25 Giugno 2019

Conversazione con Giuliano Scabia: nei boschi interni tra uomini e dinosauri

Intervista di Gianluca Grimaldi

C’è un momento, durante le prove di uno spettacolo, in cui attori e regista entrano in una sorta di trance collettiva, un mondo tutto loro, in cui la sinergia tra le diverse persone è palpabile da chi li osserva dall’esterno.

Giuliano Scabia - Armunia Inequilibrio 22 - Foto di Daniele LaorenzaPer Giuliano Scabia e i suoi attori questo momento è arrivato più presto del solito. Così, nel corso del laboratorio di preparazione allo spettacolo LA FINE DEL MONDO – Commedia per dinosauri in presentazione alla 22° edizione del Festival Inequilibrio, non è difficile imbattersi in un sistema di gesti, azioni, parole inserite in un’abitudine che sembra esistere da anni tra i protagonisti, anni convertiti in pochi giorni grazie all’energia di Giuliano Scabia. Nell’assistere agli incontri tra regista e attori risulta difficile credere che il laboratorio teatrale, svoltosi nelle stanze del Castello Pasquini, sia durato appena una settimana.

In alcune precedenti interviste Lei ha detto di non voler esser definito maestro. Perché rifiuta questo appellativo?
Nessuno è maestro. Esci di strada e inciampi oppure dici una cosa completamente errata. Dov’è la maestria?
Per fortuna è pieno di maestri che però sbagliano e sbagliare è maestria. Uno è il maestro assoluto: il bambino mentre esce dalla pancia della mamma ma quando è uscito già non lo è più. Proprio mentre sta uscendo egli è maestro perché o viene fuori o muore! In quel momento è maestro assoluto della propria vita. Subito dopo cominciano i deragliamenti.

Giuliano Scabia - Armunia Inequilibrio 22 - Foto di Daniele LaorenzaNe LA FINE DEL MONDO – Commedia per dinosauri, che porta in scena alla 22° edizione del Festival Inequilibrio, il testo è tratto da Il lato oscuro di Nane Oca, edito da Einaudi. Nel libro Nane Oca va alla ricerca della risposta alla domanda cosa sia il sangue cattivo. Da cosa nasce questa domanda?
Farsi il sangue cattivo significa diventare cattivo. E farsi il sangue cattivo vuol dire stare male, diventare brutti: il sangue cattivo è la morte.
La domanda nasce dal fatto che Nane Oca si rende conto che, al di là del mondo mitico della sua infanzia e della sua adolescenza, c’è il mondo reale. Quindi decide, lui che è un privilegiato, di vedere cos’è il mondo con tutte le sue carneficine, le sue guerre, la sua cattiveria e anche la sua bellezza. Comincia a uscire ma, appena è fuori, tre della mala gli fanno una puntura, gli iniettano il “sangue cattivo” e ha inizio il cammino iniziatico per trovare il Re del mondo e il Leviatano. Se Nane Oca non lo trova diventerà un delinquente, quindi cattivo.

I protagonisti del Suo ultimo spettacolo sono quasi tutti attori non professionisti che hanno preso parte ad una settimana di laboratorio con Lei.
Cosa pensa di guadagnare e cosa di perdere nel lavorare con persone che sono, da un punto di vista attoriale, più pure?
Penso che come giocare, così fare teatro, è cosa da tutti e l’importante è che ciascuno trovi il suo ruolo. Quando sono arrivato ho trovato persone che non conoscevo e, un po’ ad occhio, ho distribuito dei ruoli. E’ stato come una sfida o come il gioco del calcio: ci sono le star ma tutti i bambini amano giocare a pallone. E allora anche se non sei bravo, perché no?

Giuliano Scabia - Armunia Inequilibrio 22 - Foto di Daniele LaorenzaE’ uno spettacolo in cui il suono, il rumore, le armonizzazioni, i cori, hanno un ruolo molto importante. Si potrebbe parlare quasi di una musica che attraversa tutto lo spettacolo fino alla fine. Cos’è il suono nella Sua commedia?
La scrittura della poesia è musica perché qualunque verso o prosa di un poeta è musica. La partitura va rispettata quindi interpretata, non eseguita ciecamente, ma mettendo il proprio fiato e il proprio corpo dentro la “segnaletica musicale”. Il bello di una recita è che funziona come un’orchestra che suona, un quartetto, un quintetto, un piccolo ensemble di quindici strumenti.

E com’è vedere questo suono che prende vita dal momento della scrittura fino a quello della messa in scena?
Anche il gesto è musica, è una danza musicale. La scrittura è molto metrica, è piena di timbri, di indicazioni ritmiche da seguire per jouer le texte (giocare” il testo).

Che cos’è il movimento nella Sua commedia?
E’ cercare la postura da dinosauro: ognuno cerchi il suo cavallo e sia cavaliere del suo cavallo, quindi ognuno cerchi il suo dinosauro. La postura eretta deve cambiare.

Giuliano Scabia - Armunia Inequilibrio 22 - Foto di Daniele LaorenzaNella sua commedia i dinosauri dicono, a un certo punto, “Siam intelligenti, ma siamo bestie”. Negli anni ‘70 da una Sua idea, di Basaglia, di Dell’Acqua, nacque Marco Cavallo che diventò presto il simbolo dell’umanità dimenticata all’interno dei manicomi.
Cavalli. Dinosauri.
L’umanità della persona passa sempre attraverso la metafora dell’animale?
Noi siamo animali, siamo un corpo animale e così è la nostra anima. Veniamo dal “topetto” e prima ancora da un verme. Siamo animali e l’animalità è la nostra ricchezza. Il cavallo è un caso che sia un cavallo e, questo rapporto casuale con l’animale, è un rapporto di gioco col proprio bosco interno. Credo che noi tutti abbiamo una foresta interna, una foresta diurna e notturna, piena di luci e di ombre, piena di personaggi. Abbiamo tutti i nostri morti dentro, tutte le fate, tutto il “c’era una volta”. E’ tutto dentro e dobbiamo irrorarlo, tenerlo vivo, annaffiarlo. Solo così, tenendo vivi gli animali dentro noi, avremo un’enorme forza, ossia quella di camminare nel nostro interno paradiso terrestre.

Giuliano Scabia - Armunia Inequilibrio 22 - Foto di Daniele LaorenzaPensa che per lo spettatore che assiste allo spettacolo…
E che ne so io dello spettatore? E’ importante non fare per lo spettatore. Se io penso allo spettatore penso a qualcosa che non c’è.

Anche quando si fa teatro?
Penso a qualcosa che non c’è. Io devo pensare alla musica interna. E chi è lo spettatore? Può essere un tedesco, un intellettuale, un operaio, uno che non capisce nulla, uno che capisce. Non bisogna farsi condizionare dallo spettatore. E’ come quei politici che si fanno condizionare dalla quantità dei voti. Poveretti loro, dopo un po’ finiscono. Devi lavorare per il bene, devi lavorare per la speranza, per queste cose qui.

A cura di:
Gianluca Grimaldi

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