La Fionda Teatro e Bottega Bombardini: insieme in residenza per parlare di donne rivoluzionarie
Intervista di Benedetta Pratelli
Se per molti agosto è il mese in cui fermarsi per ricaricare le batterie prima della nuova stagione, c’è invece chi decide di dare il via ai lavori proprio in questo periodo. Nella calura estiva di un pomeriggio pieno di cicale incontro le due compagnie insieme in residenza ad Armunia. Due compagnie per un unico progetto, le cui suggestioni vedono qui la luce per la primissima volta.
Assistiamo quindi a una nascita, o forse meglio, a un concepimento.
Nello studio esterno di Armunia presso le Morelline mi presento a Paola Zecca, Elisabetta Pogliani, Luca Iervolino e Rosario Sparno, da cui mi faccio raccontare di cosa tratta questo nuovo progetto e come sono finiti tutti insieme ad Armunia in agosto.
Paola Zecca: A questo progetto siamo arrivati spinti da due desideri. Il primo era di riunirci in quanto persone amiche. Siamo due compagnie diverse (Rosario e Luca di Bottega Bombardini di Napoli e io e Elisabetta Pogliani de La Fionda Teatro di Milano) e abbiamo spesso collaborato su scritture sceniche preesistenti, improvvisando e scrivendo su alcuni temi, o creando riduzioni da testi altrui. In questo caso, provando ad annullare i canonici ruoli del teatro, vogliamo invece tentare una scrittura originale: l’obiettivo è provare a scrivere un testo a quattro mani, che possa essere anche letto indipendentemente dalla scena. È una scommessa, perché tra di noi c’è una grande stima lavorativa, un’amicizia profonda, ma siamo anche quattro individui diversi con tutto quello che ci differenzia.
Il secondo desiderio invece è quello di trattare una tematica specifica. Siamo partiti dal mio amore per Rosa Luxemburg e le sue lettere. Rosa Luxembrug è una donna, ebrea, polacca, clandestina, resistente, rivoluzionaria…racchiude in sé tutta una serie di tematiche che a noi interessano molto in riferimento al tempo contemporaneo. Abbiamo quindi deciso di farle una dedica per il centenario della sua morte, che ricorre proprio nel 2019, partendo da lei per parlare di noi oggi. L’obiettivo è dar vita a un lavoro politico ma che abbia in sé la bellezza del teatro, della parola, dell’invenzione. La costruzione sarà certamente complessa perché implica prima di tutto la conoscenza di un passato importante di conquiste, che purtroppo stiamo dimenticando, e implica secondo noi la necessità di essere propositivi nella contestazione per il mondo in cui viviamo oggi, traducendo questa necessità politica con parole adatte al teatro.
Dunque partendo da Rosa Luxemburg, lavorando inizialmente a distanza, scambiandoci testi e confrontandoci, sono uscite altre figure femminili: donne rivoluzionarie legate alle vicende italiane degli anni Settanta, agli eventi relativi alla Comune di Parigi… Donne le cui conquiste e capacità di lotta collettiva, paradossalmente, risultano per noi più contemporanee della contemporaneità in cui siamo immersi.
Questa è quindi la vostra prima vera residenza relativa al progetto?
Paola Zecca: Questo è il primo passo in assoluto, La cosa curiosa è che tutte queste teorie appena raccontate nascono qui ad Armunia. Nei mesi scorsi ci siamo confrontati, abbiamo elaborato un primo pensiero al riguardo e, nel momento in cui abbiamo capito che ci sarebbe stato possibile trovarci, abbiamo deciso di provare. Fabio Masi si è incuriosito al progetto e ci ha accolto in residenza: qui sta nascendo l’embrione.
Avete detto che nei mesi passati vi siete scambiati letture e scritti, in residenza invece come state lavorando?
Luca Iervolino: In questa settimana abbiamo discusso molto; abbiamo scritto, sia in maniera individuale per poi confrontarci, sia in maniera collettiva; abbiamo improvvisato su alcuni temi scelti, riprendendoci e riguardando le improvvisazioni. Abbiamo cercato di conciliare i vari modi in cui noi tendenzialmente lavoriamo e sono uscite alcune cose interessanti. Non sappiamo se il materiale che stiamo creando resterà o sarà abbandonato, al momento si tratta di suggestioni: per esempio ci siamo immaginati una radio come ambientazione della drammaturgia, con personaggi che fanno gli speaker, e l’idea al momento è quella di giocare con il nome di Rosa Luxemburg e raccontare la storia di altre “rose cattive”, le cui storie possano aiutarci a distruggere alcuni luoghi comuni pericolosi.
Nessuna di queste donne rivoluzionarie, per esempio, stava combattendo per la democrazia, concetto che sembrerebbe universalmente buono ma nasconde in sé molte insidie. Queste donne lottavano per una società diversa, senza classi: che fossero comuniste, anarchiche o altro, non lottavano certo per la democrazia parlamentare! Fino alla Seconda Guerra mondiale alcune di esse sono passate alla storia come rivoluzionarie, dopo invece, dagli anni Sessanta e poi Settanta, le donne che si sono rese protagoniste di atti rivoluzionari sono passate nell’opinione comune come delle terroriste, violente… tutta una serie di concezioni che potrebbero essere scardinate raccontando l’amore per questi personaggi.
L’intento del lavoro è quindi politico nel senso alto del termine ed è chiaramente politico culturale per quello che è il nostro mestiere. Ci sembra che intorno a noi, non soltanto negli schieramenti politici ma anche al livello culturale e artistico, stia venendo meno il sogno di una società diversa, l’idea propositiva di un cambiamento positivo; al contrario sembriamo destinati al capitalismo, allo sfruttamento alla legge del più forte… Quello che vogliamo fare è proprio uno sforzo di immaginazione, che parta da noi per poi coinvolgere il pubblico.
Quando accennate alla volontà di creare un testo che sia leggibile al di là dello spettacolo, cosa intendete? Pensate a una dichiarazione di intenti o più a un romanzo vero e proprio?
Luca Iervolino: Per quanto ci riguarda noi abbiamo già lavorato insieme in passato utilizzando spesso un tipo di scrittura scenica lontana dal classico copione di drammaturgia, ma partendo in quei casi da testi, racconti, romanzi già scritti. Qui invece stiamo cercando di conciliare la nostra dichiarazione d’intenti con lo sforzo immaginativo: ci piacerebbe che ci fosse una coerenza narrativa.
Che tipo di pubblico vi immaginate?
Paola Zecca: La prima risposta che mi viene da darti è un “pubblico giovane”, concetto ormai vasto. Lavorando molto con i giovani e i giovanissimi abbiamo spesso dei rimandi da parte loro, scopriamo le loro opinioni, il loro modo di stare nella contemporaneità, e a volte nascono dei dialoghi che ci fanno capire quanto il loro tipo di malessere corrisponda al nostro anche se vissuto in maniera diversa.
In realtà, essendo noi ormai non più così giovani, possiamo dire che l’intento è quello di parlare a tutti: se dobbiamo fare una bella rivoluzione la facciamo con tutti quelli che sono a teatro!
Le donne che abbiamo studiato fino a oggi sono rivoluzionarie del Novecento e abbiamo scoperto che ce ne sono anche di contemporanee: donne ormai anziane ma ancora in vita. Sarebbe bello quindi lasciare da parte il gap generazionale…
Luca Iervolino: Sicuramente il nostro obiettivo è fare qualcosa di popolare, nel senso alto del termine, rivolto a tutti, dal novantenne nostalgico al giovane che non sa di cosa stiamo parlando.
Vi andrebbe di darci qualche titolo? Qualche consiglio di lettura per entrare ancora di più nel vivo del vostro lavoro?
Luca Iervolino: Il libro più importante è sicuramente Le indomabili di Davide Steccanella, una forma di enciclopedia di rivoluzionarie del Novecento, tra le quali noi ne abbiamo scelte quarantadue; dello stesso autore un altro testo molto interessante è Gli anni della lotta armata: cronologia di una rivoluzione mancata.
Alcune delle donne raccontate da Steccanella, inoltre, hanno a loro volta scritto dei testi, per esempio Barbara Balzerani, Louise Michel…
Elisabetta Pogliani: Abbiamo inoltre fatto un lavoro sulla resistenza italiana, trovando anche in quel caso biografie di donne partigiane. Ma in generale possiamo dire che tutto parte proprio dal testo di Steccanella.
Qual è la vostra idea di residenza? È una pratica utile, necessaria o entrambe le cose?
Rosario Sparno: In questo caso credo per noi sia stata necessaria, prima di tutto considerata la distanza delle città in cui viviamo. Detto questo, per me la residenza è una pratica fondamentale: passare insieme più di una settimana ventiquattr’ore su ventiquattro ti porta a realizzare un tipo di ricerca che è totale immersione in quello che stai facendo. Non parliamo sempre del progetto ma tutto quello che facciamo, anche se non ce ne rendiamo conto, va in quella direzione. Le residenze sono preziose perché ti concedono un tempo di lavoro non prefissato, ma ti portano comunque a stare insieme…
Paola Zecca: Inoltre la residenza è molto utile in una dimensione di indipendenza. Quando una compagnia sceglie l’indipendenza e quindi è fuori da ogni finanziamento, l’esistenza di spazi e di persone che ti mettano in qualche modo nella condizione di fare, ti aiutino, ti diano un posto dove dormire, mangiare e poterti ritrovare, non è una cosa da poco. Hai così la possibilità di iniziare la ricerca senza l’obbligo di arrivare a un risultato a tutti i costi, a discapito della qualità. Quello che ci eravamo detti era proprio questo: stiamo sereni, andiamo a ricercare senza cadere nell’ansia del prodotto. In questo modo riusciamo a lavorare con un’ onestà di fondo, che potrà portarci effettivamente a un risultato e che, a prescindere dall’estetica, potrà avere quel tipo di spessore a cui siamo interessati.