Il coraggio di rinascere di Elena Guerrini
Intervista di Elena Pancioli
“Archeologia del coraggio” portato in scena da Elena Guerrini al Festival Inquilibrio, per la 22° edizione, come un rito- preghiera ci trasporta in un mare che racconta parole antiche, memorie di nascite e perdite, che rinascono e con coraggio si liberano spezzando il silenzio.
Com’è nato questo progetto?
Ho iniziato a studiare l’acqua come conduttore, perché ha una memoria, ciò che io dico nell’acqua, rimane li e da questa viene trasportato. Sono poi passata studiare tutto ciò che poteva creare connessioni fra il mio teatro e l’acqua. Ho iniziato a fare delle piccole prove in piscina e in luoghi termali. Nel tempo, elaborato dei testi, scrivendoli direttamente in acqua per cercare di recuperare quella memoria che forse avevamo quando eravamo nel grembo materno. Ho capito che avrei potuto cambiare qualcosa a partire da me. In quel periodo in Italia iniziavano ad esserci i problemi per l’attracco delle navi ONG e questo mi fece pensare che ogni volta che ero in mare, a pochi chilometri da me, stavano morendo delle persone. Io nuotavo per diletto mentre un altro essere umano stava nuotando per salvarsi. Da lì l’atto si è trasformato in rito, anche collettivo, dedicato alla nostra cura e alle anime del mare. Dobbiamo prima raccogliere la nostra parte più problematica, migrante, diversa, per poi arrivare ad accogliere l’altro. Ho così iniziato a fare una ricerca testuale sui grandi odi razziali, la loro derivazione. Infine ho lavorato sull’armonia che dall’acqua si diffonde alle persone.
Com’è nata la collaborazione con Papi Thiam?
Avevo sempre svolto da sola questo progetto. Dopo le prime repliche mi sono resa conto di aver bisogno di qualcuno. Così ho chiamato Armunia chiedendo un aiuto, e mi fu proposto Papi Thiam, un musicista- percussionista senegalese, da tanti anni in Italia.
Io, nello spettacolo, sono la sposa del mare e in qualche modo ci voleva lo sposo. Col tempo ho capito che ci sarebbe stato bisogno di una persona proveniente dal vissuto delle migrazioni.
Il messaggio così cambia. È lui che viene a salvarci, nello spettacolo infatti accompagna le persone dentro l’acqua e fuori. È lui l’anima salvifica. Il mischiarci ci aiuterà. Il nostro Occidente ha le sue colpe sia per l’immigrazione che per il surriscaldamento globale.
Possiamo quindi dire che questo spettacolo rientra nel tuo repertorio di Teatro Civile?
Si, ma se in altri spettacoli di teatro civile come Orti Insorti , Bella Tutta o Vie delle donne do dei dati e racconto delle morti, qui non racconto della Diciotti o della Sea Watch, non do dei numeri. Qui parlo di un teatro civile ma del profondo, per stimolare qualcosa in noi, per arrivare solo dopo al messaggio.
Ti accorgi, durante lo spettacolo, di come tutto ritorni al momento della tua nascita e al desiderio di rinascere attraverso questo modo di parlare armonico. Se negli altri spettacoli davo delle “armi” qui la rivoluzione viene attuata da ogni persona che la crea intimamente e personalmente ritrovando il suo momento di rinascita, la sua connessione con sé stesso e l’equilibrio tra la sua parte ombra e la sua parte luce.
Per poi avere il coraggio di…
Reagire, di dire qualcosa, non ci sentiamo mai degni di. Qualsiasi cosa succede lasci stare. Nel momento in cui hai il coraggio instauri un domino che investe gli altri. Trovare il coraggio di reagire all’ingiustizia parlando e non stare in silenzio, per poi scoprire le storie e le ansie delle persone. Trovare il coraggio di connetterci tra noi, tra persone nello stesso posto, in un mare che fa da conduttore di tutto questo. L’acqua elimina le distanze.
Che lavoro di ricerca c’è stato sull’oggettistica che utilizzi “in scena”?
Il lavoro teatrale, per me, con quest’opera, è diventato molto più essenziale sia nella scrittura che a livello scenografico. Nei miei spettacoli precedenti spesso creavo degli ambienti e aiutavo gli spettatori a capirli. In questo lavoro ho eliminato tutto fino a far rimanere solo l’acqua. Ho delle tavole di legno galleggianti, con su scritto il testo e uno specchio per guardarsi, quello che leggo è quello che prova chi guarda. Fanno parte dello spettacolo dei fischietti fatti di conchiglia che suonano e conducono suoni, e su di loro c’è una riflessione ispirata da un servizio mandato in onda dalla tv spagnola, che raccontava la storia di una migrante, Sara che nell’imbarcarsi aveva distribuito, a tutti i membri della sua famiglia, un fischietto dicendo loro “fischiate se siete ancora vivi”.
Perché “le anime del cielo e del mare”?
Nasce da una domanda di mio figlio ma già da quando morì mio padre sentivo che le anime a me care abitavano lì, per questo lo spettacolo che propongo è quanto mai di più vicino ad una preghiera, una messa laica per quelli che se ne sono andati, i nostri cari ma anche i nostri maestri. Quando le nomino diventano una cantilena che unisce tutti, anche gli spettatori. Lo spettacolo è in “universo visione”.