“L’Ospite” dentro ognuno di noi: intervista a Ciro Masella e Aleksandros Memetaj
Intervista di Alessandro Leoncini
Ciro Masella ed Aleksandros Memetaj presenteranno alla ventunesima edizione del Festival Inequilibrio il primo studio de L’ospite, un testo che porta la firma di Oscar De Summa. Durante il loro periodo di residenza artistica al Castello Pasquini ho avuto l’occasione di scambiare qualche parola con i due attori; abbiamo parlato dello spettacolo, del teatro e della loro attesa per il Festival.
Qua in residenza state lavorando a L’Ospite, uno spettacolo scritto da Oscar De Summa: come siete entrati in contatto con Oscar e con questo testo?
Ciro Masella: Io sono legato da amicizia con Oscar De Summa da tanti anni, un paio di anni fa ci siamo incontrati per un caffè a Milano, lui mi ha parlato di questo progetto che aveva in un cassetto da un bel po’ di tempo e che ha pensato a me. É un progetto che risale a diversi anni anni fa, compaiono delle cifre che sono ancora scritte in lire. Il primo stimolo è stata una situazione molto molto particolare vissuta da lui in Puglia. Oscar è pugliese. Anch’io lo sono. Ed eravamo in Puglia quando è arrivata la prima grande ondata immigratoria dall’Albania. Noi che viviamo in piccoli paesini vicini a Taranto e Brindisi abbiamo vissuto in modo forte questa cosa: eravamo lì.
Chi è l’ospite?
C.: L’Ospite è una persona che si introduce in casa di un’altra persona con l’intento di rubare. L’altra persona arriva e lo trova con le mani in qualcosa di sua proprietà, in ciò che rappresenta il sudore della sua fronte, i suoi affetti. Questa diciamo che è la prima risposta, quella di superficie. Ci stiamo accorgendo in questi giorni che l’ospite non è una persona esterna, qualcosa che è in molti di noi. C’è una battuta del testo molto bella che dice:”è ciò che ci portiamo dentro, una paura”.
Ci siamo accorti che l’ospite non è solo una persona esterna ma incarna un fantasma che ciascuno di noi ha dentro.
Quindi l’ospite è sia fuori che dentro di noi?
C.: Fondamentalmente l’Ospite è quello dentro ,che ci fa confondere con questo soggetto esterno che, come dice Oscar, ha compiuto un gesto che non è giusto, ma da questo poi diventa un oggetto di forze mostruose di tutto ciò che rappresenta la paura, il terrore, l’insoddisfazione di un essere umano. L’Ospite all’improvviso si incarna nell’essere umano, diventa l’oggetto di sfogo delle peggiori frustrazioni.
Riprende un tema comunque molto attuale
C.: Purtroppo sì, è uno spettacolo in cui ci sono delle battute in cui io e Aleksandros ci accorgiamo che c’è un’attualità a livello di meccanismi: il sadismo, la ferocia, la cattiveria ma anche la fragilità, perché poi sono entrambi dei personaggi sfaccettati che hanno una parte di bene, una di male.
Che personaggi interpretate rispettivamente?
C.: Io faccio il padrone di casa, che poi viene definito l’Uomo in questa fase. Aleksandros fa l’Ospite. Lui è l’Ospite perché la storia che porta l’Ospite è la storia di un altrove, di qualcuno che porta il suo dramma personale e si va ad incrociare col mero meccanismo: c’è un ladro e c’è chi subisce un furto. Oscar ha giocato con tantissimi cliché, col pregiudizio con tanto materiale, che noi stiamo tentando di sviscerare perché questo è un primo studio. In questo momento storico c’è una grandissima elettricità, una grandissima tensione che si respira per cui a un semaforo per un rosso sbagliato, un parcheggio fregato, per una sciocchezza reagiamo con una quantità di violenza repressa incredibile. E’ come se fossimo delle pentole a pressione con tutta questa roba che bolle, pronta a scoppiare per delle cazzate come una fila alla posta. Siamo circondati da quest’aria di tensione perché tutti quanti abbiamo una grandissima incertezza: la caduta delle ideologie, del concetto molto forte di spiritualità, non c’è più ciò che poteva confluire in una valvola di sfogo, siamo quindi in continuo disequilibrio ed allora iniziamo a sbraitare
Per voi questa valvola di sfogo è il teatro?
Aleksandros Memetaj: Per me personalmente lo è ,ma la parola sfogo non la vedo solo come una cosa negativa, nel teatro c’è anche tutto il bello che non posso esternare. Nella vita quotidiana ci viene detto di restare nel mediocre e quindi chi saluta uno sconosciuto o chi “sbrocca” al bar per un caffè viene lo stesso guardato strano. Per me il mestiere dell’attore è un’opportunità di poter vivere ciò che nella quotidianità mi viene impedito dalle norme sociali, da questo finto quieto vivere. Nel teatro vige ancora un patto, sia nel meccanismo delle prove tra attori sia con il pubblico: nel momento in cui una persona decide di venirti a vedere decide di accettare tutta una serie di regole non scritte che sono alla base della comunicazione che c’è all’interno di questo meccanismo. Puoi vivere tutta una serie di emozioni, vibrazioni emotive, sentimenti, pensieri, puoi subire queste lacerazioni nello stomaco che nella vita ti sono impedite. _Sono molto affascinato da questa cosa.
Voi due venite da contesti diversi, sia a livello generazionale che da ambienti diversi: Ciro è pugliese mentre Aleksandros è cresciuto in Veneto e da anni vive a Roma. Come è stato unire le vostre due realtà?
A.: Per me è stato estremamente facile. Perché Ciro sia umanamente che poi ovviamente come attore, è una persona estremamente disponibile e quindi nel momento in cui ci siamo messi a giocare è avvenuto tutto quanto facilmente. Fin dal primo giorno di prove siamo entrati in un clima di fiducia e rispetto reciproco che ci ha permesso di giocare bene. Tutto questo ci sta anche permettendo di penetrare in profondità all’interno dello spettacolo. La cosa che io reputo la più bella, è che all’interno di questo meccanismo che sembra così fisso, con un derubato e uno che ha rubato, poi ci sono tantissimi cambi, tantissime svolte. L’obiettivo nostro e di Oscar De Summa, è quello di mettere sia gli attori e sia il pubblico che riceve questa storia, in una posizione veramente scomoda, in cui a un certo punto parteggi per uno, poi per l’altro, fino a quando non ci capisci più niente. Tutta questa storia da raccontare agli altri, fino ad oggi ci è risultata abbastanza semplice per il fatto che siamo due persone che si sono parlate fin dall’inizio. So che può sembrare una cosa hippy, però ti giuro che non è assolutamente così, io non sono hippy. C’è tutto un non detto, c’è tutta un’energia che le persone si mandano e ricevono continuamente. E io do molta importanza a questa cosa e fin dal primo momento che ho conosciuto Ciro, mi sono sentito estremamente fortunato perché ho capito subito che anche lui la vede in questo modo.
Potete recitarmi una battuta che vi è rimasta impressa da uno dei vostri spettacoli?
C.:La battuta fa parte di uno spettacolo che sto facendo negli ultimi 3 anni (Thanks to Vaselina). E’ una battuta che ogni volta che dico mi spacca dentro. In questo testo interpreto un transessuale ed in questa parte parlo con mia moglie. Lei mi ha appena detto che nel periodo in cui non ci sono stato non ha avuto nessun uomo, che non riesce ad avere nessun uomo perché è stata tradita da questa figura ed io le rispondo:
“La tua lotta Lucia, la mia lotta, ma ci pensi? Sono incredibili tutti i modi che Dio ci ha regalato per sentire l’amore. Ognuno con il suo corpo diverso, con il suo cuore diverso, io credo che la storia di come l’uomo abbia lottato contro tutto per cercare ad ogni costo il proprio modo per esprimere l’amore sia l’unico vero miracolo. Come certi insetti che lottano dentro i muri e cercano ogni fessura possibile per trovare la luce, amore attraverso le crepe. Beh, questo lotta Lucia è la parte migliore della vita.”
A.: “Stare in mezzo”. È una cosa che capita a tutti prima o poi. Quando si è in mezzo a due persone, si hanno punti di vista diversi. Quando si è in mezzo tra due città, tra due mondi completamente diversi tra loro. Quella è una sensazione che ho provato per la prima volta a sette anni. Quando stavo in mezzo al mare e non vedevo né la terra che era di fronte a me, né la terra che era dietro di me e mi sentivo di appartenere a quel luogo lì.
Perché hai scelto proprio questa battuta?
A.: Sia per un motivo affettivo, questo è il concetto fondamentale del primo spettacolo che mi ha inserito nel mondo dei grandi(Albania casa mia), sia per il motivo drammaturgico per cui ho deciso di scriverlo: per cercare di spiegare alle persone la bellezza dello stare in mezzo, la posizione più scomoda, quella del funambolo. Penso che riuscire a stare in mezzo ti permetta di poter vedere tutto quanto con una prospettiva più ampia. Mi rendo conto e mi ripeto ogni giorno che la dote principale che io in quanto giovane uomo devo riuscire ad imparare il più possibile, riuscire a stare in mezzo, vedendo le cose non con distacco, ma con una prospettiva molto più ampia e poi riuscire a stare anche in equilibrio, di emozioni, di sensazioni.
Presenterete il primo studio de “L’Ospite” al Festival Inequilibrio. Cosa vi aspettate dal Festival?
C.: Io qui mi sento a casa, ci ho passato veramente tanti mesi qui ho provato uno dei miei primi spettacoli importanti. Inoltre sono venuto a provare uno degli spettacoli a cui sono più legato in assoluto nella mia carriera, che è L’Ubu Roi di Latini. Questo è un luogo che negli ultimi anni io collego sempre alla presenza di Roberto Latini. Sono venuto al Festival come spettatore per tanti anni. È un luogo, come ormai credo sia per tantissimi artisti e persone, familiare. Incontri artisti che stimi, critici, studiosi, colleghi a cui vuoi bene, con cui hai fatto un pezzo di percorso, altri con cui magari non hai mai lavorato ma è come se aveste dei percorsi paralleli. Quindi il Festival è un luogo strano perché è come concentrarli tutti insieme. A differenza di altri Festival, Armunia ha sempre avuto una connotazione molto particolare, non è una struttura isolata, un castello di Kafka. ma è un luogo di scambio, di incontro e di festa. È il modo in cui tutte queste linee e questi percorsi si mettono insieme e si mescolano.
Cosa rappresenta la residenza artistica per voi? A.: Vivendo a Roma, e avendo ormai capito che lavorare e vivere a Roma è un po’ difficile, la residenza diventa davvero un’opportunità per potersi concentrare e fare al meglio il proprio lavoro. Perché poi questo luogo è anche un po’ più fortunato degli altri. Stai a Castiglioncello, c’è la civiltà, c’è il mare. È una cosa che io cerco e che vorrei continuare a fare nella mia vita sempre di più perché è un’ottima possibilità di lavoro. Quando sono in residenza ho davvero la possibilità di focalizzarmi sul mio lavoro.
C.: Confermo che è una grande e preziosa opportunità. Siamo sempre sollecitati da tremila cose, qui invece c’è l’opportunità di poter entrare con tutto il corpo dentro una cosa e starci a mollo, starci dentro.