18 Maggio 2018

Greta Francolini e Silvia Gribaudi: generazioni a contatto nell’esperienza di mentoring

Intervista di Alessandro Leoncini

Ho avuto il piacere di assistere venerdì 27 Aprile alla prova aperta dello spettacolo di danza Ritornello della giovane danzatrice e coreografa Greta Francolini a cui ho  posto qualche domanda insieme anche a Silvia Gribaudi. Prima dell’intervista vera e propria credo sia opportuno fare delle presentazioni. Greta Francolini è una performer e coreografa classe 1993 affacciatasi sulla scena contemporanea tre anni fa. “Ritornello” è l’opera che l’ha resa finalista a DNAppunti coreografici nel 2017. Silvia Gribaudi è un’artista torinese dedita all’arte performativa, nel suo linguaggio incorpora danza e teatro. E’ ormai una figura affermata nel panorama della danza grazie a spettacoli e laboratori.

In tutta sincerità sono sempre stato abbastanza distante dal mondo del movimento che portano in scena queste due performer essendo da sempre un amante della parola e del suo potere comunicativo, ho però avuto modo di ricredermi durante la performance della Francolini prima e durante l’incontro pubblico della Gribaudi con Oscar De Summa successivamente. Come entrambe mi hanno spiegato parola e gesto sono strettamente legati, due linguaggi con lo stesso potenziale, semplicemente diversi.

Greta Francolini e Silvia Gribaudi - foto di Antonio Ficai Greta Francolini: “Penso che non ci sia un paragone da fare: sono mondi diversi che trovo funzionali rispetto ad ognuno ed al suo modo di esprimersi.”

Silvia Gribaudi: “ La parola è un codice, però se ti allontani dal senso di ogni vocabolo anche un suono diviene danza nel pronunciarlo. La stessa cosa vale per il gesto: nel momento in cui  diventa chiaro esprime esso stesso una parola. Sono semplicemente due linguaggi diversi, l’importante è avere qualcosa da dire.”

Questo sulla parola e sul movimento è un pensiero affine di due universi che si sono incontrati tra le mura del Castello Pasquini in quella che viene chiamata esperienza di mentoring, ovvero la possibilità che da Armunia ad artisti giovani di entrare in contatto con altri con più esperienza durante il periodo di residenza artistica. Entrambe hanno definito quest’opportunità come un qualcosa di curioso oltre che utile e formativo, Greta ha anche collaborato ad uno dei laboratori di Silvia e partecipato all’incontro con De Summa di cui accennato in precedenza. Queste le loro parole sull’esperienza di mentoring:

G.: “ Lo scambio con Silvia per quanto riguarda la performance è stato semplicemente mostrargliela per ricevere un feedback, è stato uno scambio di opinioni su un lavoro che considero pressoché concluso. Poi  la cosa si è evoluta in una maniera che non credevo ma che mi ha resa molto felice. Silvia è stata perfetta nel coinvolgermi e nel portare l’esperienza della performance che stavo facendo nel lavoro proposto da lei. Per me è stato curioso ed assolutamente formativo.La presenza di Silvia ha dato un colore alla residenza, un qualcosa in più. Son venuta qua senza aspettative ed ho trovato un’esperienza.”

S.: “A mio avviso è l’opportunità di condividere un metodo di lavoro e questo può ispirare o aiutare un giovane artista rispetto al proprio lavoro. C’è questa natura di scambio, è un continuo mescolarsi di età, di generazioni, quindi in un certo senso anche Greta mi ha aiutato a trovare cose nuove ed a riscoprire un piacere del movimento che crescendo alle volte si perde.” Come detto inizialmente ho assistito a “Ritornello”, l’opera sulla quale Greta Francolini ha lavorato durante la residenza che ha come punto di partenza musicale e concettuale la prima traccia dell’album “The Disintegration Loops” del compositore statunitense William Basinski. L’opera nacque dal tentativo di Basinski di  trasferire in formato digitale alcuni loop da lui incisi su nastri magnetici. Il compositore notò che questi creavano uno strano effetto sulla traccia audio a causa del loro deterioramento: con lo scorrere del nastro, il suono andava come disintegrandosi. L’effetto  ottenuto era un motivo ripetuto all’infinito (un loop, appunto) ma che gradualmente andava consumandosi fino a trasformarsi in silenzio.  La performance della Francolini riprende questo concetto di ripetizione fino allo stremo di un’emozione, fino alla distruzione di quest’ultima attraverso il reiterarsi di determinati movimenti. La traccia di partenza di Basinski è incorporata ad altre tracce di diversi generi: hip hop vecchia scuola, dance e techno.

G.: “Sono venuta a conoscenza di questo album di Basinski da un amico appassionato musicista ed ho avuto la curiosità di trasporre il metodo in cui il compositore ha costruito quest’opera nel movimento. Il campione sonoro ripetuto viene poi scardinato e quest’ultimo perde pezzi fino a che non rimane il silenzio. Ho poi integrato musiche che mi trasmettono qualcosa, che ascolto normalmente a casa. Quindi la performance è diventato un montaggio audio che unisce Basinski a queste tracce. E’  un vero e proprio montaggio, un esperimento fatto con Garage Band che ho scoperto (ride). Da lì ho interagito con la musica nel modo in cui mi veniva naturale. E’ un lavoro che fonde corpo e musica, danza e musica, che non è sempre scontato. Per me, ad oggi, l’unica chiave di accesso alla danza è un’emozione che mi proviene dal ritmo, dalla musica.”

Greta Francolini e Silvia Gribaudi - foto di Antonio FicaiSilvia Gribaudi ha assistito durante l’esperienza di mentoring alla performance e mi ha raccontato le impressioni e  le riflessioni che quest’ultima le ha suscitato:

S.: “Mi son fatta delle domande quando l’ho visto, perché sono sempre affascinata da come i più giovani si avvicinano alla coreografia ed al movimento coreografico. Mi affascina perché Greta a livello di struttura lavora su una ripetizione di gesti, quindi non tanto su un dettaglio coreografico ma su una partitura. Mi ha interessato molto perché mi chiedo sempre se sono linguaggi che magari non comprendo fino in fondo a volte per una questione generazionale e quindi mi interessa farmi delle domande, comprendere sempre meglio da dove nasce la parte autoriale di ciò che ho visto. Questo lavoro mi ha colpito nel suo essere sciamanico. E’ quasi un rituale di un’adolescente (ride) strega che mi porta in un sacco di immagini diverse. Ho amato molto questo, sono affascinata dal modo di Greta di utilizzare lo sguardo come danzatrice nel ritmo del movimento. Il suo sguardo cambia completamente nel momento in cui inizia a danzare.”

Greta Francolini - foto di Antonio Ficai L’incontro tra le due danzatrici ha fatto scaturire nella torinese (Silvia Gribaudi) una riflessione sul fascino e sull’importanza della prima opera personale presentata ad un pubblico. Il primo lavoro è sempre un qualcosa di più candido rispetto ai successivi, qualcosa di tremendamente intimo e personale, le complicazioni arrivano in seguito con l’ingresso di fattori esterni alla propria sfera artistica. Volendo fare un riferimento musicale: “Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista” cantava Caparezza nel 2003.

S.: “La prima cosa che fai nasce da tutta la vita. E’ molto più difficile dopo, perché il primo lavoro nasce grazie al fatto che tu hai 24 anni di vita (nel caso di Greta), quindi la prima opera secondo me ha sempre qualcosa di speciale. Dopo è  più difficile perché c’è il rischio di ripetersi o comunque è complicato trovare altro materiale perché sarà comunque più acerbo dato che la storia raccontata sarà più giovane e quindi servono molti anni per avere finalmente nuovo materiale reale da portare in scena. Gli altri sono dei prodotti che il sistema richiede perché per mantenersi di questo non è possibile fare una produzione ogni 10 anni. Sicuramente la prima opera ha qualcosa di importantissimo: è un seme, un cuore poetico che poi probabilmente ritorna in tutti i lavori. La prima volta che esci il fatto che non ti conosca nessuno ti da una grande libertà perché dopo cominci ad essere vittima di quello che pensano gli altri di te e devi comunque destrutturare anche quel pensiero. Quando nessuno ti conosce è fantastico perché lo sguardo è aperto, curioso e accetta la natura dell’anima che tu esibisci in quel momento e non c’è nessun pregiudizio o preconcetto, quello che viene mostrato è vita e viene assorbito, anche tu come artista sei libero. Dopo subentrano tanti altri fattori.”

Al termine della nostra chiacchierata le due artiste mi hanno raccontato che cos’è per loro la residenza artistica all’interno del Castello Pasquini.

G.: “L’ambiente è fondamentale per metterti in un certo ritmo di pensiero. Ed io avevo bisogno un attimo di staccare dal lavoro ed ho sfruttato quello che il luogo ha da offrire: il sole, il mare e l’insieme di quello che è Castiglioncello.”

S.: “Appena sono arrivata ho detto “Ah, finalmente a casa”. Una residenza è un luogo in cui si crea anche una memoria di quello che hai fatto al tuo ritorno, sia di persone che sono passate, sia di persone nuove che incontri, sia di relazioni: con Fabio Masi, Angela Fumarola, con i tecnici, con il bar qui sotto eccetera.  E’ proprio immergersi nel ritrovare delle cose. Residenza è questo: poterti abbandonare nella facilità di poter stare dentro al processo creativo perché tutto il resto intorno a te te lo permette, sei protetto.”

Entrambe sembrano evidenziare questo senso di protezione e libertà che proviene dall’esperienza della residenza. Greta Francolini al termine della sua prima residenza a Castiglioncello conclude così l’intervista:

  Per me la residenza è un tempo mio: qui posso avere ventiquattro ore vuote che posso riempire come mi pare, che sia leggere o fare una passeggiata. Sono libera.

Greta Francolini e Silvia Gribaudi - foto di Antonio Ficai

A cura di:
Alessandro Leoncini

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