29 Dicembre 2019

Indagare per creare: le aziende familiari raccontate da Antonella Questa

Intervista di Claudia Caleca

Antonella Questa - foto di Antonio FicaiOspite presso la Residenza di Armunia a Rosignano Marittimo è la nota Antonella Questa, attrice poliedrica dall’inconfondibile personalità, che ci racconta in modo più approfondito le tematiche del suo prossimo lavoro: imprese di famiglia, passaggio generazionale, dinamiche relazionali, incomunicabilità nei rapporti. Sorridente, computer alla mano, capelli indomabili (proprio come la sua vena artistica) la Questa ci fa sognare, riflettere, reagire… 

Cosa rappresenta per te la Residenza Creativa?
Antonella: E’ lo spazio in cui do voce e corpo alle decine di personaggi che mi abitano in testa (sorride). La mattina scrivo e assemblo, il pomeriggio provo diverse strade (Antonella mi mostra alcuni video inediti), improvviso, correggo le posizioni riguardandomi, provo i finali possibili, tolgo e aggiungo scene: svuoto la testa e faccio uscire qualsiasi cosa, non mi giudico. La Residenza per me è fondamentale, ne ho bisogno, è un mondo a parte rispetto al mio (Antonella gestisce  LaQ-Prod) e alla vita dell’attrice: è lo spazio creativo, il posto in cui posso liberarmi, scrivere, comporre, emergere.

Qual è stato l’input del tuo lavoro?
Antonella Questa - foto di Antonio FicaiAntonella: Tutto è nato dal suggerimento di Maria Silvia Sacchi, giornalista del Corriere Della Sera, che è inoltre creatrice e curatrice del Family Business Festival. E’ interessante il fatto che in Italia quasi il 90% delle aziende siano familiari e il problema maggiore sia il passaggio generazionale: il 35% delle aziende sopravvivono dal fondatore ai figli e solo il 18% arriva alla terza generazione. Quindi, partendo da questi dati, la mia indagine sulle dinamiche aziendali mi ha portata ad una riflessione più profonda sulle dinamiche relazionali con relative problematiche: a cosa sono dovute? Come possiamo risolverle? Ancor di più analizzo la mancanza di fiducia che noi “vecchi” (sorride) abbiamo nei confronti dei giovani.

Che ruolo ha la famiglia nell’azienda?
Antonella Questa - foto di Antonio FicaiAntonella: Per un imprenditore la famiglia è meno importante dell’azienda perchè quest’ultima scaturisce da una forte passione, talvolta cieca, che investe tutto. Ed è proprio questo a creare forti problematiche: il figlio non si sente stimato dal padre, nascono i litigi e il lato umano manca. L’ambizione dell’imprenditore occulta la vera relazione proprio perché sarà l’azienda a sopravvivergli! Ed ecco che si arriva alla trasmissione del nome, all’eternità, all’immortalità. Quindi mi chiedo: “Ma ciò come gioca sull’autostima del figlio? Cosa fa sì che il figlio resti in azienda fino alla fine? Aveva ambizioni, voleva far altro? E’ un modo per star vicino a un padre assente che magari non veniva alle recite?”. Da qui costruisco la storia.

Cosa tratterà la rappresentazione nello specifico?
Antonella Questa - foto di Antonio FicaiAntonella: E’ la storia di un passaggio generazionale tra madre e figlia all’interno di un’azienda familiare fondata dal nonno della madre, guidata successivamente dal padre, dove tutto ha inizio con la morte del nonno, Fabrizio Junior. Questo è il pretesto per parlare di famiglia, di passaggio di potere, dell’esser restii al potere verso le donne, di incomunicabilità. Anche la morte sarà un tema portante: nel passaggio generazionale, infatti, il capofamiglia non lascia il potere perché non vuole fronteggiare la finitezza della sua esistenza, quindi tende a non preparare il passaggio al suo successore.

Qual è il tuo metodo di lavoro?
Antonella: Prevalentemente di ricerca: intervisto, leggo e studio. Mi interfaccio sia con gli interni sia con gli esterni all’azienda, ad esempio con il DRH, direttore delle risorse umane, che vive da vicino il funzionamento delle aziende familiari e la divisione dei poteri. 

Quanto è il peso della realtà nella finzione?
Antonella Questa - foto di Antonio FicaiAntonella: Moltissimo. La storia che creo non esiste, non la porto in scena grazie a una fonte, bensì è la somma degli input che ho ricevuto, mista a suggerimenti o accadimenti della mia quotidianità: assorbo la realtà che mi circonda e la riproduco. Anche in La beffa, la cena: un duello di parole, con Luca Scarlini, Benito Mussolini è frutto di uno studio: leggendo chi era, ciò che ha scritto e hanno scritto di lui, guardando i video dove compare, ho cercato e inventato l’aspetto umano. La realtà conta ma non c’è una storia che mi colpisce: tutte le storie nutrono e concorrono a creare lo spettacolo finale.

Anche rispetto ai tuoi lavori precedenti, ciò che fai si può definire un “teatro sociale”?
Antonella Questa - foto di Antonio FicaiAntonella: Il teatro è sociale, racconta la nostra storia. Quando sono sul palco racconto la tua storia, la mia, quella della tua famiglia, dei tuoi amici. Ad esempio in Vecchia sarai tu c’è sì la storia principale, la vecchia Armida che vuole scappare dall’ospizio dove è stata rinchiusa contro la sua volontà, ma anche quella di Sabine, la nuora che l’ha rinchiusa e la sua paura dell’invecchiamento, e quella della nipote, immersa nel precariato. Intreccio più storie per parlare di molteplici argomenti che ci circondano. E’ la pedagogia nera raccontata sotto forma di fiaba con l’ausilio dell’ironia: anche se durante i miei spettacoli ridi, perché l’ironia solleva il giudizio e fa ascoltare la storia senza farci sentire presi in causa direttamente, ti riconosci.

E il riso fa scattare l’identificazione.

A cura di:
Claudia Caleca

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