Massimiliano Civica e le sue belve, un delizioso “dolce” teatrale farcito dalle risate del pubblico
Intervista di Daniele Laorenza
Vincitore del “Premio Ubu alla miglior regia” 2017, il terzo della sua carriera, Massimiliano Civica è stato in residenza ad Armunia per preparare lo spettacolo “Belve. Una farsa”, prossimo al debutto, che lo vede alla regia e Armando Pirozzi (anche lui premiato nel 2017 con il “Premio Ubu per il migliore nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica”) alla drammaturgia.
Oltre a rispondere a qualche domanda nella classica intervista “di rito” per chi viene in residenza tra le mura del Castello Pasquini (che riportiamo di seguito), il regista ha regalato al numeroso pubblico che ha gremito la sala del Camino, un’anticipazione dello spettacolo con un’esilarante quanto grottesca, prova aperta.
LO SPETTACOLO
La lista degli ingredienti per una ricetta culinaria con un alto livello di difficoltà sarebbe significativamente più corta e meno varia di quella che invece compone l’insieme di tutti i personaggi presenti in “Belve. Una farsa”, lo spettacolo scritto da Armando Pirozzi e diretto da Massimiliano Civica. Il risultato però è lo stesso: un delizioso “dolce” teatrale farcito con un’abbondante glassa di risate del pubblico.
Per la cena che fa da sfondo alla rappresentazione, questo sarebbe però un dolce troppo prelibato: quello giusto avrebbe invece il sapore di cianuro e veleno per topi perché ciò che lega i personaggi è una storia di astuzie e sotterfugi, di tensioni e violenze e tutto questo per un piccolo “potere”: la direzione della filiale di piazza Montefeltro.
La bramosia del potere è una costante della farsa e questa rappresentazione ne è una versione moderna. I personaggi, come nella migliore tradizione, sono vari, disparati e stravaganti: abbiamo una coppia di coniugi, i loro vicini, la figlia di questi ultimi, un rapper-killer, un cardinale, un chierichetto e infine una coppia di poliziotti. Le situazioni che s’intrecciano durante la recita non sono meno grottesche e bizzarre e s’interscambiano con colpi di scena, stravolgimenti e ilarità.
Come afferma lo stesso Armando Pirozzi “la farsa è sempre prossima all’incubo, alla follia e al thriller, anche se allegramente trasformati in un gioco paradossale, decisamente fuori di testa e più divertente possibile” e in questo spettacolo il divertimento è percepito e contagia lo spettatore che, osservando quella sala da pranzo imbandita per la cena di stoviglie ricolme di cozze, aspetta il prossimo inatteso convitato e il prossimo strampalato avvenimento.
L’unica amarezza che ha lasciato la prova aperta è non aver potuto vedere la fine dello spettacolo che il regista ha voluto tenere in gran segreto per il debutto che avverrà al Teatro Metastasio di Prato tra pochi giorni. Lo spettacolo tornerà a Castiglioncello nella sua forma completa, in estate, durante il festival Inequilibrio.
INTERVISTA
Per informarmi e farti questa intervista, ho letto la scheda della vostra restituzione presente nello stampato di Armunia della Stagione 2018 e mi ha subito colpito la parte da te scritta in cui hai inserito una “lista ingredienti” di ciò che è presente nello spettacolo e va da una vongola avvelenata a un chierichetto, passando per un rapper, all’odore di mandorle tostate, al milionesimo figlio del Bramhino, ecc. Da dove nasce l’esigenza di mostrare subito “le carte in tavola” in modo così enigmatico?
Per il materiale stampa dello spettacolo ho realizzato una presentazione in cui semplicemente faccio una lista di alcuni personaggi dell’opera e di alcune situazioni. Ho inserito tutto quello che può destare curiosità nello spettatore medio per portarlo a teatro: il pubblico vuole sapere quali sono gli elementi d’interesse dello spettacolo, perché lo dovrebbe venire a vedere. E’ per questo ho realizzato quell’elenco, perché, secondo me, genera curiosità: si capisce che lo spettacolo è pieno di trovate, di colpi di scena e che è chiaramente divertente, al contempo non rivela nulla dello spettacolo perché non racconta la trama, non racconta il rapporto tra i personaggi. Diciamo che è semplicemente un “barbatrucco” per catturare la più grande fascia possibile di utenti. Chiaramente nelle note di regia poi ho scritto anche altro.
A chi invece vuole saperne di più, cosa potresti dire?
Questo spettacolo è una farsa. Sia io che il drammaturgo Armando Pirozzi (colui che ha scritto il testo) siamo sempre stati interessati a questo genere per vari motivi: da un lato è stata la fabbrica del grande attore per tutto l’Ottocento e buona parte del Novecento (basta pensare a Totò, Petrolini, Charlie Chaplin, Buster Keaton, De Sica, Magnani, ecc.) perché è un genere difficilissimo in cui devi ottenere la risata con un materiale di partenza spesso non buono, dall’altro lato perché la farsa negli anni è stata un genere teatrale a cui si sono rivolti i riformatori del teatro quando hanno sentito la necessità di un ritorno alle origini, quando hanno sentito il bisogno di un rapporto immediato, sano, semplice con gli spettatori. Ci piaceva, quindi, prenderci il rischio di provare a fare una farsa moderna con personaggi e temi attuali seguendo la struttura di questo genere che è molto forte e classica, in cui ci deve essere l’agnizione (la scena finale in cui si scopre che il personaggio non era quello che si credeva fosse), i colpi di scena, la lotta per il potere che coincide sempre, nella farsa, nella lotta per i soldi, ecc.
A che punto è lo spettacolo?
Abbiamo lo spettacolo completo in tutta la sua struttura e ancora otto giorni per lasciare che gli attori ripetano tutte le parti senza più interruzioni tecniche, quindi siamo a buon punto. Saremo pronti al debutto per quanto si può essere pronti a questo evento perché uno spettacolo entra a pieno regime almeno dopo il primo mese di repliche.
Questo spettacolo è frutto del composto da te e del già citato Armando Pirozzi. La collaborazione è nata nel 2011 con “Attraverso il furore” (che debuttò proprio al festival Inequilibrio organizzato ogni anno da Armunia) e ha visto poi tante altre rappresentazioni in scena con la vostra firma. Com’è iniziato questo connubio e com’è lavorare insieme?
Il nostro rapporto è nato quasi per caso. Una nostra amica in comune mi portò alle prove di uno spettacolo che Armando aveva scritto e che stava dirigendo: immediatamente mi è piaciuta la sua scrittura. Ci sono molti scrittori per il teatro e pochi drammaturghi e Armando è uno di questi ultimi: conosce la tecnica della scrittura, scrive i personaggi, usa dialoghi brevi, ecc. E’ stato un incontro nato su un terreno comune e su una visione piuttosto simile del teatro. Poi il suo tipo di scrittura è perfetto per il mio tipo di teatro; un teatro di attori in cui si raccontano delle storie attraverso i dialoghi, in cui non si fa la morale. Se prendiamo molti testi teatrali odierni, troviamo personaggi singoli che parlano per due pagine e solo dopo questo “monologo” abbiamo la risposta dell’interlocutore. Chiaramente è teatro, ma non è il teatro che m’interessa perché non cerco gli sproloqui, i sermoni ma scambi di battute brevi e veloci. Le battute scritte da Armando al massimo arrivano alle quattro righe con subito la risposta dell’altro personaggio e in questi dialoghi emergono i dati della storia, cosa che caratterizza i veri drammaturghi.
Un traguardo importante che avete raggiunto insieme è stato l’anno scorso con la vittoria di due premi Ubu per il vostro spettacolo “Un quaderno per l’inverno”: il “Premio Ubu alla miglior regia” assegnato a te e il “Premio Ubu al migliore nuovo testo italiano o scrittura drammaturgica” per Pirozzi. Che cosa ha significato per voi questo traguardo?
I premi fanno sempre piacere, sono comunque un riconoscimento pubblico e servono più che altro per continuare a lavorare: danno quell’attenzione che vale per un anno, per lo spettacolo subito dopo quello che è stato premiato, per cui riesci a continuare a lavorare in maniera indipendente senza dovere accettare commissioni. I premi quindi sono importanti per la possibilità di avere un certo margine di autonomia nel tuo lavoro. Qualcuno affermava che almeno ogni tre film, devi avere un successo e nel teatro è abbastanza simile: almeno ogni tre, quattro spettacoli devi vincere un premio per continuare a essere libero nelle tue scelte. Chiaramente hanno fatto molto piacere, soprattutto l’Ubu ad Armando perché penso se lo meriti e sono ancora più contento che lo ha vinto per uno spettacolo che abbiamo fatto insieme.
Passando alle esperienze di residenza, che importanza hanno queste nel tuo lavoro?
Io lavoro spesso con le residenze artistiche. Sono importanti perché le persone che partecipano al progetto, oltre al tempo di lavoro in sala, hanno un tempo di vita comune: è molto utile perché ti comprendi di più, crei un’intimità. E’ chiaro che, secondo me, la residenza funziona per un certo tipo di Compagnia, con persone che si sono scelte per fare un percorso comune, per cui il teatro è una vocazione più forte: per una Compagnia con attori freelance che non si sono scelti e che semplicemente lavorano insieme perché assoldati da qualcun altro, è preferibile condividere solo le ore del lavoro e poi ognuno a casa sua.
In relazione a quanto hai detto sulle caratteristiche dei testi di Armando (dialoghi tra i personaggi con lo scambio di battute brevi), l’esperienza residenziale, dato che unisce l’ambiente lavorativo con il privato, facilità il lavoro degli attori su quei materiali?
Sicuramente. Secondo me, da un punto di vista tecnico e non da un punto di vista morale, devi volere bene al tuo collega, ti devi trovare bene con lui e quindi imparare a conoscerlo, ad esempio, nelle cene preparate a casa, è fondamentale. Comunque insisto, sta tutto all’origine: creare un gruppo di lavoro che sia fatto di persone diverse per abilità, competenze e percorso, ma omogeneo per la visione condivisa del teatro e di un certo atteggiamento verso il lavoro è importantissimo ed è in questo caso che funziona la residenza. L’ottanta per cento del lavoro di un regista, a parer mio, è la scelta del cast; una volta scelti degli attori che vanno bene per il tipo di testo su cui vai a lavorare e che sai che si capiranno, comprenderanno e staranno bene insieme, hai fatto buona parte del lavoro.
Dato che quello del 2017 non è l’unico premio Ubu da te vinto, ma il terzo ed è quindi possibile affermare che sei un regista di alto livello, perché proponi una prova aperta qui ad Armunia? Che importanza dai al confronto con il pubblico?
Il confronto con il pubblico è totale: è la cosa più importante. Nel teatro lavori per lo spettatore quindi se questo non reagisce, non capisce, si annoia, tu hai sbagliato. E’ la cosa più semplice del mondo. In una prova aperta tu controlli le reazioni, le ascolti, è come se ci fosse il confronto con un regista perché il pubblico in fondo è un regista. Se questo si annoia è una spia: in quel momento lo spettacolo “cade”, non è chiaro, perde di ritmo, non c’è niente d’interessante. In questi casi bisogna però stare attenti perché magari le reazioni del pubblico sono influenzate dall’incompletezza dello spettacolo o dal fatto che gli attori durante le prove aperte non danno mai il massimo, è fisiologico che sia così.