queste utopie vennero fuori tutti i possibili stereotipi sociali e di genere. Però, nell’andare avanti, venne fuori l’idea dell’ esagerazione e la successiva volontà di superamento dello stereotipo stesso. Alla fine le due utopie erano molto simili su tanti aspetti.
Nel 2020 uscirà un altro libro di Mori, sempre edito ETS, dal titolo Paesaggi Utopici: un tentativo di confrontare le utopie attraverso le generazioni che includeranno degli aggiornamenti sul progetto dal 2017 a oggi iniziato dai bambini e arrivato ad includere anche gli adulti (studenti universitari-genitori-lavoratori).