La residenza ad Armunia della Compagnia Teatro Rebis
Intervista di Daniele Laorenza
La partenza è l’omonimo racconto a fumetti di maicol&mirco e il percorso non è ancora concluso, ma il Teatro Rebis, in residenza ad Armunia, ha mostrato nella propria restituzione di sabato 17 febbraio quelli che per ora sono i frutti del loro lavoro sul prossimo spettacolo che avrà come titolo “Il Papà di Dio”.
Durante la consueta intervista con gli artisti in residenza, Meri Bracalente e Andrea Fazzini si sono fatti portavoce del gruppo e si sono concessi a qualche domanda che si è trasformata in un’interessante chiacchierata.
LO SPETTACOLO
Sono i grossi problemi causati dal proprio figlio che tormentano e fanno inveire un passante, ma per il suo interlocutore sono tutti fatti di poco conto perchè lui è il padre di Dio, un Dio ancora infante, ingenuo e capriccioso, che lo fa dannare.
E’ questo l’incipit con cui si è aperta la restituzione in cui viene stravolta, con ironia e umanizzazione, la visione canonica della figura di Dio: la figura biblica è vista come un bambino che crea per gioco e lo fa sbagliando a causa del poco impegno che mette nello studio. Per questo vive un rapporto oramai conflittuale con il padre autoritario e creatore di mondi e universi perfetti, che vorrebbe che seguisse le orme paterne per il suo bene senza però capire che deve lasciargli la libertà di fare le sue scelte, i suoi errori.
Le figure di Satana, l’amico immaginario di Dio, e dello zio, fratello maggiore del padre, non sono secondarie. Il primo personaggio è frutto dell’inconscio del bambino e lo porta a fare creazioni completamente sbagliate, ma spesso dà anche buoni consigli che non sono ascoltati da Dio. Lo zio, invece, è la figura che si contrappone all’autoritarismo paterno; designato come Creatore, abdicò per girovagare nel mondo con il suo cappello e la chitarra lasciando il compito assegnatogli al fratello minore.
Da questo intreccio di personaggi si sviluppa la storia, un racconto che vede protagonista la famiglia divina alle prese con i problemi famigliari terreni in una rappresentazione a tratti comica e a tratti anche violenta, con la scultura dell’artista visivo Frediano Brandetti che si rapporta attivamente con gli attori e non resta da sfondo come una semplice scenografia.
L’INTERVISTA
Da dove nasce “Il Papà di Dio”?
Meri Bracalente – Come nasce l’idea de “Il Papà di Dio” andrebbe chiesto a maicol&mirco, l’autori del fumetto da cui abbiamo tratto lo spettacolo.
Andrea Fazzini – Con Michael Rocchetti (in arte maicol&mirco ndr) siamo amici da diversi anni e già da tempo mi proponeva di portare in scena le sue vignette, spesso in serate che ci dimenticavamo entrambi (ride). Qualche anno fa è successa una cosa traumatica per noi del Teatro Rebis: abbiamo perso la gestione del teatro che da dieci anni c’era affidato. Per questo, in un momento di ribellione e di difficoltà, abbiamo capito che era il momento di intraprendere il percorso che ci ha portato a “Scarabocchi”.
MB – La rappresentazione ha avuto un successo strepitoso al di là delle nostre attese e anche Michael ne è stato colpito positivamente. Mentre giravamo con lo spettacolo, maicol&mirco lavorava alla gestazione de “Il Papà di Dio” ed è successo che ci siamo “innestati”. Noi e l’autore ci siamo influenzati reciprocamente: da una parte lui ha scritto il lavoro anche con una visione drammaturgica che prima forse non aveva e nello stesso tempo noi abbiamo accettato di lavorare su i suoi testi perché era un lavoro completamente diverso, una sfida per noi.
AF – Se per “Scarabocchi” abbiamo affrontato un percorso costruttivo, per “Il Papà di Dio” lo stiamo facendo in maniera decostruttiva. E’ un lavoro che s’interseca anche con altri linguaggi come quello scenografico, artistico, linguistico, filosofico e poetico: stiamo collaborando con altre figure come Rubina Giorgi (studiosa, poetessa e filosofa), l’artista visivo Frediano Brandetti e per la musica ci siamo affidati a Lili Refrain. Gli attori sono gli stessi di “Scarabocchi” più Andrea Filipponi, che interpreta Dio.
MB – Nella spettacolo il padre di Dio è colui che ha creato l’universo nella sua infinita perfezione senza morte mentre il piccolo Dio fa i suoi primi fallimentari tentativi di creazione ed è qui che è nata la Terra, una creazione sbagliata. Dio scappa la notte a fare marachelle mentre il padre vorrebbe che lui studiasse e aspirasse alla perfezione tanto quanto lui e da qui si crea anche il classico conflitto padre-figlio. In nome di questa ribellione, si consacra il principio della libertà creativa. La chiave di questo lavoro è che alla fine il genitore capisce che creare in fondo non è mai sbagliato.
AF – Poi ci sono altri personaggi fondamentali: Meri Bracalente è Satana, l’amico immaginario di Dio, lo zio, il fratello maggiore del Papà a cui spettava la Creazione ma che abdicò per girare il mondo per godersi la vita girovaga e infine un passante.
Come è nata la collaborazione con i vari artisti sovracitati?
AF – Noi curiamo molto l’aspetto dell’amicizia con le persone con cui collaboriamo: con Frediano Brandetti e Rubina Giorgi, ad esempio, c’è un rapporto d’amicizia e di collaborazione da ormai diversi anni. Sono amicizie che si sviluppano in posti diversi e inusuali, come quella con Michael Rocchetti al bar della stazione di Grottammare, tra un drink e un altro.
Per “Il Papà di Dio” avete preso spunto da un fumetto mentre per altre rappresentazioni siete partiti da poesie e romanzi. Perché l’uso di forme narrative così differenti come punto di partenza?
MB – Qualcuno può essersi stupito dal fatto di aver lavorato sulle vignette di maicol&mirco dopo aver affrontato un percorso che si è sviluppato attraverso diverse figure poetiche. Per noi, invece, c’è comunque una soluzione di continuità in ciò: dal nostro punto di vista rimane comunque un progetto frutto di una ricerca poetica. Per quanto mi riguarda, nel teatro ci deve essere la ricerca dell’accanimento poetico.
AF – Per me sono anche sfide e delle volte vengono in modo casuale: di solito parto con un’idea prefissa in mente per poi trovarne un’altra dettata da un incontro, una lettura, un’occasione che mi porta da tutt’altra direzione, spesso ignota.
MB – Non affrontiamo un argomento: incontriamo delle questioni e ce le assumiamo e rimangono per sempre con noi.
Per voi, cos’è la residenza? E’ un valore aggiunto nel vostro percorso artistico?
MB – E’ una formula alla quale siamo arrivati anche perché si sono estinti la maggior parte dei piccoli teatri che prima riuscivano a lavorare anche in maniera autonoma, un po’ com’è successo a noi. Siamo in questa circuitazione che è anche frutto delle direttive ministeriali e ci chiediamo per quanto a lungo questa formula durerà nel tempo. Per ora stiamo cercando di farne il miglior uso possibile.
AF – Noi per tanti anni abbiamo gestito uno spazio teatrale nella periferia di Macerata e già allora cercavamo di andare in residenza perché era fondamentale staccare dai ritmi quotidiani, avere un periodo di concentrazione assoluta nel lavoro, senza distrazioni esterne e della propria quotidianità. E’ fondamentale soprattutto lavorare con costanza che ha certamente le sue complicazioni, ma sicuramente crea un’intensità di lavoro diversa e in più dà vita ad altre relazioni, con altre Compagnie, altri gruppi. Mostrare poi il proprio lavoro a un pubblico diverso è fondamentale; lo era quando avevamo il Teatro, lo è ancor di più adesso. E’ proprio una necessità.
Nella residenza si mescolano lo spazio lavorativo e quello privato, com’è questa condivisione?
MB – Per questa residenza siamo già un gruppo ormai “collaudato”. Umanamente c’è una grande corrispondenza ed è un bene; in fondo nel teatro, per come lo intendiamo noi, la parte della relazione umana non è un fattore accessorio. Ed è fatto anche di momenti in cui ci sono tensioni, ma viverle permette di avere in scena una forza maggiore.
AF – Molte idee vengono meglio a pranzo o a cena, non per forza in scena! Vivi l’esperienza residenziale completamente assorbito; sogni il lavoro e lo sogniamo tutti insieme, nel solito appartamento e poi i sogni si vanno a mescolare la mattina. Poi Armunia è la patria delle residenze, quello che è stato fatto qua è stato preso da esempio in molte altre realtà. Siamo stati qui altre volte in altre occasioni, ma è la nostra prima volta come Teatro Rebis.