Milena Costanzo porta in scena I Miserabili declinati al tempo presente
intervista di Benedetta Pratelli
Milena Costanzo, in residenza ad Armunia, porterà al 22° Festival Inequilibrio il nuovo studio I Miserabili, ispirato al romanzo di Victor Hugo. Nella descrizione dello spettacolo leggiamo: “Non vi è qui la pretesa di narrare le vicende del romanzo, sarebbe stato impossibile ed oltremodo insopportabile all’interno di un teatro”. Abbiamo quindi deciso di intervistare la regista e gli altri attori in scena per farci raccontare più da vicino l’approccio al grande testo ottocentesco dello scrittore francese.
Partiamo dall’inizio, com’è nata l’idea di strutturare una ricerca su un testo così importante come I miserabili di Victor Hugo?
Costanzo: Il progetto è nato da varie coincidenze. Noi quattro abbiamo pensieri affini sul teatro e in parte già ci conoscevamo: io e Francesco Pennacchia abbiamo lavorato insieme a Morganti; insieme a Rossana Gay ho lavorato su Emily Dickinson e Savino Paparella è amico e collega. Avevo già in cantiere questo progetto su I Miserabili, quasi una fissazione dovuta in parte ai tempi che stiamo passando: un lavoro che parte dal romanzo Victor Hugo e va verso una riflessione sulla miseria umana.
Intendo il concetto di “miserabile” da più punti di vista: come miseria vera, a cui stiamo andando lentamente incontro, e come miseria dell’anima. Siamo in un momento in cui tutto quello in cui avevamo creduto tanto, le nostre idee, sta andando alla deriva, verso la miseria, appunto, intesa anche come piccolezza, meschinità.
Lo potrei definire un lavoro corale perché risente della mia visione e della loro, che sono tutti attori bravissimi e capaci di essere autori di se stessi. Io non sono la drammaturga, non mi sono messa a scrivere i testi: abbiamo piuttosto lavorato su delle improvvisazioni e abbiamo fatto una cernita del materiale che poteva funzionare.
Quindi delle novecento pagine de I miserabili di Hugo cosa resterà nello spettacolo? Quanto della trama originale rivedremo?
Pennacchia: La cosa divertente è secondo me il fatto che del romanzo sono rimasti i nomi e i riferimenti legati alla lingua, francofoni, e poi ovviamente anche le vicende a cui si ispirano i vari passaggi dello spettacolo. Si tratta infatti di un lavoro costituito da più figure che raccontano ognuno la propria miserabilità. Ma in realtà viene messo in luce un aspetto che non può non considerarsi universale. Il romanzo di Hugo, come tutti i classici, non ha tempo, non può considerarsi un testo attempato o fuori dall’oggi, anzi rileggendolo è inevitabile trovare un riscontro con alcune situazioni attuali, con quello che accade intorno a noi in questo momento, soprattutto in momenti di grande crisi. Ma penso che anche negli anni Ottanta sarebbe stato un testo tempestivo da questo punto di vista.
Costanzo: Fin dall’inizio ci siamo detti “no trama”, non era quello che ci interessava. Abbiamo lavorato sull’esplosione: come se il libro fosse esploso e noi avessimo lavorato con i suoi frammenti sparsi. La cosa interessante però è che i personaggi emergono lo stesso, anche se siamo sempre noi che giochiamo con questi pezzi di libro, che ce li mettiamo addosso: al livello drammaturgico nello spettacolo agiamo come se stessimo ancora lavorando sul testo. Questa è infatti una prima tappa di lavoro, il materiale ha bisogno di essere sedimentato, non ha la pretesa di avere un inizio, uno svolgimento e una fine, è un lavoro che ancora sta cercando la sua struttura. In scena con noi ci sarà il musicista Elia Baioni, che attraverso una linea musicale terrà insieme lo spettacolo.
Ma lo spettacolo è inteso in modo un po’ disperato..
Costanzo: Lavorare con i frammenti dell’esplosione del testo secondo me è doppiamente interessante perché noi per primi viviamo un periodo molto schizofrenico. Nello studio ci saranno apici di dolore interrotti dal ridere e, se ci fai caso, oggi accade proprio questo: guardando un social network come facebook, per esempio, è deprimente il fatto che subito dopo aver letto una notizia devastante ne leggi un’altra che magari ti fa morire dal ridere. Non riusciamo più emotivamente a capire che cosa è giusto e cosa è sbagliato, al livello morale..umano se vuoi…
Ecco che questi personaggi nelle loro follie sono molto umani, si mettono a nudo. In questo senso parlo di fare teatro in maniera disperata: è come se dicessimo “Ok dai, ci siamo, prendiamoci i costumi, facciamo questo, facciamo quello” ed è un modo che rispecchia la vita di oggi: c’è da ridere o da piangere? da darsi ragione o da scontrarsi? Noi non abbiamo risposte; è come se qua e là cominciasse ad affiorare una storia, ci rendiamo conto che c’è qualcosa di interessante…
Nel sottotitolo parlate di poesia: Miserabili. Ironica, atroce, poesia…
Costanzo: Credo sia una bella descrizione del lavoro fatto fino a qui, che è effettivamente una poesia.
Per me la poesia è fatta di pezzi che sono studiati; per lavorare sulla poesia hai bisogno di conoscere bene le parole e sapere come esse risuonano nell’animo della persone. Le poesie sono dei distillati, ed è questo ciò che è uscito da questa prima tappa di lavoro: un materiale molto variegato, ironico in vari punti, ma con alcuni affondi più cupi, altri più ambigui.
Tu, Milena, hai parlato di “riflessione sul concetto di miserabile oggi”, di teatro e del suo ruolo….Quanto della vostra esperienza personale avete riportato nei personaggi che andrete a interpretare?
Pennacchia: Senza dubbio il modo di lavorare che ci accomuna è quello di avere l’ambizione di metterci del nostro, io personalmente cerco di fare questa cosa ogni volta che lavoro e in questo caso il processo è ancora più automatico. Secondo me la miserabilità fa parte dell’animo umano e quindi del genere umano, è un suo aspetto, ed è comune a tutti. Se ci mettiamo da attori in un lavoro di questo genere inevitabilmente si va a scandagliare quello che è la propria miserabilità da mettere in gioco: si tratta di portare fuori, attraverso il linguaggio del teatro, certe caratteristiche che fanno parte di noi.
Costanzo: Ognuno di noi fa molti personaggi ed è divertente il fatto che i personaggi vengano alla fine influenzati proprio dalle nostre ossessioni. Per esempio, Pennacchia ha l’ossessione dei giochi di parole e all’interno del romanzo ce ne sono diverse.
Pennacchia: Quando a un certo punto dico “Basta con i giochi di parole” è per me doppiamente liberatorio!
Costanzo: E’ un lavoro in cui cerchiamo di capire i personaggi. Fa parte della miseria umana essere ossessionati da qualcosa: ogni personaggio de I Miserabili si porta a spasso la propria miseria , la propria ossessione.
Per esempio mi piaceva molto inserire una nota biografica di Victor Hugo relativa alla figlia Adele, finita in manicomio per un’ossessione di amore. All’interno del romanzo anche Fantine porta alle estreme conseguenze tutto ciò di cui solitamente accusano noi donne: essere zucchero, ossessionate dall’amore, ignoranti…
Non è però il tema sociale che mi interessa: è indubbio che viviamo in una società maschilista e io per prima l’ho sentito più volte sulla mia pelle, ma la cosa più atroce, più miserabile appunto, è il fatto che molto spesso siano le donne stesse a non riuscire a staccarsi da questa visione.
A noi interessa, quindi, andare a fondo e tirar fuori il nucleo di ogni discorso: donna, uomo… Di cosa stiamo parlando? Mi riferisco all’ottocento e anche all’oggi. E allo stesso tempo ci interessa riflettere sui sentimenti contrastanti, senza giudizio: c’è l’amore ma anche un qualcosa di brutto, c’è la miseria eppure fa molto ridere..
L’intenzione è quella di restituire allo spettatore un lavoro molto vivo, perché di fatto lo è.
Nella tua pratica artistica lavori molto per studi. Qual’è il valore aggiunto dello studio rispetto alla creazione fin da subito di uno spettacolo completo?
Costanzo: Per me procedere per studi è necessario, perché con la mia modalità di lavoro io non so dove sto andando a parare. Non lavoro con un testo già definitivo da mettere in scena, ma la mia pratica è una creazione che si nutre di molte cose. Per esempio nel lavoro su Emily Dickinson sono passata da uno studio con due attori in scena a uno studio con quattro, cambiando quindi completamente la struttura: a un certo punto ho capito che volevo inserire la famiglia di Emily in scena e lavorare su doppio linguaggio del quotidiano e del poetico.
In questo caso il lavoro deve essere ancora sondato del tutto, a seconda di cosa affronti le modalità di lavoro sono completamente diverse: lavorare su Shakespeare, su una poetessa o su I miserabili cambia completamente la modalità della pratica. E alla fine è proprio la modalità di lavoro che porta alla definizione di una struttura, di una poetica…
Il 2 e 3 luglio presenterete questo studio a Inequilibrio per la prima volta, poi dove sarete diretti?
Costanzo: Lo porteremo al festival “Da vicino nessuno è normale” e a dicembre al PimOff di Milano. Questo lavoro al momento si nutre delle residenze, non abbiamo ancora un produzione vera e propria alle spalle, vedremo…