The Ghepards: intervista alla compagnia che si interroga sulla vita oltre i quadri
Intervista di Benedetta Pratelli
La compagnia The Ghepards, che debutterà a Inequilibrio XXI con la versione definitiva di “La fanciulla con la cesta di frutta” ha passato una settimana in residenza ad Armunia per lavorare proprio sullo spettacolo. Abbiamo così avuto modo di conoscere meglio il regista Francesco Colombo e alcuni degli attori che la compongono e assistere ad una loro prova aperta. La fanciulla con la cesta di frutta dà vita all’omonima opera caravaggesca e ad altri importanti quadri della storia dell’arte, offrendo allo spettatore un originale punto di vista: quello del soggetto del quadro, che guarda se stesso e gli altri dalla sua gabbia/cornice. Un’opera che fa ridere di gusto e riflettere al tempo stesso, in cui protagonisti sono i quadri, i loro soggetti e i loro autori, in una diatriba senza soluzione: “cos’è più importante quello che viene visto o chi lo crea?”.
La prima domanda imprescindibile è, come è nata la vostra compagnia ma soprattutto perché questo nome curioso, The Ghepards?
Marco Celli: Noi attori abbiamo fatto l’accademia Silvio D’Amico, eravamo nella stessa classe e abbiamo risposto insieme a un bando a premio dell’Accademia legato al festival ContaminAzioni, in cui le compagnie presentano degli studi. Io scrissi un monologo iniziale e lo feci leggere a Francesco Colombo: da quell’idea iniziale poi lui ha cominciato a scrivere questo spettacolo. Siamo arrivati in finale, anche se poi non abbiamo vinto, e abbiamo deciso di andare avanti e allungare il progetto iniziale.
Francesco Colombo: Si loro mi hanno contattato per fare questo spettacolo: è andato molto bene e quindi abbiamo deciso dai trenta minuti iniziali di farlo crescere e renderlo uno spettacolo compiuto. L’abbiamo portato in giro, vincendo alcuni premi, e quindi c’è venuta la voglia di continuare a lavorare insieme. Dopo circa tre anni siamo ancora qua…
Michele Ragno: Fino ad oggi abbiamo portato in giro lo spettacolo in forma di studio, una sorta di corto di 30-40 minuti…
Colombo: Per il primo luglio, invece, ci sarà lo spettacolo finito e compiuto! Poi come compagnia abbiamo messo in scena anche Il cielo è cosa nostra, sul tema della mafia, in cui invece l’attore protagonista era Daniele Paoloni. Siamo all’inizio, stiamo ancora cercando la nostra “dimensione”, in ogni caso abbiamo già avuto un bel po’ di soddisfazioni…Per esempio il 19 aprile saremo la prima compagnia teatrale a debuttare in uno spettacolo evento in casa di Alberto Sordi, a Roma. Lui aveva un teatro in casa in cui andava a provare con Monica Vitti, Fellini…. e saremo la prima compagnia ad avere questo onore e privilegio!
E perché The Ghepards?
Colombo: Eeeh….[tutti ridono]. Allora, premesso che the ghepards è la traduzione non corretta della parola ghepardo perché in inglese si direbbe cheetah, quindi oltretutto c’è da dire che il nostro è un inglese maccheronico… Dunque perché The Ghepards? Allora, non so se sai che il ghepardo è l’animale più veloce sulla terra, però quando caccia deve prendere la preda in un lasso di tempo massimo ben preciso: non può correre 10 minuti, per dire, perché se supera quel tot di tempo stabilito, quel minuto e mezzo circa di corsa, gli si surriscalda il cervello e inizia a rallentare e a non capire più niente… Ora, questa roba ha un senso rispetto al nostro teatro perché noi lavoriamo in maniera collettiva e ognuno mette del suo, proprio in senso creativo (ci sono battute aggiunte da Michele, alcune da Grazia, da Adalgisa, Celli…) c’è insomma un lavoro di gruppo e può capitare che ci siano dei momenti in cui dalla troppa concentrazione finiamo per non capirci più niente, momenti in cui si tocca l’apice della creatività e iniziamo a non ragionare più…
Adalgisa Manfrida: E c’è, appunto, un termine che noi usiamo, un verbo, che è “sghepardare”. Quindi quando noi ci surriscaldiamo e non capiamo piu niente di quello che stiamo facendo allora diciamo che “sghepardiamo”!
Grazia Capraro: Andiamo a mille e poi arriva il momento in cui ci chiediamo “ma dove stiamo andando?”
Paoloni: Diciamo che noi ci mettiamo a lavorare insieme con grande intensità e la concentrazione è talmente forte che a un certo punto arriva un momento in cui il cervello si ferma…
Manfrida: Davvero eh! Non ci capiamo piu niente! Fino a tre ore fa stavamo così per esempio….
Sul vostro sito ho letto una tua dichiarazione, Francesco, in cui dici che il lavoro che chiedi ai tuoi attori è un lavoro molto duro e che chiedi loro la cosa più difficile, ovvero la libertà. Ci spieghi in che modo lavorate?
Colombo: Beh è chiaro che se io mi metto nella posizione da regista, “io ho l’idea io ho scritto il testo, tu muoviti così, falla così..”, l’attore smette di essere un artista e un creatore, mentre se io mi limito a dire “c’è questa battuta, c’è questo senso” da lì poi io riesco a prendere l’idea per la messa in scena successiva…grazie alla creatività dell’attore. Il mio obiettivo è vedere cosa fanno gli attori per raggiungere il massimo, perché la loro idea scenica riguardo a come dire la battuta sarà sempre più alta rispetto a come la penso io, a come sarebbe se io li dessi delle linee guida. Io ti do la mia idea e tu la devi trasformare in maniera tua, con la tua creatività: far si che un attore sia libero in scena è davvero difficile, perché anche gli attori “sghepardano” se non hanno delle direttive. Nel nostro caso tutti gli attori di The Ghepards non sono esecutori: sono artisti.
A proposito di collettivo in questo spettacolo la scenografia è collettiva mentre nel secondo spettacolo che avete fatto, Il cielo è cosa nostra, la scenografia ha invece nome e cognome, Valeria Mangiò. Perché questa scelta diversa?
Manfrida: Perchè questo spettacolo è nato semplicemente in vista di questo festival autogestito, eravamo tutti alla fine del primo anno e abbiamo provato questo testo per vedere che sarebbe successo. La cosa bella di questo festival è che ti danno uno spazio per provare per un mese quindi non devi pagare la sala prove e avrai un teatro dove andare in scena, però tutto quello che fai lo devi mettere tu, quindi essendo tutti studenti abbiamo cercato tutto noi, cornici, oggetti vari, costumi ecc… Ci sono degli oggetti, delle scelte, che ci portiamo avanti fin dall’inizio e altre invece che abbiamo cambiato. Abbiamo quindi fatto tutto noi perché l’occasione era quella e la prospettiva iniziale era semplicemente quella di dire “facciamo questo spettacolo e vediamo che succede”.
Paoloni: Con il secondo spettacolo siamo partiti sempre da un lavoro artigianale e poi invece si sono presentate un paio di occasioni in cui abbiamo avuto modo di metterlo in scena in un teatro un po’ più importante e quindi abbiamo deciso di alzare anche un po l’asticella, di far cioè lavorare una professionista della scenografia.
Capraro: Più che altro penso che questa scelta derivi dal fatto che quando si vedono questi elementi di scenografia in uno spazio più grande,come è accaduto al Teatro di Avezzano, cominci a vedere le potenzialità in più che lo spettacolo potrebbe avere.
In una recensione al vostro spettacolo ho letto un rimando alla tendenza che spopolava fino a poco tempo fa sui social ovvero quello di far parlare i quadri. C’entra qualcosa con il vostro spettacolo? Come è nata l’idea di portare i quadri a teatro?
Celli: Io portai a Francesco Colombo un testo su Caravaggio e sul gioco di potere maschio e femmina, perché volevo sviluppare questo tema. A Terni vinsi un premio intitolato a Franco Molè, con un testo su Caravaggio, e inoltre avevo lavorato con Latella ad un progetto su Amleto..in cui c’era tutto un gioco sul maschile e femminile, quindi mi interessava riflettere su questo tema…in più Francesco dipinge, per gioco!
Colombo: Marco voleva fare questo lavoro su Caravaggio, ho letto il suo monologo, c’abbiamo pensato un po’ e gli ho detto “se vuoi fare Caravaggio e vuoi un doppio devi per forza fare questo quadro [La fanciulla con la cesta di frutta]: sei uguale!” E da lì è partito tutto il meccanismo.
Manfrida: Quindi lo spettacolo è nato non tanto dalla smania della corrente social quanto più da un tema iniziale da cui poi si è sviluppato tutto il resto, sempre però partendo dallo stesso interrogativo: cos’è più importante quello che viene visto o chi lo crea?
E’ la prima volta che fate una residenza artistica? Come avete vissuto questa esperienza? Come la definireste in tre parole?
Colombo: Si, questa è la nostra prima residenza. La residenza artistica ti da una grandissima possibilità di stare concentrato un certo periodo di tempo, in più questa è una situazione bellissima, davvero eccezionale! Ti da la possibilità di non avere distrazioni, e questa cosa fa si che la tensione e il livello del lavoro prendano un’altra dimensione. È la situazione perfetta! Aspetta l’avevo anche scritto da qualche parte…ecco: “questa residenza è stata dura, costruttiva ed è la situazione ideale per lavorare!”.
Capraro: Noi siamo stati tre anni insieme in Accademia ed anche lì sei come in una bolla, dalle nove di mattina alle sette di sera…Qui però, non avendo chiaramente degli orari scanditi, stando comunque tra di noi e lavorando con un tipo di approccio molto pratico, piano piano bisogna trovare il modo giusto per autodisciplinarsi e stare insieme in maniera costruttiva ed è questa la cosa che s’impara meglio stando in una residenza, senza un qualcuno che ti impone qualcosa: sei tu che vuoi lavorare. Questa secondo me è la cosa più bella che dà la residenza, proprio come insegnamento. Ti aiuta a costruire, lavora dentro, e ti mette davanti ai tuoi limiti e alle potenzialità che hai quando lavori con gli altri.
Colombo: è un focus preciso, non hai svaghi!
Con la versione definitiva di La fanciulla con il cesto di frutta debutterete proprio a Castello Pasquini durante la XXI edizione di Inequilibrio: come vi aspettate il festival
Colombo: Una bomba!
Capraro: Io penso che i festival, soprattutto quelli organizzati bene come questo, di cui abbiamo molto sentito parlare, sentito persone che ci sono state ecc…, sia fantastico. Sia per il fatto che stai in scena in un luogo molto bello, ma soprattutto perché si incontrano tante persone, tu vedi come lo faccio io, il teatro, e noi vediamo come lo fai tu. C’è uno scambio di base ed è quello il bello: sei all’interno di una situazione dinamica, che si muove, anche giovane, che porta novità.
Manfrida: Noi siamo andati per esempio anche al festival di Spoleto, abbiamo partecipato tutti gli anni ed è bello vedere come una comunità piccola partecipi: tu sai che per quel periodo tutta la comunità ruota attorno al festival, quindi ogni cosa che fai, ogni luogo in cui vai… sai che tutta la realtà è teatro…è bellissimo!