9 Febbraio 2018

Intervista a Valerio Sirna e Elisa Pol in residenza ad Armunia

Intervista di Benedetta Pratelli

Sabato 3 Febbraio la coppia artistica Sirna/Pol, in residenza a Castello Pasquini, ha presentato in una prova aperta parte dello spettacolo I giardini di Kensington, risultato di un progetto iniziato lo scorso anno e arrivato tra i finalisti del Premio Scenario 2017. In un piccolo salotto dall’aspetto surreale Valerio Sirna e Elisa Pol mettono in scena le intimità di una coppia di coniugi, tra incomunicabilità e un fluire ininterrotto di ricordi. Un lavoro teatrale dall’impatto coreografico molto forte.
Nell’intervista che segue i due artisti mi hanno raccontato come è nato questo progetto e il desiderio di lavorare su un tema tanto intimo.

Abbiamo parlato del modo in cui coniugano la formazione teatrale e la passione per la danza e, infine, abbiamo parlato anche di residenze artistiche, che mi hanno spiegato essere parte fondamentale del loro modo di lavorare.

La prima domanda che vi faccio riguarda il vostro collettivo: come è nato? E come è nata, successivamente, la vostra collaborazione biunivoca?
V: Il nostro collettivo si chiama Agostino Bontà, anche se questo lavoro non ne fa parte. Agostino Bontà è formato da cinque artisti, che si son conosciuti con il corso di Raffaella Giordano Scritture per la danza contemporanea durato due anni, al termine dei quali noi due insieme con altri tre artisti ci siamo associati ed abbiamo iniziato un percorso di creazione all’interno di appartamenti privati e poi siamo arrivati alla costruzione di uno spettacolo per la sala, per il teatro. 
E: Diciamo che questo lavoro in qualche maniera unisce una serie di materiali nati all’interno di questa esperienza dentro gli appartamenti privati: lì in qualche maniera è nato il nostro duo, che faceva appunto parte di uno spettacolo più ampio.
V: Abbiamo iniziato lavorando a Bologna in un appartamento privato, io ed Elisa, creando questa performance che si chiamava Hiroshima mon amour. C’erano due figure, che erano un po’ gli albori della figure su cui stiamo lavorando adesso, che si aggiravano in questo appartamento e pian piano, partendo da quel materiale, abbiamo deciso di dargli sostegno e dargli più spazio. Il pretesto, diciamo, è stato partecipare al Premio Scenario nel 2017.
E: Abbiamo deciso di orientare proprio il fuoco su queste due figure: all’interno di una relazione di coppia, in un interno domestico e concentrarci maggiormente su questi due aspetti che ci interessavano.

Elisa Pol - I GIARDINI DI KENSINGTONCome mai questa attenzione profonda agli spazi intimi, domestici, che è nata se non sbaglio proprio a partire da Piano B [il progetto nelle case private a Bologna]: come è nata questa ricerca?
E: È nata proprio da quella spinta con il collettivo: ci interessava esplorare il rapporto tra performance e quotidiano, l’esposizione più intima e privata da una parte e l’esposizione pubblica, in qualche maniera. Nel caso di Piano B, ad esempio, era una casa, quindi tutta la sfera intima, personale, privata, quotidiana, che veniva in qualche maniera trasformata in performance, cercando di lavorare e mantenere sempre aperto questo doppio canale. Questo elemento del quotidiano è maturato poi nel tempo, trovando un riferimento che sta un po’ alla base della nostra ricerca, ovvero  La poetica dello spazio di Bachelard. In sintesi lui sostiene che la casa sia uno dei più potenti collanti dei pensieri e dei sogni dell’uomo, che sia un luogo primigenio e filosofico in qualche maniera. Citando Heidegger (credo) lui dice: quando si esiste, ancor prima di essere accettati nel mondo, si è accolti dentro una culla, un nido, che è il grembo, che poi è la tua casa. Ci interessava quindi continuare ad indagare questo aspetto della casa, però ampliando tutto l’aspetto onirico, metafisico, surreale, che appunto si cela dietro il quotidiano. Quindi se il Piano B era più il pubblico, il privato, se si può dire così, questa ricerca nostra personale cerca un po’ di far più fuoco su questo, quindi il quotidiano e l’onirico, l’azione anche molto concreta e poi questa coreografia un po’ metafisica, questi spazi un po’ più complessi in qualche maniera.

Valerio Sirna- Antonio Ficai 04Mi sembra di aver capito che ha un ruolo importante il tempo all’interno di questo progetto. Dalla trama si capisce questa dimensione temporale non definita: in che senso?
V: Abbiamo pensato di dividere il lavoro in tre capitoli, tra ogni capitolo potrebbe passare un anno, un giorno, un mese, un’ora, quindi questo tempo imprecisato in cui ad un certo punto si sprofonda nei propri angoli della casa, nelle chiacchiere con la persona con cui si divide lo spazio d’abitazione. Abbiamo pensato a questo tempo che scorre imprecisato come un flusso, in qualche modo.

E: Ci piace lavorare anche sulle dilatazioni del tempo, all’interno delle quali si possono, appunto, aprire degli squarci extra quotidiani, molto surreali. Mescolare il tempo del reale – se voglaimo definirlo così – del concreto, insieme agli spazi più personali, che invece si possono inserire all’interno di una conversazione: ad un certo punto succede che uno sprofondi dento i propri pensieri, si dimentichi dell’altro ed entri in un proprio mondo di sogno, oppure più semplicemente quando uno si isola dall’altro, cerca un riparo ed in questo luogo finisce poi per esplorare altre dimensioni, che possono essere anche quelle del desiderio…
V: Dei proprio ricordi, delle proprie passioni..

Una curiosità: lo scorso anno eravate stati in residenza ad Armunia, lavorando su questo stesso progetto, che aveva però il titolo Hiroshima Reloaded: come mai la scelta di cambiarlo in I giardini di Kensigton?
V: Dunque.. la nostra prima performance in appartamento si chiamava Hiroshima mon amour e da lì siamo poi passati ad Hiroshima Reloaded. Con il tempo abbiamo sentito che il legame con questo film non era più alla base del progetto come lo era stato in precedenza, mentre invece nel lavoro attuale i nostri riferimenti cinematografici, se possibile, si avvicinano più alla cinematografia di Antonioni, a quel livello dell’indagine delle relazioni, dell’incomunicabilità all’interno dell’ambiente che l’umano si costruisce intorno. Quindi a un certo punto non andava più bene Hiroshima Reloaded e siamo passati a I Giardini di Kensington, che è il racconto [Peter Pan nei giardini di Kensington] che precede il romanzo Peter Pan e Wendy. Abbiamo sentito che le nostre due figure avevano in qualche modo a che fare con Peter Pan e Wendy (è una traccia che rimane assolutamente sotterranea, non viene rivelata in alcun punto del lavoro): le nostre due figure in qualche modo abitano dimensioni diverse della loro maturità, della loro esistenza, del loro stare nel mondo, un po’ come Peter Pan e Wendy. Sono vicini ma allo stesso tempo distanti: non si incontreranno mai.

Dite di coniugare nei vostri lavori scrittura scenica  e gesto coreografico: cosa significa?
V: Ha a che fare con la nostra formazione fondamentalmente: partiamo entrambi dal teatro (Elisa in maniera più specifica di me) ma a un certo punto abbiamo cominciato a studiare più profondamente la danza (io lavoro anche come danzatore in questi ultimi anni). Abbiamo assolutamente sentito la necessità di unire questi due linguaggi, che ci riguardano entrambi in maniera diversa: la sfida era quella di continuare a portare avanti un lavoro sulla scrittura del gesto in maniera molto definita, scritta appunto, e poi un lavoro sul testo che venisse fuori dalle nostre biografie, dai nostri materiali, da tutto ciò che collezionavamo, in qualche modo, e quindi come questi due linguaggi potessero stare insieme senza fare a cazzotti.

Mi sembra, correggetemi se sbaglio, di aver capito che fuori dal vostro duo lavorate molto sul rapporto con il territorio, sia per quanto riguarda Nerval sia DOM, ed è una dimensione molto diversa in realtà da quella più intima di questo lavoro e degli altri fatti insieme: c’è comunque un legame o sono mondi completamente separati? Ritrovate nei vostri lavori di coppia ciò che fate anche singolarmente?
E: Rispetto ad esempio alla Nerval, si tratta più che altro di un’esperienza del laboratorio permanente qui ad Armunia con attori e attrici diversamente abili e quindi sicuramente rispetto a questo lavoro in qualche maniera lo sento come un altra ricerca, un altra parte della ricerca.  Chiaramente non sono compartimenti stagni: con Nerval lavoriamo anche molto sulla drammaturgia contemporanea, su un certo tipo di drammaturgia, forse è questo il percorso che influisce maggiormente all’interno del duo. Per il resto lo sento come un momento a parte, un tempo di studio e di ricerca molto autonomo.
V: DOM in qualche modo ha lasciato la sala, gli spazi chiusi del teatro, da qualche anno: stiamo lavorando sul camminare sul paesaggio, quindi su veramente tutto un altro mondo. Però per me mantenere viva questa ricerca insieme a Elisa è proprio un modo per continuare a frequentare la sala, che alla fine è lo spazio di provenienza di chi fa questo mestiere e per me continua ad essere una palestra, un esercizio di composizione all’interno dello spazio teatrale.

sirna pol - Antonio Ficai 06Che cosa significa per voi residenza, essere in residenza?
V: Essere in residenza vuol dire avere la fortuna di essere coccolati mentre si lavora, nel migliore dei casi, quindi avere uno spazio, avere un luogo per dormire, avere da mangiare… Esser pagati? Questo è più difficile: non sempre si ottiene anche questo, però sì, è uno spazio in cui potenzialmente puoi non dover pensare a molte altre cose se non al tuo lavoro e alle ossessioni che hai in quel momento.
E: Inoltre può essere pensata in ottica positiva anche la possibilità di avere in questo modo il tempo di far si che l’operatore, che ti ha invitato al centro di residenza, possa interagire anche con il tuo percorso, accompagnandoti: ha la possibilità di vedere un piccolo step del lavoro e capire cosa servirà in seguito. In questo caso c’è la possibilità di un festival, quindi di avere una visibilità e, volendo, di costruire insieme quello che  poi sarà il percorso di creazione, il percorso produttivo…È quindi un lavoro in crescita che nella migliore delle ipotesi nasce anche in collaborazione con la residenza.

Per quanto riguarda il modo di lavorare, influisce tanto sullo spettacolo la possibilità o meno di vivere un’esperienza di residenza? Voglio dire, è veramente così importante la residenza secondo voi o potreste farne tranquillamente a meno?
V: Per noi è essenziale
E:  Noi non abbiamo uno spazio prove nostro
V: Per un periodo abbiamo provato a Roma, dove io vivo. Abbiamo affittato una sala che ci ha fatto un favore, pagando non molto, ma ogni giorno dovevamo metterci in macchina, in mezzo al traffico, un’ora: era proprio impossibile…
E: Il nostro lavoro è costruito tutto attraverso delle residenze artistiche per cui diciamo che per noi è…
V: La dimensione della creazione
E: Sì…è la dimensione produttiva

Immagino quindi che rapportare spazio pubblico e spazio privato sia per voi la quotidianità: lavorare insieme e poi trovarvi insieme anche dopo il lavoro, nella vita di tutti i giorni… La residenza è anche questo, no?! Vivere sempre a contatto stretto con chi poi è il tuo compagno di lavoro, immagino, possa avere i suoi pro e i suoi contro…
V: In realtà è anche uno strumento di ispirazione continua perché mentre cucini ti viene in mente una battuta.

Non finisce mai…

V: sì, non finisce mai!
E: Poi per noi è anche  un’occasione per conoscersi meglio, perché ormai è da un po’ di anni che  ci conosciamo ma avere dei tempi di convivenza così vicina è un modo anche per accellerare questo processo in qualche maniera..
V: Capita anche di toccare i punti di crisi della  relazione e capisci come questo influisca nel lavoro: capisci come arginarli come lavorarci su.
E: Per me in questo momento, forse perche sono molto abituata alla residenza artistiche, pensare di lavorare insieme e poi tu vai a dormire e a mangiare per i fatti tuoi mi sembra impossibile…è un tempo molto importante anche la cena insieme, le chiacchere dopo..
Sono dei tempi importanti, che poi secondo me…
V: Sostanziano…
E: Sì, sostanziano molto il lavoro sulla scena e le prove.

Elisa Pol - I GIARDINI DI KENSINGTON Elisa Pol - I GIARDINI DI KENSINGTON Elisa Pol - I GIARDINI DI KENSINGTON Sirna Pol - I GIARDINI DI KENSINGTON Sirna Pol - I GIARDINI DI KENSINGTON Sirna Pol - I GIARDINI DI KENSINGTON

A cura di:
Antonio Ficai
Digital marketing designer.

STAMPA

Potrebbero interessarti

Roberto Latini – foto Benedetta Pratelli

Fortebraccio Teatro: pensare la scena attraverso Pirandello secondo Roberto Latini

Intervista di Benedetta Pratelli Fortebraccio Teatro porterà in scena a Inequilibrio XXI (giovedì 5 e venerdì 6 luglio) il nuovo spettacolo: Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? Abbiamo intervistato Roberto Latini che ci ha parlato della ricerca teatrale portata avanti dalla compagnia e della scelta di lavorare...

Carmelo Alù – Armunia Inequilibrio XXI – foto di Antonio Ficai

Carmelo Alù porta in scena Jon Fosse con un’identità italiana

Intervista di Alessandro Leoncini Carmelo Alù è un giovane attore e regista in residenza artistica al Castello Pasquini per lavorare sull’opera che presenterà alla ventunesima edizione del festival INEQUILIBRIO dal titolo Cani morti. L’opera è tratta da The dead dogs testo teatrale dell’autore norvegese Jon Fosse. Carmelo Alù ha...