Intervista a Maurizio Sguotti e Tommaso Bianco della Compagnia Kronoteatro in residenza ad Armunia
Intervista di Daniele Laorenza
Dal 1 al 11 febbraio, è stato il turno della residenza artistica della Compagnia ligure Kronoteatro con la loro restituzione venerdì 9. Una realtà teatrale declinata al maschile che nasce nel 2004 e che trova i suoi cardini nelle figure di Alex Nesti, Maurizio Sguotti e Tommaso Bianco. Ho avuto il piacere di essere spettatore della loro prova scenica nella Sala del Camino e di potere intervistare Maurizio Sguotti e Tommaso Bianco che si sono fatti portavoce della Compagnia.
LA PROVA APERTA
Movimento, fisicità, forza gestuale.
Ad Armunia, la Compagnia Kronoteatro ha portato questo in scena nella restituzione della loro residenza. Trenta minuti di prova teatrale frutto del loro studio iniziato con il testo Tieste di Seneca e che ha visto nascere una prima embrionale rappresentazione de “L’inferno dei vivi”, parte iniziale del futuro spettacolo “Cicatrici”.
“Cicatrici” è l’ultimo tassello del “Trittico della Resa”, un insieme di tre opere che trattano il tema del potere, e vede la collaborazione con lo scultore Christian Zucconi che ha realizzato un insieme di figure antropomorfe rappresentanti i personaggi dell’opera del drammaturgo latino.
E’ stato un forte impatto quello suscitato dalla restituzione, come forti sono state le movenze degli attori in scena che hanno dapprima spaziato tra le sculture umanoidi dislocate nello spazio per poi prenderne possesso, come marionettisti con i propri fantocci. I ritmi musicali hanno accompagnato e sollecitato l’azione; la forza e la violenza espressiva dei gesti sono state tangibili nell’animo degli spettatori presenti.
E’ stata una prova che fa attendere il debutto dello spettacolo finale con tante aspettative.
L’INTERVISTA
Aprirete le porte del Castello Paquini al pubblico mostrando i frutti del vostro studio in residenza con “L’inferno dei vivi”: una prova scenica di avvicinamento a “Cicatrici”. Volete parlarcene?
Maurizio Sguotti – Un paio di anni fa abbiamo lavorato all’interno di un carcere su un progetto arrivando a mettere in scena una piccola rappresentazione: in questo laboratorio abbiamo preso in analisi il testo di Seneca intitolato Tieste. Abbiamo scelto di riprendere in mano il progetto e di intitolarlo “Cicatrici” per debuttare poi questa estate. Qui ad Armunia, ci siamo concentrati su una prima piccola porzione di questo lavoro con già una parte di percorso drammaturgico e lo abbiamo chiamato “L’inferno dei vivi”.
“Cicatrici” è la terza ed ultima parte del “Trittico della Resa”. Di cosa parla questa triade?
Tommaso Bianco – Noi abbiamo l’abitudine di lavorare per temi e sviluppare sullo stesso tema più produzioni. Per questo trittico abbiamo deciso di lavorare sull’idea di potere e abbiamo già realizzato due spettacoli: “CANNIBALI” e “Educazione Sentimentale”, che fanno vedere esercizi diversi del potere cercando di scandagliarne i meccanismi. Il capitolo conclusivo è appunto “Cicatrici” che parla di potere con la P maiuscola: nei primi due abbiamo visto il potere più quotidiano mentre qui parliamo di chi lo amministra a livello politico. Il “Trittico della resa” cerca di girare attorno ad un unico tema facendolo vedere sotto aspetti differenti.
M. S. – Ed è una “resa” perché secondo la nostra lettura non c’è speranza nel poter cambiare le cose, quindi non rimane che arrendersi.
Nei vostri lavori spesso usate i miti come punto di partenza, perché questa scelta?
T. B. – Poter usare i miti come “serbatoi” ci dà la possibilità di avere degli elementi immutati e immutabili e che hanno un riflesso, per assonanza o discordanza, con quello che succede oggi. Prendiamo da questi alcuni aspetti e diamo allo spettatore un rimando a qualcosa di archetipo, che fa da fondamenta per ciò che vogliamo raccontare.
M. S. – Troviamo interessante il collegamento tra i miti e il contemporaneo e per questo molte volte decidiamo di partire da questi, anche se i rimandi più visibili si trovano nella nostra scorsa trilogia che è stata la partenza della nostra Compagnia.
Se per “Cicatrici” c’è Tieste di Seneca, per le altre due rappresentazioni del “Trittico della Resa” quali sono i punti di partenza?
T. B. – Un vero e proprio mito come partenza per le altre due produzioni non c’è, è tornato con “Cicatrici”. Ad esempio per “CANNIBALI” non siamo partiti da un mito, ma abbiamo utilizzato come elemento il manga.
Per la rappresentazione su cui state lavorando avete una collaborazione con lo scultore Christian Zucconi ma avete anche usato la video art, per esempio. Come nasce la volontà di unire il teatro con forme d’arte differenti?
M. S. – Noi usiamo sempre scenografie importanti, mai minimali. A un certo punto abbiamo deciso di portare in scena rappresentazioni multidisciplinari e lo abbiamo fatto con la danza, con la scultura, con la video animazione. Volevamo contaminare la nostra produzione e contaminare noi stessi imparando e utilizzando altri linguaggi con confronti e collaborazioni con altri artisti, mantenendo come punto fermo una coerenza che si lega con il significato degli spettacoli.
Date molto importanza al corpo, al movimento, alla gestualità nei vostri lavori. Da dove nasce questa vostra espressione artistica e che rilevanza date alla parola?
T. B. – Ci sono molti aspetti nelle nostre produzioni che si mescolano assieme: l’utilizzo del corpo come mezzo espressivo, le immagini che si creano con la scenografia, i costumi e ultima, ma non per importanza, la parola. Partiamo però da un’esigenza fisica per comunicare a cui si allaccia poi la parola: cerchiamo di esprimerci con il corpo ancor prima che con la voce.
M. S. – Il nostro non è un teatro esclusivamente fisico perché ci esprimiamo con le immagini, il movimento e la parola. Sicuramente non partiamo da quest’ultima per raggiungere il resto, ma questa arriva da e con il movimento.
Che valore date alle residenze teatrali?
T. B. – Sono un gran vantaggio perché ti danno la possibilità di concentrarti solo sul progetto, di prenderti dei tempi che normalmente non puoi permetterti sfruttando le ore di lavoro in una maniera differente, senza avere l’ansia di avere altro di cui occuparti; ti puoi dedicare esclusivamente alla creazione artistica.
La convivenza in residenza è difficile da affrontare?
M. S. – Per noi non è un qualcosa di nuovo: viviamo in questo modo molto spesso. Ognuno ha la propria casa e la propria vita, ma buona parte della giornata la passiamo insieme quasi fosse una vita comunitaria.
T. B. – Siamo una Compagnia a conduzione familiare. (ride)
M. S. – Ovviamente in residenza è diverso perché stai insieme ventiquattro ore il giorno, ma siamo abituati a stare insieme anche aldilà del tempo lavorativo.