5 Luglio 2019

Il “Padre nostro” di Babilonia Teatri

Intervista di Roberto Berti

Babilonia Teatri - Inequilibrio 22 - foto di Antonio FicaiBabilonia Teatri ha portato in scena al Festival Inequilibrio il “Padre nostro”, rappresentazione che ha avuto luogo presso la spiaggia del Cardellino di Castiglioncello il 5 e il 6 luglio.

Partendo dallo spunto della storia di Hänsel e Gretel e dall’ipotesi di cosa sarebbe successo se i due bambini, una volta cresciuti, fossero tornati con il padre in quel bosco in cui egli li abbandonò per chiedergli conto della sua scelta, Babilonia Teatri ha creato uno spettacolo in cui ben poco rimane del noto romanzo dei fratelli Grimm.

In scena sempre un padre (Maurizio Bercini) e i suoi (veri) figli, Olga e Zeno e un interrogativo: “Che significato ha la parola padre oggi?”

“Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo. La fine del padre, l’eclissi del padre, la scomparsa del padre, la distruzione del padre, la morte del padre. La festa del papà. Il fu pater familias. Padre in affitto. Padre baluardo. Apologia del padre. Padre nostro non è una preghiera rivolta a Dio. Padre nostro qui sta per nostro padre
Babilonia Teatri

Come è nata l’idea di questo spettacolo?
Enrico: Da una provocazione, un’idea di Maurizio (Bercini) che è poi finito all’interno dello spettacolo. Si chiedeva cosa sarebbe successo se Hänsel e Gretel una volta cresciuti fossero ritornati nel famoso bosco con il padre che lì li abbandonò e se gli avessero chiesto le ragioni del suo abbandono e quindi una resa dei conti. Questo fu il punto di partenza e lui (Maurizio) ci ha detto che gli sarebbe piaciuto essere in scena coi suoi due figli, Olga e Zeno, che sono infatti le altre due persone in scena. Da lì di Hänsel e Gretel è rimasto davvero poco. In scena non ci sono personaggi o una storia raccontata.

Babilonia Teatri - Inequilibrio 22 - foto di Antonio Ficai La figura del padre è centrale in questo spettacolo. Cosa intendete voi con “padre”, quali sono le coordinate lessicali?
Enrico: In realtà lo spettacolo cerca di abbracciare varie aree semantiche, anche se la principale è la relazione padre-figli. Poi c’è la figura del padre come costruttore di valori, di possibilità, di un mondo da consegnare e di un sapere da trasmettere. Ci siamo chiesti se questo appartenga ancora o meno alla situazione contemporanea. I piani si intersecano durante lo spettacolo.

Rispetto al vostro percorso artistico: avete lavorato anche con attori non professionisti e con persone disabili in progetti come la trilogia Paradiso, Purgatorio e Inferno…
Enrico:… e Pinocchio prima ancora. In realtà il fatto di lavorare con persone è qualcosa che attraversa un po’ tutto quanto il nostro percorso. Credo che gli attori prima di tutto siano delle persone. All’inizio abbiamo portato in scena noi stessi come attori anche se non abbiamo una formazione come tali. Non ci riteniamo attori. Durante la creazione del primo spettacolo abbiamo conosciuto una ragazza nel carcere di Verona che è stata un motore importante sulle forme possibili del nostro teatro. Padre nostro si inserisce all’interno del nostro percorso, che non vuole mai essere monolitico, ma che ogni volta si sposta da una parte e dall’altra, non perché non abbia una direzione chiara, ma perché crediamo che nella ricerca continua delle possibilità della messa in scena, fare il percorso con persone che a volte non portano una tecnica precisa (altre non la portano per niente) possa arricchire. 

Babilonia Teatri - Inequilibrio 22 - foto di Antonio Ficai Quindi è una scelta che portate avanti consapevolmente anche se per questo spettacolo l’idea è nata casualmente?
Enrico: Certo, l’idea di Maurizio è stata un’occasione, ma quella di farne uno spettacolo non è stata assolutamente casuale.

Come è avvenuta la scelta della location, la spiaggia del Cardellino qui a Castiglioncello?
Enrico: Si tratta di una piccolissima baia in cui gli attori avranno alle loro spalle il mare. A volte uscire dai teatri può essere una grande occasione. L’allestimento era pensato per i teatri, ma ci piacque la sfida di rappresentarlo qui in quest’altra forma, anche perché la “macchina” festival spesso prevede la visione di numerosi spettacoli, uno dopo l’altro e abbiamo pensato che questa scelta potesse rappresentare una boccata d’aria per gli spettatori. Non c’è una motivazione legata allo spettacolo. Inoltre al momento attuale il festival offre degli spazi all’interno molto affascinanti ma che non avrebbero permesso di riprodurre quello che è l’allestimento dello spettacolo pensato per il teatro, quindi abbiamo ritenuto che la location migliore e più efficace potesse essere questa.

Voi avete ricevuto svariati premi, tra cui il Leone d’argento alla Biennale di Venezia del 2016: senti che questo ha in qualche modo cambiato il vostro approccio al teatro oppure no e se sì in che modo?
Enrico: Io credo che i premi non cambino e non debbano cambiare l’approccio che una persona o una compagnia ha nei confronti del teatro. Sono riconoscimenti che danno piacere perché danno una spinta ulteriore a continuare un percorso, ma non credo che debbano essere dei punti di svolta obbligata. Credo che siano tutt’al più un incoraggiamento a proseguire un percorso piuttosto che a cambiarlo.

Babilonia Teatri - Inequilibrio 22 - foto di Antonio Ficai Tuttavia il vostro linguaggio ha subito un’evoluzione. Dai primi spettacoli come Pornobboy e Made in Italy dove dominavano le “litanie” siete passati ai dialoghi; ora ci sono più persone in scena, attori non professionisti, eccetera. Dunque, come si sta evolvendo il vostro linguaggio teatrale?
Enrico: Io credo che, come accennavo prima, il lavoro con le persone è all’origine di tutto. C’è stato poi un momento in cui in scena c’eravamo esclusivamente noi. Successivamente, dopo gli spettacoli che citavi il nostro lavoro con altri ha attraversato forme diverse, come in spettacoli per l’infanzia come Baby don’t cry, dove in scena c’erano due non attori. Di sicuro il nostro teatro non ha più guardato esclusivamente verso l’esterno, alla società che ci circonda, ma anche all’interno, con temi e questioni che riguardano l’individuo. Non possiamo considerare il singolo avulso dalla società e dal tempo che vive. Per cui è di sicuro un’evoluzione, ma non un cambiamento di faccia o di rotta. Di volta in volta facciamo lo spettacolo che sentiamo il bisogno di fare. L’anno scorso abbiamo debuttato con uno spettacolo che si chiama “Calcinculo” che torna a raccontare il mondo. Padre nostro invece racconta delle singole persone, ma tenendo presente il tempo che loro vivono e abitano, il futuro che immaginano o che non sono in grado di immaginare. Di sicuro pensiamo che il teatro non sia uno, ma rappresenti un’infinita possibilità, e indagarla è quello che abbiamo voglia di fare e che mi auguro di poter continuare a fare. 

Babilonia Teatri - Inequilibrio 22 - foto di Antonio Ficai C’è una domanda che non ti è mai stata fatta e a cui tu avresti sempre voluto rispondere?
Enrico: Io credo che il teatro più che raccontato vada visto. Forse la domanda che non mi viene mai rivolta abbastanza è “Qual è il consiglio che dai alle persone che vogliono avvicinarsi al teatro?”, e io risponderei che bisogna vedere più rappresentazioni possibili, per scoprire che esistono infiniti linguaggi e che probabilmente ognuno di noi è più vicino ad uno piuttosto che a un altro.

Babilonia Teatri - Padre Nostro - Armunia Inequilibrio 22 - Foto di Daniele Laorenza

A cura di:
Roberto Berti

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