Gemma Carbone e Riccardo Festa portano in scena Flaiano per parlare di alterità
intervista di Benedetta Pratelli
Gemma Carbone e Riccardo Festa sono in residenza ad Armunia per lavorare al loro nuovo spettacolo, TU ovvero CHI è QUESTA STRONZA?, che debutterà a Inequilibrio 22. Ci accolgono in abiti di scena nella sala del camino, una delle più suggestive di Castello Pasquini, allestita per le prove: subito notiamo frustini, libri, lampade, un bellissimo fondale in tulle e un piccolo giocattolo a forma di cane, che Riccardo Festa ci tiene a far sedere accanto a sé durante la nostra chiaccherata. Il perché ci sarà chiaro poco dopo.
Partiamo dall’inizio, come nasce questo progetto?
Gemma Carbone: Questo spettacolo nasce dal romanzo breve di Ennio Flaiano, Melampus. Ovvero le mutazioni amorose di una donna, la cui lettura ci ha divertiti moltissimo. Il tema che tratta, e che ricorre anche in molte altre sceneggiature che Flaiano ha fatto per Fellini, nei suoi romanzi più lunghi, nei racconti, negli aforismi, in tutto quello che è il suo mondo letterario, è il tema dell’eros, dell’amore, dell’incontro con quell’essere così sfuggevole e orrifico, ma assolutamente catalizzatore del desiderio, che è l’altro, ovvero, nel caso di questo romanzo, la donna. Il protagonista è un uomo di mezza età, in crisi, un po’ depresso, che arriva a New York con la commissione di scrivere un film per una fantomatica produzione americana e si immagina un possibile grande salto. In realtà arriva nella Grande Mela sfranto, stanco, e in mezzo alle mille avventure che possono accadere nella New York degli anni ’60 finisce per innamorarsi di una donna molto giovane, alto borghese, molto ricca, artistoide, per la quale a dire il vero inizialmente ha anche un moto di repulsione.
Riccardo Festa: La classica ragazza con i soldi, che vuole fare l’artista, che ha vissuto un po’ dappertutto, conosce tutti, à la page… Ma succede che i due entrano in una relazione più profonda e lei lentamente inizia a trasformarsi in un cane, non nel senso letterale del termine, non abbaia, ma i suoi atteggiamenti diventano quelli di un cane. Si ritira sempre più dalla vita, parla meno, cambia i suoi atteggiamenti, sia sessuali sia nella quotidianità, diventa quasi un cane fedele. A un certo punto, per esempio, si perde e si ritrova con dei cani, insomma c’è una mutazione. Finché avviene una rottura nel rapporto tra i due: la donna torna ad essere quella che era prima e il protagonista in qualche modo la perde, nella sua dimensione erotica e sentimentale, per poi arrivare a una ricomposizione a un finale che non chiude…
Ecco, questa è la storia di Flaiano. Noi abbiamo messo in relazione il romanzo con alcuni scritti di Byung-Chul Han, filosofo coreano che lavora a Berlino, tra cui soprattutto Eros in agonia e L’espulsione dell’altro. La storia di Flaiano, infatti, ci è sembrata paradigmatica per raccontare l’esclusione, l’espulsione, la mortificazione dell’Altro, l’annullamento sistematico dell’Altro nella nostra società contemporanea. Oggi non c’è più qualcosa di diverso da te, tutto è il medesimo, siamo tutti uguali ed è proprio questo a uccidere l’Eros. Ciò che succede a Giorgio Fabro, il protagonista del romanzo, in realtà non è altro che il riconoscimento dell’ impossibilità di andare incontro all’Altro, di conoscere e possedere la donna che ama. Come se fosse realmente possibile. Questo avviene poiché l’Altro, il nostro “desiderio”, il nostro “eros”, sarà sempre un mistero. L’Altro è qualcosa che è lontano, diverso, non “acquistabile” nella sfera dell’uguale a noi. Perciò ne proviamo desiderio. Perciò ci innamoriamo? Questa è la domanda che ritorna, in Melampus, nel nostro spettacolo, e anche in Han. Che movimento ci impone la “caduta in amore”? Siamo disposti ad accettarne le conseguenze?
A questi due punti di partenza abbiamo poi mescolato altre suggestioni, altre storie, come quella di 8½, per esempio…Il romanzo è ambientato negli anni Sessanta e il nostro immaginario si è formato proprio sulle suggestioni di quel periodo, dell’Italia di quegli anni diventata immaginario collettivo dell’occidente.
Gemma Carbone: Questo romanzo è una metafora e può essere interpretata a più livelli: politici, esistenziali, estetici, artistici. Ma il punto in questo caso è centrare un nodo irrisolto della nostra società, quasi un tabù, ovvero il confronto e l’incontro con l’altro: il conflitto inevitabile con l’altro. Nella storia di Flaiano il riferimento è alla dimensione sessuale, amorosa, erotica, ma oggi questo scontro con l’altro lo troviamo molto forte anche nelle dichiarazioni dei nostri politici, in relazione alla paura di quello che non è italiano, di chi non la pensa come noi… Ma l’altro, secondo noi, deve necessariamente essere incluso nel nostro mondo: fa paura ma è allo stesso tempo fonte di meravigliosa ispirazione, di un meraviglioso senso di relazione, e non possiamo chiudere gli occhi, o chiudere i porti…
Riccardo Festa: Tutta questa riflessione entra nello spettacolo in maniera obliqua, andando sia contro il dettato chiaramente destrorso, che vede nell’altro una minaccia, sia contro quello di sinistra, che invece promuove l’inclusione tout court, il superamento dell’altro nella logica di un inclusione acefala, che non aiuta ed è una bugia. Dire che siamo tutti uguali è una bugia. Ciò che invece fa Flaiano è dirci che l’altro è l’altro, ed è terribile, è sconosciuto, e fa paura. La modalità d’inclusione di Melampus riguarda proprio accettare il fatto che l’altro sia un luogo orrendo e di diversità.
Gemma Carbone: Tra le battute finali Giorgio Fabro dice a Lisa: “Io ho incominciato a trattarti ansiosamente, ho resistito alla tua fuga e non ho capito che dovevo incominciare ad abbaiare con te”. Questo non significa che il protagonista sarebbe dovuto diventare cane: l’azione che uno può iniziare a fare insieme all’altro non implica necessariamente il porsi esattamente nello stesso luogo o accettare completamente la stessa identità, ma significa iniziare ad attivare un atto comune.
L’altro tema che secondo me viene fuori in Flaiano, più rappresentato dalla figura mutevole di Lisa, è quello del “saper amare”. Mentre l’uomo cade in amore in maniera inaspettata per questa figura lontana, distante, che inizialmente giudica ironicamente, la donna, Lisa, nel momento in cui capisce che si sta innamorando di questo attempato signorotto italiano, che è uno scarto rispetto al suo immaginario, accetta senza riserve e inizia a trasformarsi proprio perché sa che non sarebbe possibile amare in altro modo. Capita a molti: ci innamoriamo di qualcuno e diventiamo matti, facciamo cose che normalmente non faremmo, che non sono nel nostro personaggio, eppure le facciamo, cambiamo. Poi quando la storia finisce e riguardiamo ciò che eravamo diventati il nostro sguardo diventa giudicante. Invece abbandonare se stessa, cedere a tutto, anche alla propria identità per il sacrificio d’amore, è per me un atto da rivendicare e Lisa ne è l’emblema: diventa tutto fuor che se stessa, smette di essere donna e diventa un cane, smette di essere ricca e va in giro con pantalonacci, cede a tutto quello che è il suo connotato di donna, bianca, giovane, bella, americana, per diventare l’opposto da sé, per arrivare ad amare questo uomo… forse perché non c’è altra soluzione? Forse perché veramente dobbiamo andare così a fondo nel tentativo di esplorare quel luogo sconosciuto che è l’altro?
La volontà di parlare di questo tema, dell’alterità e del confronto con l’altro era già presente nel vostro percorso di ricerca o è arrivata direttamente con la lettura del romanzo?
Gemma Carbone: Ho letto questo romanzo un paio di anni fa e casualmente stavo leggendo nello stesso tempo Byung-Chul Han. Man a mano che sfogliavo le pagine per me la convergenza è avvenuta naturalmente.
Riccardo Festa: Stavamo leggendo Han più o meno nello stesso periodo e Gemma un giorno mi ha proposto questo progetto su Melampus, che io non conoscevo. Quindi il collegamento è suo e, anzi, inizialmente da parte mia c’era anche un po’ di resistenza. Flaiano scrive questo romanzo a sessant’ anni e spesso appare vagamente sessista e patriarcale: fa sempre dei ritratti di maschi estremamente convenzionali, italiani, eterosessuali… In realtà però Flaiano assume la voce del suo narratore, un uomo intelligente ma con delle debolezze, e il suo punto di vista è raccontato con talmente tanta autoironia che alla fine, pur dipingendo Lisa come una ragazzina viziata, quello che emerge è che la vera vittoriosa, quella che sa davvero amare tra i due, è lei. Come accennava Gemma è Lisa che si assume quel luogo di alterità.
So che a questo vostro progetto sta collaborando anche Attilio Scarpellini. Come è avvenuto questo incontro?
Gemma Carbone: Quando ho parlato a Fabio Masi di questo lavoro in cerca di residenza e produzione, Fabio mi ha indirizzato subito verso Attilio Scarpellini, che adora Flaiano, ha letto tutto e ne è un grande conoscitore. Quindi ci siamo confrontati con Scarpellini sull’idea iniziale e anche lui ne è rimasto interessato. Siamo stati qui a dicembre per un primo periodo di residenza e scrittura di questo testo, dieci giorni che sono stati fondamentali per capire il tipo di traduzione scenica che potevamo applicare alle due forme letterarie di partenza, il romanzo e il trattato filosofico. Attilio è stato un enzima, il catalizzatore che ci ha fatto smettere di ragionare, smettere di pensare e di parlare per iniziare a scrivere. Inoltre ci ha aiutati a trovare una forma con cui riraccontarci.
Lavorare con una figura come Attilio Scarpellini è veramente una fortuna. Qualsiasi cosa ti possa venire in mente, un accostamento sintattico, concettuale, lui sa dirti se funziona oppure no e sa spiegarti il perché. Ha un mondo di riferimenti ed è stato meraviglioso poter avere questo tipo di enciclopedia vivente, di pensiero infinito!
Riccardo Festa: Quando abbiamo iniziato a lavorare al progetto avevamo messo insieme dei materiali ma non avevamo idea di chi sarebbe stato in scena, volevamo occuparci della regia e per quanto ne sapevamo in scena ci sarebbero potuti essere cani, video, installazioni…Poi, mentre lavoravamo qui, avevamo bisogno di provare le battute e alla fine Scarpellini ci ha spinti a entrare in scena. Dunque se lo spettacolo ha assunto questa forma è colpa sua!
La struttura è molto episodica, aperta, include ed esclude il pubblico, varia nei tipi di dispositivi, ci sono proiezioni…
Avete più volte citato Fellini . Anche nella messa in scena sarà presente la dimensione cinematografica?
Gemma Carbone: Il cinema è stato un elemento fondamentale anche nel processo di scrittura, perché nel romanzo la dimensione cinematografica è palese, sia dal punto di vista della trama che dei quadri di visione, quindi la sfida è stata capire come questa presenza si potesse trasformare in spettacolo teatrale. In scena ci sono momenti di regia che sono più cinematografici che teatrali e, proprio come la scrittura flaianea è riportata in maniera sfaccettata, anche la citazione cinematografica non arriva direttamente, in maniera didascalica, ma si sviluppa in varie forme.
Riccardo Festa: La citazione dichiarata c’è, come nel caso della scena dell’harem di 8½ , ma la riattiviamo unendovi anche la storia di Flaiano.
In generale possiamo dire che in questo spettacolo il testo è di Flaiano ma la scena è piu felliniana: abbiamo lavorato in questi termini oscillando tra fedeltà e tradimento del modello.
Questa residenza è la seconda che fate ad Armunia in vista del nuovo spettacolo. Qual’è la vostra idea di residenza artistica?
Gemma Carbone: Una residenza artistica è un luogo in cui hai la fortuna di poterti isolare e dedicare interamente al lavoro, e da cui altresì hai la fortuna di poter uscire per rientrare nel mondo, lasciandoti alle spalle ciò che hai fatto in quel tempo e in quello spazio. Credo che una residenza artistica diventi veramente utile nel momento in cui le condizioni di lavoro sono garantite al miglior livello possibile, quando hai uno spazio tecnicamente utilizzabile, hai a disposizione tecnici che possono entrare nel lavoro e seguirti.
Riccardo Festa: Io credo che esistano più tipologie di residenza artistica. C’è la residenza che ti produce: in questo caso noi siamo prodotti da Armunia e debutteremo a Inequilibrio 22, che è un festival importante per operatori e appassionati, quindi un ottimo sbocco per noi. Siamo quindi ospiti di una macchina rodatissima, di un festival che ti sostiene e ti permette di uscire, abbiamo a disposizione mezzi, spazi, vitto e alloggio. Ecco, questo tipo di residenza è importantissimo quando non hai uno stabile che ti produce. Poi ci sono residenze artistiche che invece non hanno questo tipo di sbocco, in quel caso la residenza ha valore quando diventa veramente un’occasione di studio per gli artisti, che possono risiedere in un luogo per quindici, venti giorni, studiando, confrontandosi con chi li ospita, facendosi forti dell’esperienza altrui, dialogando con il territorio, a patto, però, che non ci sia l’ansia di dover produrre qualcosa forzatamente.
Oggi noi siamo nella prima tipologia e trovo che sia un sistema veramente virtuoso.