Roberto Abbiati in residenza ad Armunia, tra un laboratorio e uno spettacolo
Intervista di Daniele Laorenza
Le due settimane di residenza di Roberto Abbiati, artista multiforme lombardo, (in compagnia di Lucia Baldini, fotografa e coautrice) sono state l’occasione per un suo laboratorio teatrale di tre giorni che ha coinvolto adulti, genitori e insegnanti per avvicinarsi e conoscere l’arte teatrale in modo divertente e giocoso, tra sorrisi e sguardi attenti per apprendere qualche segreto scenico.
Non solo il laboratorio, Abbiati ha donato ai frequentatori del Castello Pasquini un suo spettacolo di repertorio e un po’ del suo tempo per una breve intervista subito dopo l’ultima giornata di workshop, di seguito riportata.
LO SPETTACOLO
Una strage e un clown cantastorie.
La tragicità e la comicità.
Due “mondi” diversi che sabato 3 marzo al Castello Pasquini di Castiglioncello non si sono scontrati ma coesi in uno spettacolo che ha raccontato un frammento buio del nostro recente passato.
La storia è una pagina sanguinaria del capitolo “Colonialismo italiano” e si sviluppa in Etiopia nel 1937: è il massacro di Debra Libanos e fa vergognare, non tanto come italiani ma come esseri umani e sono li stessi Roberto Abbiati e Lucia Baldini ad affermarlo. Forse è anche questo che li ha spinti a raccontare questa storia e a farlo in maniera “leggera” ma anche impegnata, per essere ricordata e ben compresa da tutti.
Roberto Abbiati, unico attore in scena, si è mosso nello spazio recitativo supportato dalla video installazione di Lucia Baldini, recitando, suonando e ballando con addosso le vesti di quel clown cantastorie che, a sua volta, si è calato le maschere di altri personaggi per raccontare i fatti di quell’evento.
Uno spettacolo che riesce a far arrivare la brutalità della storia attraverso la mente e non con gli occhi, non con la possibile violenza gestuale con cui poteva essere raccontata. Il finale è inaspettato, colpisce ancora di più lo spettatore dopo la violenza grazie alla sua nota positiva e di speranza lasciando un amaro in bocca e una luce fiduciosa verso l’essere umano nello sguardo.
L’INTERVISTA
Da dove è nata l’idea del laboratorio teatrale?
E’ stata Armunia a chiedermelo, io non ci avevo pensato. Personalmente sono davvero disponibile a fare attività di laboratorio con chiunque, dai ragazzi a chi non ha mai fatto teatro, perché mi piace. Per il tipo di teatro che faccio e forse per il modo in cui ho imparato a fare teatro, mi viene facile lavorare con tutti.
Lo spettacolo “Debra Libanos – Il “Passato” per le armi” che porti in scena qui ad Armunia non è una prova aperta sul tuo lavoro in residenza, ma uno spettacolo di repertorio. Vuoi parlarne?
Questo spettacolo è un lavoro mio e di Lucia Baldini, con la quale ho fatto ricerca e mi ha poi aiutato in qualità di supervisionatrice del lavoro. Mi piace lavorare per immagini che creino l’atmosfera di quello che voglio raccontare casomai usando anche poco testo, per questo sono meno un attore “di parola” e più di espressività del movimento e delle immagini. L’idea di avere Lucia Baldini, che è una fotografa con le sue video-istallazioni, per l’immagine è perfetto. In questo spettacolo ho rispolverato dai miei studi la figura del clown e, infatti, ne vesto i panni per raccontare una storia tragica e terribile contrapponendo l’ideale comico del personaggio e la tematica importante raccontata. C’è lo stridore di un clown-cantastorie che racconta uno sterminio di più di duemila persone fatto dai soldati italiani in Etiopia nel 1937.
Perché prediligi più l’uso dell’immagine rispetto alla parola?
Ci sono molti modi di fare teatro: nella Storia teatrale c’è un passato in cui era rilevante l’uso della parola, poi con il tempo sono venute fuori le avanguardie teatrali che hanno portato la fisicità negli spettacoli. All’interno del Teatro c’è chi spinge più da una parte e chi dall’altra. A me, non so perché, viene più naturale ragionare meno con le parole e più con le immagini, con il corpo. Forse è un aspetto più semplice grazie al grande passato italiano che è la Commedia dell’Arte, arte teatrale molto fisica. Dalla Commedia dell’Arte, infatti, arriva l’importante tradizione della clownerie.
Sei un artista poliedrico: attore, regista, grafico, disegnatore, musicista, artigiano e forse molto altro. Cosa ti spinge a esprimere la tua creatività in così tante forme?
Non lo so, però con il tempo mi sono scoperto tenace. Qualcuno dice che devi avere un talento e una predisposizione per le cose, ma io ci provo comunque. Darwin affermava che si estinguono gli specialisti cioè chi si è specializzato in determinate caratteristiche ed io, facendo tante cose forse anche male, sopravvivrò. Ad esempio, ho voluto imparare a disegnare e ho imparato a farlo o, meglio, sto ancora imparando. Con la musica invece, suono tutti strumenti particolari e strani perché mi diverte molto, se mi fossi specializzato in uno strumento forse lo suonerei molto bene, ma mi divertirei molto meno. L’unica vanità che ho è che suono bene il banjo.
Hai avuto un’esperienza importante e particolare a Salvador de Bahia, di cosa si tratta?
Fui invitato da un prete, Don Guido, a fare del teatro con un gruppo di ragazzi giovanissimi in un paese nel trentino. Don Guido andò poi in Brasile e mi ricontattò per fare un laboratorio simile in una favelas di Salvador de Bahia ed io accettai. Feci un percorso con i ragazzi per diversi anni facendo la spola Italia – Brasile. Dopo cinque anni di lavoro mi hanno chiesto cosa mi sarebbe piaciuto fare per questo progetto ed io risposi “Un teatro!”. Lo abbiamo fatto nel quartiere più violento della favelas.
E la popolazione come ha reagito a questa novità?
Quello è un posto dove la popolazione non reagisce a niente; forse sbaglio a dire così ma è abbastanza vero. Lì la quotidianità è così violenta e la vita umana ha così poca importanza che una piccola cosa come questa non ha valore. Lo ha avuto per chi ha partecipato, per chi ho incontrato. E’ stata una piccola cosa ed è molto importante che le piccole cose succedano perché queste cambiano il mondo nella ragione che un particolare cambiato ha cambiato qualcosa: ognuno di noi s’impegna nel suo piccolo e questo dà un piccolo risultato. Un risultato è stato che una ragazza ha iniziato a frequentare l’università perché ha frequentato il teatro. Quindi che risultati sono stati ottenuti con questo teatro? Anche questa piccola, ma grande cosa.
Cambiando argomento, cosa significa per te essere in residenza?
In quest’occasione, sono venuto in residenza per fare il laboratorio e per provare gli spettacoli in programma, per raffinarli. La residenza intesa come periodo di studio qui ad Armunia, l’ho avuta l’anno scorso, prima del festival Inequilibrio 2017, per preparare la rappresentazione che avrei portato all’evento.
Secondo la tua visione, la residenza è sono una cosa importante?
La residenza è la vita per alcune Compagnie: quando devi fare uno spettacolo teatrale, devi avere un luogo per provare, hai bisogno di star tranquillo, hai bisogno di un laboratorio, di avere del materiale, delle luci … Per le Compagnie che non hanno grossi budget o una grossa produzione, l’idea che Armunia con il suo Castello possa dare tutto questo diventa vitale. Non so se da altre parti ci sia così tanta ospitalità, ma quella che mi è stata riservata qui mi ha permesso di fare dei lavori che da altre parti avrei avuto molta fatica a fare. Bisogna tener di conto che quando si parla di laboratorio, io qui sono forse l’unico che entra in prima persona direttamente al loro interno, ho le chiavi per accedervi, i tecnici si fidano di me, ho un rapporto privilegiato basato sulla fiducia costruito negli anni. Quindi a Castiglioncello so di avere a disposizione i macchinari e un posto per provare e questo sostegno materiale che Armunia dà agli artisti diventa un sostegno morale perché è come se qualcuno credesse veramente in ciò che fai, come se fosse uno stimolo che ti fa andare avanti nel lavoro. Senza contare lo scambio d’idee e di consigli che avviene in questo luogo. Se poi ci pensiamo, questo contributo alle Compagnie teatrali ha un rapporto “qualità-prezzo” molto alto: offrendoti queste cose che non costano care rispetto a una grossa produzione, sul Paese ha una ricaduta dieci volte tanto perché ciò che passa di qui gira l’Italia con tanta qualità. Ha un ritorno esagerato! Anche gli investimenti statali, che sono veicolati molto di più verso i grandi Teatri, non hanno lo stesso effetto.