Con il suo Norama Valley, Annamaria Ajmone da nuova vita alla Voliera del Castello Pasquini
Intervista di Angela Fumarola
Gli ultimi due giorni del Festival Inequilibrio XXI (precisamente sabato 7 e domenica 8 luglio) avranno come protagonista, tra gli altri, la danzatrice e coreografa Annamaria Ajmone con il suo Norama Valley, seconda parte di un progetto più ampio che prende il nome di Norama.
Uno spettacolo che si svolgerà in un ambiente particolare, la Voliera del Castello Pasquini; è forse per questo motivo che l’artista è venuta in residenza in questi giorni a Castiglioncello, per dare le ultime rifiniture a ciò che accadrà tra e al di fuori delle reti metalliche che formano l’ex-gabbia per uccelli.
Come tutti gli artisti venuti a vivere l’esperienza residenziale ad Armunia prima di lei, anche Annamaria Ajmone ha messo a disposizione un po’ del suo tempo per lasciarsi fare qualche domanda sul lavoro affrontato tra le mura del Castello, sul suo percorso artistico e tanto altro.
INTERVISTA
Partiamo subito dal lavoro che presenterai qui al Castello Pasquini: Norama Valley. Spiegaci com’è nata l’idea e soprattutto questo titolo che, controllando sul vocabolario, non esiste.
Annamaria Ajmone – Norama Valley è un momento di scambio, di apertura di un processo di ricerca e di lavoro ancora in attivo, anzi possiamo affermare praticamente all’inizio. Nello specifico, è un dialogo con Jules Goldsmith, la costumista e scenografa che mi accompagnerà nell’intero percorso del progetto Norama di cui Norama Valley ne è una parte insieme ad altri due momenti di condivisione. La possibilità di poter lavorare sulle stesse questioni che legano il progetto più ampio per tre momenti differenti, ripensandole, trasformandole, riadattandole in funzione di ciascuno spazio particolare e unico che andremo a utilizzare ogni volta, è un buonissimo e utilissimo modo per cercare di applicare le nostre idee, sia per me sia per Jules. Per quanto riguarda il titolo; “valley” è stato aggiunto perché indica la valle di Norama ed è specifico per quello che avverrà a Castiglioncello perché sarà un’azione che avverrà e rimarrà qua soltanto. Il termine “Norama”, invece, è una parola inventata da me partendo dall’elemento “rama” che mi riportava alla mente vocaboli quali diorama, panorama, tutto quello che ha a che fare con i paesaggi, ma costruito artificialmente. Mi piaceva dare un nome che non esisteva come per creare un altro spazio, un’altra dimensione.
Quindi uno spazio e una dimensione che supererà quella del Castello Pasquini ma che rimarrà incastonata come un diamante all’interno della Voliera nei giardini del Castello, per cui è un evento unico quello che presenti qui?
Annamaria Ajmone – E’ un evento pensato per la Voliera e per il Festival Inequilibio XXI perché tutti i nostri ragionamenti sono stati fatti sulle geometrie di quello spazio e sul significato e l’uso di una voliera. Ora non voglio dare troppe anticipazioni (ride) però l’idea è che il luogo si trasformerà e tutta la parte intorno sarà attivata.
Allora ti faccio un’ultima domanda su quest’argomento sperando che sia un aspetto che puoi svelare. Norama Valley lo proponi sabato 8 e domenica 9 luglio, rispettivamente alle 19.00 e alle 19.30, in più la domenica ci sarà un’altra replica alle 7.00 del mattino. Tre eventi quindi, a dodici ore l’uno dall’altro circa che coprono diversi momenti della giornata. La scelta degli orari è in funzione delle luci che saranno ovviamente ben differenti nelle occasioni serali con quella mattutina? Cambierà qualcosa nel lavoro?
Annamaria Ajmone – Quello sicuramente. Mi piaceva l’idea di poter sperimentare con questo spazio aperto, quotidiano che porta in qualche modo a relazionarsi con la vita. Lo volevo abitare in momenti differenti perché penso che la luce, come gli odori, il terreno, cambi nell’arco della giornata e poi sono molto affascinata dalla mattina: è un momento che amo molto, non so perché, sembra più lento, più silenzioso. Volevo anche avere la possibilità di vivere questo esperimento, perché è di questo che si tratta, in modo no-stop, con la Voliera sempre attiva. I tre momenti immagino saranno diversi perché la partitura coreografica non è scritta: lo è a livello spaziale e ho una serie di elementi con cui posso relazionarmi, ma è sempre in relazione con ciò che accade. Questo perché, per la mia esperienza, lo spazio aperto è uno spazio molto affascinante ma anche molto difficile data la sua vitalità. Penso che per me quest’esperienza sarà la possibilità di sperimentare una serie di pensieri e d’idee che ho.
Andiamo alla vita di Annamaria Ajmone come danzatrice: sei sia interprete sia autrice. Come concili questi due momenti, queste due pratiche dello stare in scena?
Annamaria Ajmone – In realtà non c’è una risposta unica: il percorso cambia, i momenti cambiano, le esigenze cambiano. Per molto tempo ho fatto solamente l’interprete e pian piano ho iniziato a sentire l’esigenza di fare miei progetti. Con il passare del tempo e il desiderio di impegnarmi sempre di più nella mia ricerca personale, ho dovuto un attimo equilibrale i miei interventi e le mie partecipazioni come interprete; per me ha veramente un immenso valore poter lavorare come danzatrice in dei progetti per i quali ho fiducia, ma sono cambiati la mia esperienza e il mio modo di rapportarmi. Fare l’interprete è comunque una possibilità a cui, a ora, non voglio rinunciare perché amo quest’aspetto della danza e mi piace tantissimo cercare di capire cosa mi stanno chiedendo, cercare di andare oltre a quello che il coreografo con difficoltà cerca di verbalizzare (perché capisco che spesso non si riesce a riportare in parole le idee, non è semplice farlo e non è semplice farlo in modo chiaro). Il numero d’interpreti in Italia è alto con un livello molto, molto buono e, come mi piace definirli, sono dei guerrieri perché si buttano nel lavoro avendo totale fiducia nel coreografo che spesso naviga nella confusione, nella normale paura che comporta il suo ruolo. Però i danzatori sono sempre presenti, quasi commoventi nonostante non ci sono tante tutele nel nostro settore. Mi piace moltissimo lavorare con altri danzatori, i gruppi che si creano, lo spettacolo che diventa segreto e che condividiamo tra noi per arrivare a qualcosa d’inimmaginabile.
Cosa ti ha fatto decidere, in modo totalmente inderogabile, di diventare danzatrice?
Annamaria Ajmone – Cerco di essere molto sintetica anche se in realtà questa è una domanda che non ti permette di essere breve. Ho sempre fatto danza fin da bambina come molte tante. Sono cresciuta in una famiglia bellissima, amanti del bello ma non è mai esistito nella sfera familiare il teatro, non sono mai andata a teatro e non ho mai avuto la passione del teatro e della danza o meglio, forse sì ma non lo capivo bene. Durante il primo anno di università ebbi i primi veri rapporti con il teatro e vidi uno spettacolo che è stato il punto di svolta: non fu tanto lo spettacolo in se che mi cambiò, ma la danzatrice che si chiama Erna Omarsdottir che interpretava una coreografia di Jan Fabre. Non capii nulla, era il primo spettacolo di danza che vedevo. Fu, però, un qualcosa di vivo che mi toccava. Sono poi passati anni, ho studiato e poi mi sono iscritta a un corso didanza, ho incontrato Ariella Vidach che è stata una maestra: lei è una pedagoga, la migliore che finora ho incontrato, e a una lezione nella quale ero la più impedita perché non riuscivo a fare le sequenze mi chiese delle cose rispetto alla possibilità di studiare danza in maniera più professionale. Non ebbi il coraggio di rispondere, ma il giorno dopo mi ripresentai e, con il coraggio trovato non so dove, le chiesi cosa intendesse dirmi il giorno precedente. Erna Omarsdottir e Ariella Vidach sono state le due figure che in qualche modo mi hanno cambiato la vita.