Sensualità e scrittura come strumenti di conoscenza: la riflessione artistica di Eugenio Mastrandrea e Riccardo Ricobello
Intervista di Claudia Caleca
La Contessa fra i sessi arriva al Festival Inequilibrio 22 grazie al lavoro di Eugenio Mastrandrea e Riccardo Ricobello, diplomati attori nel 2017 all’Accademia Nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico, Federico Longo, regista diplomato alla Roma Film Accademy, e Flavia Galinari Zanin, diplomata all’Accademia di Costume e Moda.
I talentuosi giovani attori propongono la storia della Contessa Maria, dal romanzo di Aldo Palazzeschi Interrogatorio della Contessa Maria, una figura misteriosa dall’energia travolgente che si pone oltre i pregiudizi e la morale borghese. In occasione della prima nazionale andata in scena sabato 6 luglio nella Sala del Camino al Castello Pasquini, Eugenio Mastrandrea e Riccardo Ricobello hanno accettato di raccontarci qualcosa in più sul loro mirabile progetto artistico.
Come è nata la collaborazione tra te e Riccardo Ricobello?
Eugenio: Siamo compagni d’Accademia, ci siamo diplomati insieme alla Silvio d’Amico due anni fa dopo un percorso di tre anni. Ci conosciamo molto bene sia nella vita privata sia in quella professionale. Siamo artisticamente cresciuti insieme.
Come vi siete avvicinati a Palazzeschi?
Eugenio: Palazzeschi è uno degli autori che preferisco, mi piace il fatto che le sue opere siano scherzi letterari, dei veri e propri pretesti per parlare d’altro o, come diceva lui stesso, di “birichinate”. Anche in Perelà – Uomo di fumo si parla di qualcosa di profondo nel sottotesto. In questo caso il testo della messo in scena, per di più sconosciuto, ha una storia molto particolare. E’ stato forse il primo o il secondo romanzo che Palazzeschi ha scritto, ma mai pubblicato, e ritrovato poi dagli eredi solo tredici anni dopo la sua morte tra le sue carte. Dopo aver letto il romanzo mi sono innamorato della sua scrittura e del rapporto che intercorre tra i due personaggi. Inoltre è un romanzo dialogico con pochissima prosa quindi si presta molto alla messa in scena.
Riccardo: Eugenio ha letto Palazzeschi nel 2015 ed entusiasta me lo ha proposto: “Facciamolo assolutamente!” gli ho risposto. La Contessa fra i sessi ha preso vita al Caffè Degli Artisti di Spoleto durante il Festival: ci mettevamo seduti e col computer scrivevamo, tagliavamo e cucivamo la nostra futura opera.
Che tipo di lavoro è stato fatto sul testo? Come avete agito dalla pagina scritta alla messa in scena?
Eugenio: Palazzeschi ha una scrittura particolare, non proprio calviniana. Citando Gassman, ne Il nome del popolo italiano, possiamo capire la tipologia della sua scrittura ossia il suo esser un “linguaggio aderenziale”, quindi che aderisce al significato della parola. E’ il caso dell’Interrogatorio della Contessa Maria: ogni parola ha precisione, significato e peso specifico. Il linguaggio è monolitico.
Quanto si discosta la messa in scena dalla pagina scritta?
Eugenio: La rappresentazione è al 99,9% palazzeschiana. Non sono d’accordo nel tradire un testo perché se vuoi inscenare l’opera di qualcun altro devi dar fiducia all’autore. Non considero La contessa tra i sessi un riadattamento bensì un taglio, anche se vi sono passaggi “non-palazzeschiani” che agiscono secondo micro-battute funzionali al collegamento tra una scena e l’altra.
Riccardo: Soltanto una scena è stata scritta di nostro pugno, ossia quando Palazzeschi va a visitare l’appartamento della Contessa e la trova illuminata da un fascio di luce rossa. E’ un nostro tocco personale. Abbiamo però tralasciato la seconda parte del romanzo, un lunghissimo monologo della Contessa in cui racconta la sua infanzia e il suo passato. L’abbiamo omesso perché abbiamo preferito che questo personaggio fosse avvolto da un velo di mistero: raccontarne la sua infanzia l’avrebbe sminuita a livello di simbolo, doveva rimanere impalpabile.
Ripercorriamo insieme lo spettacolo appena concluso… Ciò che risalta agli occhi è lo scontro tra il personaggio femminile, la Contessa Maria, e l’attore, che sei tu Eugenio. Qual è la motivazione di questa scelta? Volevate far scaturire un aspetto comico-grottesco?
Eugenio: Assolutamente no. Il romanzo prospetta un’esigenza forte: la Contessa Maria dice di sé di esser sì una donna e una “divoratrice di uomini a getto continuo” ma il modo in cui parla e il suo pensiero sono accompagnati da giochi di parole e apparenti sbagli dello scrittore, quali aggettivi come simpatico e bello. E’ un gioco di doppi sensi continui fino alla fine del romanzo in cui non sai se il personaggio è maschio o femmina. Diciamocelo: la questione di genere non ha importanza, anche perché non è un personaggio reale (Palazzeschi non l’ha mai incontrato) ma uno scherzo letterario che lo scrittore, nella sua genialità, ha inventato per poter parlare d’altro. In più non è uno spettacolo di travestitismo o di transgender, non è omofilo o omofobo: il testo di Palazzeschi è un canto di amore universale, un inno a ciò che unisce gli uomini e le donne indistintamente ossia l’esser qui e ora nel presente.
Il sesso rappresenta per la Contessa un puro desiderio umano o qualcosa di più?
Eugenio: Il sesso è un pretesto, il modo che ha Palazzeschi per parlare con la sua anima, il suo mister Hyde… Per questo ha scritto il libro senza averlo mai pubblicato. Il sesso è il modo ultimo per arrivare a conoscere una persona proprio perché sei nudo, hai l’altro di fronte e l’altro ha te e insieme potete scambiarvi confessioni. Chi ha la forza, dopo aver portato a termina una conoscenza che può durare un giorno o due oppure per sempre “fino a che la scala non ha raggiunto la cima”, di guardarsi negli occhi con orgoglio, tendersi la mano e dire: “E’ stato bello”? Ecco perché la Contessa è un eroe, anche se non verosimile o esistibile, ma il concentrato di tutto ciò che Palazzeschi avrebbe voluto essere.
Il sesso è quindi un modo per conoscere il mondo?
Eugenio: Esatto. Un po’ come faceva Pasolini che non faceva del sesso il suo vezzo ma il suo modo per conoscere l’altro. Non si fa l’amore quindi ma “si fa la vita”. Palazzeschi parla di qualcosa di fortemente basico e profondo, alla base di tutti noi. E’ la lotta che la sovrastruttura palazzeschiana fa alla calma piatta.
E’ come se nello sfondo dell’opera potessimo cogliere un messaggio collettivo destinato allo spettatore in cui è impossibile non riconoscersi perché è della condizione umana che stiamo parlando?
Eugenio: Certamente. E questo si evince dal romanzo quando Palazzeschi si rivolge al lettore con frasi del tipo: “Voi non potete immaginare” o “Voi non potete capire”. A ciò si ricollega il fatto che non ho inscenato né un uomo né una donna bensì una condizione comune, un illuminato, un buddha. Ciò si evince anche dal fatto che abbia deciso di mantenere la barba.
Ritornando alla questione di genere, La Contessa fra i sessi è una storia di emancipazione sia dal genere femminile sia da quello maschile?
Eugenio: Più precisamente parlerei di allontanamento. La Contessa è un sublimato di entrambi i generi, l’archetipo della differenza tra i sessi e del dualismo che li unisce. Ecco perché l’opera parla a tutti: essa affronta qualcosa che abbiamo sperimentato e conosciuto in noi stessi e, soprattutto, parla della differenza fisica tra uomo e donna che porta però a pensare esista una differenza culturale. Quando la Contessa dice che la sensualità nell’atto sessuale coinvolge i sensi e li porta ad un livello più alto, vuol dire che il gesto sessuale altro non è che uno spiraglio per arrivare ad un gradino spirituale più alto, a un’esperienza trascendente. Il rapporto con i sensi è quindi centrale. Per di più non si tratta di riscatto perché ciò implicherebbe il sentirsi in dovere di riscattare qualcosa a causa dell’ego ferito.
Solamente l’arte, incarnata dal poeta Aldo Palazzeschi, può avvicinarsi o comprendere la Contessa?
Riccardo: Palazzeschi non potrà comprenderla mai, ma solo studiarla e osservarla dall’esterno. Lo stile di vita della Contessa non può prescindere che dall’azione. Lei critica il poeta per il suo non-vivere il momento e lo stare nell’attesa di qualcosa o nella nostalgia di ciò che è già stato. Essendo in un mondo di pensieri, quasi mercuriale, il poeta non ha possibilità di vivere la vita, il carpe diem. Ciò è motivo di frustrazione: per quanto l’ammiri e arrivi ad apprezzarla, Palazzeschi non potrà mai arrivare a sposare del tutto le ideologie della Contessa intriso com’è nelle sue condizioni borghesi.
E’ per questo motivo che non riesce ad avvicinarsi fisicamente a lei?
Riccardo: Certamente. Nello spettacolo non c’è mai un contatto fisico tra i due, neanche quando la Contessa gli tende la mano: il poeta si allontana per rievocare nel ricordo questo loro addio, quindi non vivendolo fino in fondo. Palazzeschi è totalmente prigioniero dei ricordi.
Quando Palazzeschi decide di scrivere di lei, perché non può viverla, è sì estromesso dalla vita ma anche profondamente incluso perchè vuole conoscerla…
Riccardo: L’unico modo che ha di relazionarsi alla vita è scriverne perché, fino a quel momento, ha vissuto nella nostalgia e nella non-concretizzazione di un senso di questo loro incontro. Rendendosi conto, sul finire della vita, che non ha scritto niente su questa persona immaginaria, che è emanazione del suo pensiero, ne scrive perchè prima di morire vuole viverla e l’unico modo che ha è appunto tramite la scrittura.
Quindi la sensualità sta alla Contessa come la scrittura sta al poeta?
Riccardo: In un certo senso sì, sono i loro strumenti per conoscere il mondo anche se l’una lo accoglie e l’altro se ne distanzia.
Possiamo definire Palazzeschi un inetto?
Riccardo: Credo di sì. Egli è un fallito nella vita, goffo impacciato (in scena) e, soprattutto, non sa stare nel momento. Anche la Contessa glielo dice, gli rimprovera il suo vivere di ciò che è stato e di ciò che deve essere ma mai di stare nel presente, di ciò che è. Lei risponde agli stimoli e agli impulsi, lui invece può solo ragionare.
Il poeta e la Contessa sono quindi complementari?
Riccardo: Si. Nessuno dei due è una persona riuscita e di successo. La Contessa non è un personaggio positivo, anche se ha scelto la strada opposta del poeta. Nessuna delle due visioni è giusta, ci vorrebbe un mix di entrambi gli aspetti.
Parlando della reazione del poeta, un misto tra interesse e ribrezzo, pensi che il pubblico si rispecchi nella sua reazione?
Riccardo: Assolutamente, il pubblico si rispecchia totalmente in Palazzeschi perchè la Contessa Maria è troppo! Anche se lo spettacolo si intitola La Contessa fra i sessi il protagonista è Palazzeschi e la Contessa è l’argomento: il poeta è il filtro attraverso il quale viene vissuto l’argomento, è il protagonista. Inoltre Palazzeschi, durante lo spettacolo, cambia perchè l’incontro con la Contessa non lo lascia immodificato. Al contrario lei “come entra così esce”, è tutta d’un pezzo. Lui vive in bilico tra esitazione-imbarazzo-curiosità morbosa ma lei no, rimane sempre identica.
In Palazzeschi vi è quindi un’evoluzione del personaggio al contrario che della Contessa?
Riccardo: Certamente. La Contessa è un blocco limpido di verità, è un diamante. Ciò che dice è senza schermi. Lo notiamo quando il poeta vuol farle ammettere se ha mai fatto un ménage à trois usando giri di parole e facendo paragoni gastronomici. Lei non concepisce nè il suo imbarazzo nè le convenzioni sociali, non capisce ad esempio perché non possa andarsene durante uno spettacolo.
A proposito della gestica particolare della Contessa… E’ frutto della tua formazione o ti sei ispirato a qualcuno?
Eugenio: Non mi piace ispirarmi a qualcuno né documentarmi. Non stiamo rifacendo la verità, è teatro. Le movenze e gli atteggiamenti della Contessa sono il risultato di me stesso che gioco con la pagina scritta, il mio credere di dar corpo e voce ad un personaggio. La Contessa è un personaggio impalpabile che possiamo accostare al fumo: lei è una “ciminiera”. Il fumo è proprio come lei, rappresenta qualcosa di leggero che non si acchiappa e se ne va, un attimo dopo è finito. Inoltre lo si può collegare al respiro, l’unica cosa che, insieme al cibo, ci mette in comunicazione con l’esterno. Ciò si lega molto ai personaggi di Palazzeschi, che sono evanescenti, quasi delle apparizioni.
Alla fine è come se la Contessa sparisse e le domande dello spettatore siano in bilico tra “L’ha conosciuta veramente” o “Era un dialogo tra il poeta e la sua coscienza?”
Eugenio: E’ perfettamente così. Il romanzo si conclude con le domande: “Che cos’è? Che è?”. Sono contento che sia arrivato questo.
Riccardo: Più che un interrogatorio ad un altro personaggio, è un interrogatorio che Palazzeschi fa a se stesso, una confessione utilizzando come schermo un personaggio immaginario. Egli avrebbe voluto essere come la Contessa ma non poteva. Palazzeschi viveva con così tanta frustrazione la sua omosessualità da aver creato una figura femminile che potesse giustificare le sue voglie. Attraverso la Contessa lo scrittore esorcizzava il suo bisogno e la sua attrazione morbosa per gli uomini.
Parlando dei costumi…
Eugenio: E’ merito della fenomenale Flavia Galinari Zanin, diplomata all’Accademia di Costumi e Moda di Roma, che ha disegnato il mio costume. Con lei abbiamo riflettuto sul fatto che la Contessa dovesse essere femminile anche portando i pantaloni. Inoltre non vi è la pretesa di una ricostruzione storica, quella dei primi del Novecento quando Palazzeschi scrive il romanzo. Siamo fuori da qualsiasi specifica cronologica e, soprattutto, non c’è una rivendicazione della donna che porta i pantaloni, altrimenti saremmo nel campo socio-culturale.
Chi ha scelto gli arredi scenografici?
Eugenio: Io personalmente. Ho preferito arredi semplici ed essenziali.
E la colonna sonora?
Riccardo: I brani sono stati scelti da Eugenio e approvati da me. Maybe di Janis Joplin per me è meravigliosa.