15 Giugno 2018

Fortebraccio Teatro: pensare la scena attraverso Pirandello secondo Roberto Latini

Intervista di Benedetta Pratelli

Fortebraccio Teatro porterà in scena a Inequilibrio XXI (giovedì 5 e venerdì 6 luglio) il nuovo spettacolo: Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi?
Abbiamo intervistato Roberto Latini che ci ha parlato della ricerca teatrale portata avanti dalla compagnia e della scelta di lavorare per la seconda volta su Pirandello.

Roberto Latini - foto Benedetta Pratelli Raccontaci del nuovo spettacolo a cui stai lavorando, Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi?, con il quale parteciperai anche a Inequilibrio XXI.
Roberto Latini: Devo partire effettivamente da movimenti precedenti, da un percorso che riguarda le parole, che ha compreso già una tappa fondamentale intorno, dentro a Pirandello e ai Giganti della montagna, fuori dai Giganti, che è stata la nostra versione per attore solo e per nessun personaggio. In quel caso ho detto a più riprese che l’unico personaggio per me erano le parole di Pirandello. E questo percorso ci ha portati attraverso una riscrittura nella tappa successiva, intitolata ad Amleto+Die Fortinbrasmaschine e poi anche al Cantico dei cantici, tutto quanto insomma, come se la traiettoria, la parabola fosse sui testi, sulla combinazione delle parole.

Qui c’è un altro percorso, in qualche modo, che si è sottodiramato intorno al teatro che ha la coscienza e la consapevolezza di sé, come era stato anche Die Fortinbrasmaschine, come è stato per Teatro comico, dove c’è una compagnia che fa le prove di uno spettacolo, e così è in Sei personaggi in cerca d’autore. Ora fare lo spettacolo sui Sei personaggi non aveva particolare senso, se non capire come andare oltre quella condizione. Per quanto riguarda Pirandello abbiamo quindi tutta la parte finale, che è una parte piuttosto corposa, dalla battuta del padre che dice “E dunque perché si fa meraviglia di noi?” e che è diventato anche parte del titolo, fino alla fine, didascalie comprese. Quindi tutta la scrittura di Pirandello intorno non soltanto al detto, anche al non detto, anche alle indicazioni, a quello che è un tempo prima della regia, prima di tutto il Novecento e di ciò che poi sarebbe diventato: usando questo finale come inizio ciò che mi interessa davvero è cosa succede dopo. E allora tornando ai motivi per cui siamo ad affondare in questa tappa tra i vari percorsi c’è anche quello che riguarda una riflessione sullo stare in scena, che è molto più antica degli spettacoli che posso aver citato adesso, e quindi una cosa che ha a che fare con l’attore, con il performer, con la percezione dello stare al palco.

Qual è il ponte tra queste due condizioni? Qual è il ponte possibile? Se c’è…

Quanto avviene nello spettacolo è una cosa che mi interessa molto da un certo punto in poi, portandomi la scorta di riflessioni e di consapevolezze necessarie che mi vengono dalla parte finale di Sei personaggi.

©Simone-Cecchetti-fortebraccioIl teatro di Fortebraccio si sviluppa su un continuo dialogo con i testi classici, che non vengono semplicemente ripresi ma con i quali appunto viene sviluppato un discorso assolutamente non limitato alla drammaturgia. Come scegli il soggetto del lavoro e la direzione verso cui andare? Come avviene questo processo?
Roberto Latini: È un lavoro che nel tempo si è affinato: da quello che era un esercizio, che in certi casi arrivava fino all’astrazione, sono riuscito a smettere questa condizione e a lasciarmi portare dall’attrazione, da ciò che mi attrae, che mi interessa, ancora prima di saperne il motivo, ancora prima di capirne la condizione. Rispetto ai classici in generale penso che siano un’occasione per il teatro. Non facciamo il Teatro comico di Goldoni, cerchiamo di fare teatro attraverso il Teatro comico di Goldoni, così è stato e così è sempre.

L’obiettivo, se così possiamo dire usando parole non adatte, è quello di avere a che fare con l’occasione di portare un testo classico. I classici sono un’occasione per il teatro, ma spero sempre che nessuno venga a vedersi i Giganti della montagna o Teatro comico di Goldoni, ma che vengano a vedere una serata attraverso questa occasione. Una serata contemporanea, di quest’ora, di quest’oggi, insomma, altrimenti sarebbe una rappresentazione, avrebbe il rischio della recita, avrebbe un’impossibilità, almeno da parte mia, nostra, rispetto alla proposta.

compagnia fortebraccioLa vostra è una compagnia in un certo senso anomala, i cui principali componenti, oltre a te Roberto, sono per formazione estranei allo stare sul palco, Max Mugnai e Gianluca Misiti, un tecnico luci e un musicista. Come avviene la connessione nella realizzazione degli spettacoli e in questo che ruolo avrà la musica?
Roberto Latini: In questo spettacolo la particolarità sarà il fatto che non ci sarò io sul palco, non fisicamente insomma, e questo è piuttosto epocale per quel che ci riguarda. C’è un motivo precedente, che invece viene dal riuscire a non esserci insomma, a prendersi quest’occasione, questo lusso.

È la prima volta che succede.
Roberto Latini: Rispetto alla compagnia, a Fortebraccio Teatro, sì, assolutamente. E quindi siamo anche noi un po’ nell’attenzione, nell’entusiasmo, nella sorveglianza, nello stupore.

E la scelta di lavorare con Piergiuseppe Di Tanno da che cosa è scaturita?
Roberto Latini: Deriva da un’occasione, da un’esperienza fatta l’anno scorso a Chiusi. C’è stato un bando per attori under 35, a cui hanno fatto domanda troppi candidati, ma dopo averne scelti 8, dopo appena due tappe, alla fine il progetto è naufragato e non si è concluso perché a Chiusi è saltato tutto: è saltato il festival, è saltata la direzione artistica, ed è saltato tutto quello a cui questi giovani, più di 400, avevano chiesto di partecipare. Tra queste persone c’era anche Piergiuseppe, che era uno di quelli che io avevo scelto tra gli 8, quindi questa decisione è per me idealmente una questione artistica e anche politica, che riguarda la decisione di avere a che fare con quell’occasione, con quella situazione, con il rammarico, con la denuncia in qualche modo di come funzionano le cose rispetto agli under 35, alle occasioni che hanno davvero di essere in scena. Spero attraverso lui di poter recuperare idealmente, affettivamente, anche gli altri. Ma non solo gli altri 7, gli altri 400 che hanno fatto domanda, come se fosse un’ impossibile rappresentanza.

Il teatro sembra fare sempre più fatica a trovare uno spazio nella società e un riconoscimento politico, penso alla tua esperienza al teatro San Martino, a ciò che è successo poco tempo fa all’Angelo Mai, al cui appello so che anche tu hai aderito: qual’è la situazione del teatro in Italia oggi? Ma soprattutto quale dovrebbe essere secondo te?
Roberto Latini: Giro la domanda ponendola sul piano del paradosso: e se davvero tutti andassero a teatro? Come sarebbe? Sarebbe impossibile. Se arrivi a Milano e tutte le persone volessero venire a vedere lo spettacolo, se a Roma tutti andassero a teatro costantemente, non basterebbero i teatri, non basterebbero gli spettacoli, come si farebbe? Io mi vanto di aver chiuso il Teatro San Martino, purtroppo. Me ne vanto, nel senso che ho per coscienza, per coerenza, per rispetto anche dei miei colleghi. Come compagnia non si può essere complici di un sistema che mortifica costantemente ogni slancio. Quello è un servizio, rispetto a una compagnia di produzione, che siamo stati contenti di fare, di onorare, per cinque anni, anche a dispetto del nostro sforzo produttivo, che in quei cinque anni è stato molto sollecitato e anche diminuito invece dalle possibilità, rispetto al tempo che tenere aperto un teatro e gestirlo richiedeva. Sarebbe bello che le cose funzionassero, intendo che stessero nella capacità delle regole. Il problema dell’Italia è un problema culturale, e dico delle cose che dico da anni, insomma, purtroppo l’Italia è abitata dagli italiani, quindi da persone che non sono in grado di mettersi in fila nemmeno dal giornalaio, figuriamoci… e lo dico perché sono italiano, eh.

Roberto Latini - FortebraccioQuanta importanza ha nella realtà teatrale attuale il ruolo delle residenze artistiche?
Roberto Latini: Anche le residenze sono molto diverse tra di loro. Sotto la voce “residenze” si trovano varie strutture e questioni, e ne stiamo parlando qua, ad Armunia, ne stiamo parlando in questo ufficio, dove quello che era il direttore artistico Massimo Paganelli mi parlò proprio del lusso di perdere tempo… e con direttore, direzione, intendo un’idea, che si è poi declinata in altre forme di teatro contemporaneo e che attraverso il lavoro di Fabio Masi e Angela Fumarola è diventata un qualcosa al quale secondo me Massimo Paganelli poi non sarebbe arrivato, non per incapacità ma per tempo, insomma. La questione tempo è stata sempre, qua, il lusso che ci si è potuti prendere. Essere in residenza vuol dire avere la possibilità di perdere tempo e perdendo il tempo si possono trovare delle cose. In altre situazioni invece questa dimensione non coincide e quindi si entra in una dimensione un po’ di baratto: le mie ore hanno un peso specifico che devo restituire in qualche modo… è sempre un po’ delicato. Però anche le residenze sono in realtà una risposta a una mancanza e diventa un paradosso il fatto che ce ne sia bisogno.

In tre parole che cos’è per te Inequilibrio?
Roberto Latini: È una dimensione a colori. Inequilibrio mi piace molto come definizione, perché la possibilità di cadere per me è proprio una condizione che somiglia allo stare al palco, quindi questo essere in equilibrio non meglio definito, e quindi proprio forse un disequilibrio, è qualche cosa che invece somiglia anche a come io personalmente sono, mi sento, in scena. E poi siamo: siamo è “noi siamo” ed è bello quando un festival non è, ma siamo, ed è così che dovrebbe essere il teatro.

A cura di:
​Benedetta Pratelli

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